Cinquant’anni fa moriva Ernesto «Che» Guevara

Eroe della rivoluzione Cubana, ha rappresentato per decenni - nel bene e nel male - l’immagine del guerrigliero romantico che si batteva per le cause dei deboli

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Ernesto Guevara era nato a Rosario, in Argentina, nel 1928 da un'abbiente famiglia borghese, primo di cinque fratelli, tre maschi e due femmine.
Ernesto trascorse i suoi primi anni di vita a Caraguatay, nella provincia di Misiones.
Nel maggio 1931 gli venne diagnosticata l'asma. Gli attacchi della malattia erano molto acuti e lo affliggeranno per tutta la vita. Per mitigare le sofferenze del giovane Ernesto, la famiglia si spostò in cerca di un clima secco di montagna: essa si trasferì dapprima a Córdoba e poi ad Altagracia, un piccolo villaggio in provincia di Córdoba, dove Ernesto vivrà dai cinque ai diciassette anni.
Non poteva frequentare la scuola con regolarità a causa della malattia e fu quindi la madre a insegnargli a leggere e a scrivere. Nel 1936 incominciò a frequentare la scuola in modo non regolare.
Nel 1942 si iscrisse al liceo pubblico.
A causa dell'asma venne riformato dal servizio militare e si iscrisse alla facoltà di ingegneria. Poi, forse a causa della sua malattia, decise di abbandonare ingegneria e iscriversi alla facoltà di medicina. Dopo diverse interruzioni, si laureò il 12 luglio 1953.
Si sposò due volte ed ebbe cinque figli.
 
Dopo aver viaggiato in Sudamerica e aver visto la povertà di massa, ed essere stato influenzato dalle letture sulle teorie marxiste, concluse che solo la rivoluzione avrebbe potuto risolvere le disuguaglianze sociali ed economiche dell'America Latina.
Guevara visitò Bolivia, Perù, Ecuador, Panama, Nicaragua, Honduras e El Salvador, per lo più paesi in cui erano in corso disordini e sommosse e con un equilibrio politico piuttosto instabile. Conobbe importanti esiliati politici, alcuni dei quali avevano fronteggiato la dittatura di Fulgencio Batista nell'assalto alla Caserma Moncada e che lo portarono a conoscere Fidel Castro.
In uno dei suoi viaggi in Messico, Guevara incontrò numerosi esuli già conosciuti, fra cui Raúl e Fidel Castro. Affascinato dalla figura di quest’ultimo, decise di aderire al movimento rivoluzionario che voleva abbattere il dittatore cubano Fulgencio Batista.
Anche se i piani prevedevano che Guevara sarebbe stato solo il medico del gruppo, partecipò all'addestramento militare insieme con gli altri membri del movimento e, alla fine del corso, fu segnalato dall'istruttore, il colonnello Alberto Bayo, come il migliore degli allievi.
Intorno alla figura di Fidel Castro si formò un gruppo che si dedicò per tre mesi agli allenamenti, ai quali partecipò anche Guevara mettendo in mostra ottime abilità. È durante questo periodo che Ernesto Guevara acquisì il soprannome «Che», attribuitogli dai compagni di lotta cubani, che lo accompagnerà per sempre. Esso nacque dal fatto che Guevara soleva utilizzare spesso l'intercalare «che», parola senza un significato preciso – equivalente ai termini italiani ehi, bene, dunque e, non ultimo, il «ciò» veneto – utilizzata molto frequentemente in Argentina per richiamare l'attenzione di un interlocutore.
 

 
Dopo aver preso accordi con Castro per una missione a Cuba, il 2 dicembre sbarcarono alla spiaggia di Las Coloradas. Poco dopo furono attaccati dai militari di Batista e la metà di loro cadde in combattimento o fu uccisa dopo la cattura.
 In uno degli scontri col nemico, Guevara subì da un proiettile una ferita al collo, che credette mortale.
Si unì poi al gruppo condotto da Juan Almeida, attanagliato dalla fame e dalla sete. I dodici sopravvissuti, a cui si aggiunsero cinque contadini incontrati dopo lo sbarco (per un totale di diciassette uomini), si riorganizzarono e fuggirono sulle montagne della Sierra Maestra per condurre la guerriglia contro il regime.
Nel luglio 1957 Fidel lo nominò comandante della seconda colonna dell'esercito guerrigliero, la quale avrebbe dovuto operare nella valle El Hombrito, a est del Pico Turquino; a proposito il Che nel suo diario si definì «l'uomo più orgoglioso del mondo». Il primo attacco del reparto fu quello alla caserma di Bueycito. Alla colonna del Che si unirono altri combattenti, a molti dei quali insegnerà a combattere e a leggere e scrivere.
Alla fine di agosto i 72 soldati affrontarono con poche armi la colonna nemica comandata da Merob Sosa, costituita da 205 uomini ben equipaggiati, i quali tuttavia furono costretti a ritirarsi.

In realtà Guevara era riuscito a creare un'ampissima rete contadina fedele e adulatoria, e in generale stava crescendo il mito e il rispetto attorno alla sua figura. Proprio per questo, nonostante ci tenesse a essere sempre in prima linea, per volere di Castro Guevara svolse comunque attività perlopiù di collegamento e coordinamento delle operazioni mentre si svolgevano le azioni più violente della rivoluzione.
A ogni modo la colonna del Che divenne più numerosa grazie a un gran numero di contadini giovani, mentre solo tre soldati provenivano dalla spedizione originale del Granma. L'età media si attestava sui 24 anni e, nonostante gli sforzi dello stesso Guevara, il 90% dei membri era analfabeta.
Negli ultimi giorni del dicembre 1958 Che Guevara diresse l'attacco condotto dalla sua «squadra suicida» (un reparto che svolse le missioni più rischiose dell'esercito rivoluzionario) su Santa Clara. 
 
Fu una delle battaglie decisive della rivoluzione, anche se la serie di sanguinose imboscate, prima durante la offensiva sulla Sierra Maestra poi sulla Guisa e l'intera campagna delle pianure di Cauto probabilmente ebbero una maggiore importanza militare.
Batista, dopo essersi accorto che i suoi alti ufficiali, come il generale Cantillo che aveva incontrato Castro allo zuccherificio abbandonato «Central America», stavano stipulando una pace separata, fuggì nella Repubblica Dominicana il 1º gennaio 1959.
Il 2 gennaio 1959 la colonna del Che entrò nella capitale di Cuba, L'Avana, e occupò la fortezza militare «La Cabaña», eretta al tempo della colonizzazione spagnola.
Per i sei mesi in cui rivestì l'incarico di comandante della prigione sovrintese ai processi e alle esecuzioni di circa 55 militari, ex ufficiali del regime di Batista, membri del BRAC (Buró de Represión de Actividades Comunistas, Ufficio repressione attività comuniste).
Il 7 febbraio 1959, il nuovo governo nominò Guevara «Cittadino cubano per diritto di nascita». 

Nel 1959, in rappresentanza del governo, partì per il Medio Oriente e l'Asia, alla testa di una delegazione economica che aveva come obiettivo principale l'apertura di nuovi mercati.
Nello stesso anno, durante l'estate, visitò la Jugoslavia e fece tappa anche a Fiume, dove i funzionari locali lo accompagnarono nelle fabbriche della zona, come il cantiere navale «3 maggio», per capire il sistema aziendale dell'autogestione delle stesse da parte dei lavoratori.
In seguito, Guevara divenne dirigente dell'Istituto Nazionale per la Riforma Agraria e poi presidente della Banca Nazionale di Cuba (in un certo senso, uno scherzo del destino, poiché aveva spesso condannato il denaro; espresse il suo disagio firmando le banconote col soprannome «Che»).
 

Banconota originale del 1960 con Che Guevara Presidente della Banca di Cuba.
 
Nel dicembre 1964 Guevara andò a New York in qualità di capo della delegazione cubana e tenne un discorso all'Assemblea Generale dell'ONU.
In quell'occasione, apparve nel programma domenicale d'informazione Face the Nation sulla CBS e incontrò diverse personalità ed esponenti di gruppi politici.
Tra loro, il senatore statunitense Eugene McCarthy, componenti del gruppo guidato da Malcolm X e dalla radicale canadese Michelle Duclos.
Il 17 dicembre volò a Parigi, dando inizio a un viaggio di tre mesi, in cui visitò la Repubblica Popolare Cinese, l'Egitto, l'Algeria, il Ghana, la Guinea, il Mali, il Dahomey, il Congo-Brazzaville e la Tanzania, con soste in Irlanda, a Parigi e a Praga.
 
Ad Algeri, il 24 febbraio 1965, fece l'ultima apparizione pubblica sul palcoscenico internazionale, intervenendo al «Secondo seminario economico sulla solidarietà afro-asiatica».
Due settimane dopo, Guevara si ritirò dalla vita pubblica e scomparve.
Dove fosse restò il grande mistero cubano per tutto il 1965, anche se era sempre genericamente considerato il «numero due» del regime dopo Castro.
La sua latitanza fu variamente attribuita al relativo insuccesso del piano d'industrializzazione che aveva portato avanti da ministro dell'Industria, alle pressioni esercitate su Castro dai Sovietici, allarmati dalle tendenze filocinesi di Guevara, in un momento in cui la frattura tra Mosca e Pechino si approfondiva, oppure a gravi divergenze tra Guevara e il resto della dirigenza cubana sullo sviluppo economico dell'isola e sulla sua linea politica.
È anche possibile che Castro fosse stato reso diffidente dalla popolarità di Guevara, che poteva farlo diventare una minaccia.
I critici di Castro affermano che le sue spiegazioni sulla scomparsa di Guevara sono sempre sembrate sospette e molti trovano sorprendente che Guevara non dichiarasse mai le sue intenzioni in pubblico, ma solo con una lettera priva di data a Castro.
 
L'orientamento filocinese di Guevara era sempre più problematico per Cuba, mano a mano che l'economia del paese diventava sempre più dipendente dall'Unione Sovietica.
Dai primi giorni della rivoluzione cubana, Guevara era stato considerato un sostenitore della strategia maoista nell'America Latina. Il suo piano per una rapida industrializzazione di Cuba per molti era comparabile alla campagna cinese del Grande balzo in avanti.
Secondo diversi osservatori occidentali della situazione cubana, l'opposizione di Guevara alle raccomandazioni e alle condizioni sovietiche, che Castro aveva dovuto accettare, potrebbe essere la ragione del suo allontanamento dalla vita pubblica. D'altronde, sia Guevara sia Castro sostenevano l'idea di un fronte unico tra Unione Sovietica e Cina, tentando anche, senza successo, di riconciliare le due maggiori potenze comuniste.

Durante la crisi dell'ottobre 1962, Guevara percepì come un tradimento sovietico la decisione – presa da Nikita Chruščёv senza consultare Castro – di ritirare i missili da Cuba. Divenne quindi più scettico nei confronti dell'Unione Sovietica.
Come emerso dal suo ultimo discorso ad Algeri, del 24 febbraio 1965, aveva incominciato a vedere l'emisfero settentrionale, guidato a ovest dagli Stati Uniti e a est dall'Unione Sovietica, come unica entità sfruttatrice dell'emisfero meridionale.
 
Di fronte alle più diverse ipotesi sul destino del rivoluzionario argentino, Castro, il 16 giugno 1965, disse che l'opinione pubblica sarebbe stata informata su Guevara quando lo stesso Guevara avesse ritenuto opportuno farlo. Intanto le voci si diffondevano sia a Cuba sia all'estero.
Il 3 ottobre di quello stesso anno, Castro rese pubblica una lettera priva di data presumibilmente scrittagli da Guevara diversi mesi prima, in cui questi riaffermava la sua solidarietà con Cuba, ma dichiarava anche la sua intenzione di abbandonare l'isola e di andare a combattere altrove per la Rivoluzione.
Nella lettera Guevara spiegava che «Altri Paesi nel mondo hanno bisogno dei miei modesti sforzi» e annunciava di dimettersi da tutte le cariche che occupava, nel governo, nel partito e nelle forze armate.
Rinunciò anche alla cittadinanza di Cuba, che gli era stata concessa nel 1959 per i suoi meriti nella rivoluzione.
Durante un'intervista con quattro giornalisti stranieri il 1º novembre, Castro disse di essere al corrente di dove fosse Guevara e aggiunse, riguardo alle voci su una possibile morte del vecchio compagno d'armi, che questi, al contrario, godeva di ottima salute.
Dove fosse Guevara restò, comunque, un mistero per i successivi due anni, durante i quali i suoi movimenti rimasero segreti.
 
Che Guevara scrisse poi una lettera a Fidel Castro spiegandogli che sarebbe stato in giro per il mondo per dedicarsi interamente alla rivoluzione in altre parti del pianeta e visse clandestinamente a Dar-es-Salaam, Praga e nella Repubblica Democratica Tedesca.
Castro seguitò a esortarlo perché tornasse a Cuba, ma Guevara accettò solamente quando capì che sarebbe rimasto sull'isola per i pochi mesi necessari a preparare una nuova impresa rivoluzionaria in America Latina e che la sua presenza sarebbe rimasta strettamente riservata.
La sua attività si era portata dunque in Bolivia, dove però nel 1967 venne tradito finendo in un’imboscata.
La caccia a Guevara in Bolivia fu guidata da Félix Rodríguez, un agente della CIA che era stato infiltrato a Cuba per prendere contatto con i ribelli dei Monti Escambray e con ambienti anti castristi di L'Avana prima dell'invasione della baia dei Porci e che era stato con successo fatto uscire dall'isola dopo il fallimento dello sbarco.
Guevara, durante i primi giorni di ottobre, ormai con poche informazioni, senza viveri e con scarse vie di scampo, si rifugiò in un canalone (quebrada) dove fu circondato dalle forze militari.
Qui fu catturato dall'esercito boliviano, assieme ad altri guerriglieri, l'8 ottobre del 1967 nella quebrada del Yuro, a pochi chilometri dal villaggio di La Higuera.
Si arrese dopo essere stato ferito alle gambe.
Essendo disarmato, avrebbe detto: «Non sparate. Sono Che Guevara. Posso esservi più utile da vivo che da morto».
Il capo dell'esecutivo boliviano René Barrientos, appena informato della cattura, ordinò l'uccisione e diffuse un comunicato in cui affermava che Che Guevara era morto in combattimento; invece Rodríguez voleva chiedere istruzioni ai suoi superiori.
Guevara fu recluso nella piccola scuola del paese, dove passò la notte. Avrebbe chiesto: «Posso avere qualcosa da mangiare? Mi piacerebbe morire a stomaco pieno» e gli sarebbe stato portato un piatto di montone con patate.
 

 
Rodríguez riferì la notizia della cattura tramite la rete dell'Agenzia in Sud America, al direttore generale della CIA, Richard Helms, a Langley, in Virginia, mentre governava l'amministrazione Johnson.
Che Guevara fu ucciso nel primo pomeriggio successivo, il 9 ottobre 1967.
Fu scelto a sorte tra alcuni volontari, Mario Terán, un sergente dell'esercito.
Su quanto accadde dopo, esistono diverse versioni. Qualcuno dice che Terán era troppo nervoso, al punto di uscire dal locale e dover essere ricondotto dentro a forza.
Per altri, non volle guardare Guevara in faccia, così da sparargli alla gola, ferita che sarebbe stata fatale. Per altri ancora, il sergente avrebbe avuto bisogno di ubriacarsi, al fine di portare a termine il compito.
La versione più accreditata dai simpatizzanti racconta che Guevara ricevette diversi colpi d'arma da fuoco alle gambe, sia per evitare di deturpargli il volto e ostacolarne l'identificazione, sia per simulare ferite in combattimento, così da nascondere l'esecuzione sommaria del prigioniero.
Il colpo di grazia al cuore, fu sparato da Félix Rodríguez.
Guevara pronunciò diverse parole prima della morte.

Foto di Che Guevara morto.

Le sue ultime parole sarebbero state: «Addio figli miei, Aleida, Fidel fratello mio».
Avrebbe accolto così il suo uccisore: «Lei è venuto a uccidermi. Stia tranquillo, lei sta per uccidere un uomo».
Il suo corpo fu legato ai pattini di un elicottero e portato a Vallegrande, dove venne adagiato su un piano di lavaggio dell'ospedale e mostrato alla stampa.
Dopo l'esecuzione, Rodríguez prese per sé oggetti personali di Guevara e negli anni seguenti avrebbe spesso mostrato con orgoglio ai giornalisti questi cimeli.
Dopo che un medico militare ebbe amputato le mani al cadavere onde identificare le impronte, l'esercito boliviano fece sparire il corpo, rifiutandosi di rivelare se i resti fossero stati sepolti o cremati.
Secondo una versione opposta la CIA non aveva interesse nella morte di Che Guevara, secondo l'agente segreto americano William Blum, il programma della CIA era di portare Guevara a Panamá e usarlo per fare un processo contro Cuba.
 
Il 15 ottobre Castro riconobbe pubblicamente la morte di Guevara e proclamò tre giorni di lutto nazionale.
La morte del Che fu vista come un grave fallimento per i movimenti rivoluzionari di impronta socialista operanti nell'America Latina e nel resto del terzo mondo.
Il 28 giugno 1997 i resti del cadavere di Guevara furono esumati in una fossa comune vicino alla pista di volo a Vallegrande; a guidare gli scavi fu l'antropologo cubano Jorge Gonzalez che il 2 luglio annunciò lo storico rinvenimento.
Pochi giorni dopo le spoglie del Che venivano riportate a Cuba e accolte nella base militare di San Antonio de los Banos, 35 chilometri a Sud di L'Avana, da Fidel Castro, suo fratello Raúl, ministro delle FAR (Forze armate rivoluzionarie), la vedova del Che, Aleida March, i figli Aleida, Celia, Camilo ed Ernesto, alcuni dirigenti politici e militari e gli amici.
 
Dall'11 al 13 ottobre 1997 a Cuba fu proclamato lutto nazionale: le ossa di Guevara, assieme a quelle di sei altri combattenti cubani morti durante la campagna in Bolivia, furono pubblicamente commemorate e quindi tumulate il 17 con tutti gli onori militari in un mausoleo costruito appositamente nella città di Santa Clara, dove trentanove anni prima aveva vinto quella che era stata ritenuta la battaglia decisiva della rivoluzione cubana.
Il monumento è corredato da una grande statua con la scritta «Hasta la victoria siempre» e da una lapide recante la parte iniziale del testo del famoso ordine di servizio firmato da Fidel Castro il 21 agosto 1958, con cui venivano comunicate le istruzioni operative per la colonna numero 8, comandata da Guevara: «Se asigna al comandante Ernesto Guevara la misión de conducir desde la Sierra Maestra hasta la provincias de Las Villas una Columna rebelde y operar en dicho territorio de acuerdo con el plan estratégico del Ejército rebelde».
 
Si ringrazia Wikipedia per le note e le foto che ci hanno consentito di scrivere questo pezzo.