Schede di approfondimento
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La Vallagarina alla fine della
guerra
La Vallagarina fu una delle aree trentine più colpite dalla
guerra.
Fin dai primi mesi della guerra tra l'Austria e l'Italia, i centri
abitati posti dietro le prime linee austriache erano stati evacuati
e la popolazione trasferita verso le province centrali dell'Impero
austro-ungarico. Per più di tre anni, salvo rare eccezioni, nessuno
poté rivedere il proprio paese. Al loro ritorno, alla fine della
guerra, profughi e soldati scoprirono che quanto avevano lasciato
era stato perduto o danneggiato in modo grave per effetto dei
bombardamenti e per il sistematico saccheggio delle abitazioni
praticato dai soldati.
Il ritorno della popolazione, a partire dal dicembre 1918 fu
inizialmente un lungo, attonito peregrinare tra rovine, resti di
fortificazioni, insidie create da residuati bellici sparsi ovunque.
Lo scenario era composto da paesi bombardati, industrie spogliate e
distrutte, vigneti, frutteti e piantagioni a gelso tagliati o
divelti, campagne incolte, trasformate in campo di battaglia, ogni
tipo di coltura scomparsa, l'allevamento e la bachicoltura estinti.
Si dovette ricominciare dalle fondamenta, senza strumenti da
lavoro, mobili, biancheria, viveri, denaro, a partire da un grado
di devastazione pressoché totale.
Uno dei primi problemi fu la realizzazione di ricoveri di
emergenza.
Accanto alla sistemazione provvisoria in avvolti e cantine o in
edifici solo parzialmente lesionati, in molti centri abitati la
soluzione adottata fu la costruzione di baracche. Spesso furono gli
stessi abitanti a provvedere alla loro costruzione, smontando
strutture abbandonate dall'esercito nelle retrovie del fronte e
ricostruendole nei paesi distrutti; in altri casi fu l'Esercito
italiano a provvedere.
Sorsero così quartieri di baracche precarie e insalubri: a Lizzana
in 54 baracche vivevano un centinaio di famiglie, a Marco i nuclei
familiari in baracca erano 115, a Mori vi coabitavano più di mille
persone, a fronte di poco più di 2.000 che avevano trovato riparo
nelle case sistemate alla bell'e meglio.
Spesso costruite senza cura per le condizioni elementari di
abitazione, costringevano chi vi abitava ad una promiscuità poco
decorosa, senza protezione dalle intemperie. Vi furono ospitate,
oltre alle famiglie, anche scuole e luoghi di culto, così come era
accaduto nelle città di legno di Mitterndorf e Braunau, da
dove i profughi erano ritornati certi di trovare le case che
avevano abbandonato quasi quattro anni prima.
I comuni e i comitati profughi aprirono magazzini per la
distribuzione di brande, paglia, coperte. Ai profughi rimasti senza
casa fu assegnato un sussidio giornaliero di 80 centesimi per poco
più di due mesi.
La ricostruzione vide impegnate numerose istituzioni. Il Consiglio
provinciale d'agricoltura inviò aratri, zappe, rastrelli, picconi,
sementi. Le scuole ricominciarono a funzionare, spesso ospitate in
baracche.
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Rovereto
A Rovereto delle più di 900 case di abitazione, solo 37 erano
rimaste illese; le industrie erano state distrutte e spogliate.
Arredi, biancheria, macchinari: tutto era scomparso o ridotto a
rovina.
Tra le principali urgenze, la giunta di Rovereto nominata dal
Comando Supremo segnalò il ripristino dei tetti delle case, la
costruzione di arredi per i profughi, il controllo della vendita di
vestiti e viveri, la riattivazione della ferrovia
Rovereto-Mori-Avio, il recupero di beni e attrezzature produttive,
la riapertura degli impianti industriali, nonché misure di igiene
pubblica. In pochi mesi furono riattati centinaia di edifici, dove
trovarono alloggio circa 8.500 tra soldati e profughi. Nel maggio
1919 erano di nuovo attivi gli uffici comunali, le poste, gli
uffici giudiziari, la Cassa di risparmio, l'Ospedale civile, le
scuole e la biblioteca civica. Perfino il teatro riaprì i
battenti.
Dopo la lunga stagnazione del periodo bellico, il numero dei
matrimoni e delle nuove nascite tornò a crescere.
I danni alle abitazioni, alle industrie e alle campagne furono
valutati in 42 milioni di lire, senza contare il credito di 20
milioni vantato nei confronti del passato governo austriaco. Il
cambio della moneta colpì i risparmi e la liquidità delle famiglie,
compromettendone la capacità di spesa e di investimento. A ciò si
aggiunse la lentezza esasperante delle liquidazioni dei danni di
guerra da parte dello Stato italiano, che sollevò molte
proteste.
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«Zona grigia», «Zona
nera»
Con questo termine fu indicata la fascia di territorio trentino
posta sulla prima linea, occupata, talvolta contesa dai
con-trapposti reparti, che fu più colpita dalle distruzioni della
guerra: Vermiglio e la Valle del Chiese, la Valle di Ledro e i
paesi dell'Alto Garda, Brentonico, la Valle di Gresta, Mori e gran
parte della Vallagarina, la Vallarsa, Trambileno e Terragnolo,
Lavarone e Luserna, gran parte della Valsugana, il Primiero. Si
trattava di 150 paesi, strade, campagne, boschi e pascoli,
laboratori artigianali e manifatture.
Alle spalle della «zona nera» si estendeva, con profondità diverse,
una «zona grigia», nella quale la permanenza degli eserciti e la
sistematica rapina di ogni risorsa avevano prosciugato l'economia.
Anche in quest'area l'artiglieria aveva colpito e le bombe d'aereo
avevano incendiato edifici e ucciso persone, ma la popolazione non
era stata evacuata, perché ritenuta al riparo dai pericoli maggiori
e considerata bacino di manodopera al servizio dell'esercito e
delle sue esigenze.
In Vallagarina, della «zona grigia» facevano parte Avio ed Ala a
sud, Volano, Calliano, Villalagarina e Besenello a nord, retrovie
rispettivamente per l'esercito italiano ed austro-ungarico, dove
avevano sede comandi, tribunali, ospedali.
Lì vennero acquartierati i reparti a riposo, si concentrarono i
depositi militari, si addestravano i reparti prima dell'impiego in
prime linea, si accumulavano i materiali da inviare con le
teleferiche fin sulle prime linee.
Contro questa eccezionale infrastrutturazione puntavano le
artiglierie nemiche, talvolta con qualche efficacia, nonostante le
distanze.
Di questo passaggio e di questo uso militare proprio della «zona
grigia», rimasero alla fine della guerra tracce vistose nei
baraccamenti, nei depositi, nei campi occupati dalle strutture
logistiche, negli aeroporti e nei parchi macchine, ma anche negli
edifici colpiti dalle bombe, forse in numero minore che nella «zona
nera», ma non meno gravi.
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Retrovie e
comunicazioni
L'opera di ricostruzione vide impegnato dal dicembre 1918
all'agosto 1919 il Genio militare italiano e, in seguito, il Genio
civile.
Oltre a ripristinare opere pubbliche - chiese e conventi, scuole ed
asili, edifici comunali, ospedali, magazzini, ecc. - sia i militari
che l'amministrazione civile si dedicarono a misure di emergenza
come la costruzione di baracche, il risanamento di strade
danneggiate dalla guerra, la ricostruzione di ponti abbattuti e
l'apertura di nuove vie di comuni-cazione.
Si trattava di realizzazioni di grande valore strategico:
ripristinare le vie di comunicazione era la condizione per
consentire alle imprese impegnate nell'azione di ricostruzione di
raggiungere anche le aree periferiche, le meno servite e spesso le
più bisognose di sostegno.
Furono così rapidamente ricostruiti il ponte in ferro che
attraversa l'Adige all'altezza di Ravazzone, sulla strada
Rovereto-Riva; il ponte in ferro di Sacco che collegava i due
versanti della Valle dell'Adige; il ponte di San Colombano che
congiunge le due rive del Leno lungo la strada per Vallarsa ad est
di Rovereto; il ponte in cemento armato sul rio Cavallo presso
Calliano.
Vennero inoltre allargate e sistemate la strada tra Sacco e Isera,
la strada nazionale presso Volano ed il tracciato verso Riva in
prossimità di Passo San Giovanni. Furono riselciati parte del paese
di Calliano e la strada nazionale in Ala e venne allargata la
strada presso Serravalle. Furono infine costruite nuove strade
comunali per rendere praticabili i trasporti nei piccoli paesi nei
dintorni di Rovereto e Mori, verso Vallarsa, Trambileno e
Terragnolo, Serravalle, Marco, Chizzola, Santa Margherita,
Brentonico e Valle San Felice.
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Gli «sguardi sulle rovine» di
Ernesto G. Armani e Luciano Baldessari
In mostra sono esposti sette acquarelli realizzati nell'immediato
dopoguerra dagli artisti Ernesto G. Armani e Luciano Baldessari,
entrambi allievi del professor Luigi Comel presso la Scuola Reale
Elisabettina di Rovereto, ambedue combattenti sul fronte orientale
nella divisa dell'esercito austro-ungarico.
Armani e Baldessari sono due personalità molto diverse, con un
approccio alla pittura naturalistico il primo, orientato alla
ricerca d'avanguardia fin dagli anni della scuola il secondo. Gli
acquarelli presenti in mostra rappresentano alcuni drammatici
scorci di paesi devastati in Vallagarina, Vallarsa e Valle di
Gresta.
La collezione venne donata al Museo da quella avventurosa figura di
rivoluzionario che fu Emilio Strafelini, allora militante
socialista e della Camera del lavoro, lo stesso che donò al Museo
l'aereo Nieuport 10 che spicca nel nuovo allestimento,
inaugurato meno di due anni fa.
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Realizzazione
Rete Trentino Grande Guerra è un progetto che mira alla costruzione
di un sistema territoriale capace di unire le varie realtà
associative, museali e istituzionali che in Trentino si occupano
dello studio, della tutela e della valorizzazione del complesso
patrimonio di beni, vicende e memorie della Prima guerra
mondiale.
Paesaggi di guerra
Il Trentino alla fine della Prima guerra mondiale
Vallagarina
Progetto Rete TrentinoGrandeGuerra
Coordinamento Mauro Grazioli, Anna Pisetti, Fabrizio Rasera,
Camillo Zadra
Segreteria organizzativa Giancarlo Sciascia
Allestimenti Studio Giovanni Marzari
Cura grafica Alessio Periotto - Designfabrik
Fornitori Edizioni Osiride, Paolo Gabbana, Zirkotech
Video Micol Cossali
Con la collaborazione del Comune di Rovereto
Con il sostegno di Fondazione Cassa di
Risparmio di Trento e Rovereto
Provincia autonoma di Trento
Museo Storico Italiano della Guerra
Fondazione Museo storico del Trentino
Il Sommolago
Trentino spa
Le immagini esposte e pubblicate sono state messe a disposizione
da
Archivio dell'Istituto di Storia e Cultura dell'Arma del Genio,
Roma
Archivio dell'Istituto per la Storia del Risorgimento italiano -
Museo Centrale del Risorgimento, Roma
Archivio del Museo Civico Rovereto
Archivio del Museo di Riva del Garda
Archivio del Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto
Archivio Fotografico Storico - Soprintendenza per i Beni
Storico-artistici - Provincia autonoma di Trento, Trento
Archivio SAT di Brentonico
Biblioteca Civica di Rovereto
Collezione A. Less - O. Mederle
Collezione Oswald Mederle
Collezione Giancarlo Passerini
Per le informazioni sul progetto e il calendario completo
delle mostre e degli eventi connessi: www.trentinograndeguerra.it
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