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Il 68, rivoluzione Pop di tutti, di Aurelio Laino

Al Trento Film Festival la ricostruzione del regista trentino attraverso le testimonianze degli attori di allora di opposta fede politica

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Mario Capanna.
 
Il Trento Film Festival ha presentato, nell’ambito delle Proiezioni Speciali, il film «’68 Pop Revolution - La serie» di Aurelio Laino, prodotto con il sostegno delle Film Commission di Trento e Torino e della Fondazione Cassa di risparmio di Trento e Rovereto.
Chi, nella seconda metà degli anni sessanta si trovava a Trento, ricorda uno «scandaloso» controquaresimale e le occupazioni della neonata Facoltà di Sociologia. Chi non era ancora nato, probabilmente non sa cosa sia stato il ’68 per il mondo intero e per la nostra città, a quel tempo piuttosto provinciale e sicuramente democristiana.
 
Il ’68 si sviluppò velocemente in Italia, in Europa, fino a Berkeley.
Il documentario di Laino, che dura 70 minuti e che sarà trasmesso in forma completa in due serate su Sky-Arte a fine mese, racconta con il supporto di una seria documentazione iconografica e con le testimonianze di persone che in quegli anni erano studenti universitari a Trento, Torino, Pisa, Pavia, Milano e Roma, cosa volevano gli universitari, che non erano «figli di papà» viziati e poco interessati allo studio, ma che chiedevano di poter partecipare democraticamente alla vita dell’Università.
 
Dunque il movimento, che era per così dire nato proprio a Trento nel 1966 e che successivamente si sviluppò in una sorprendente «Università critica», si diffuse nel mondo: era dotato di uno spirito creativo e gioioso.
I ragazzi chiedevano un rinnovamento, non rincorrevano il 18 politico, ma volevano tagliare col passato di due guerre mondiali, studiare meglio e capire davvero.
Le ragazze rivendicavano la parità anche nei confronti delle famiglie e soprattutto dei padri antiquati e severi (e le occupazioni furono certo un momento di «svolta»!).
Tutti vivevano la loro vita consapevolmente, accompagnati dalla musica di quegli anni, anch’essa rivoluzionaria, dal cinema, dal teatro.
I maschi facevano crescere i capelli come i Beatles e abbandonavano la tradizionale giacca.
Le femmine trascorrevano la notte fuori casa e indossavano la minigonna di Mary Quant.
 
Insomma il ’68 rappresentò un passo deciso verso un mondo diverso, in cui non avevano il sopravvento talune ideologie politiche. Tutti i ragazzi di allora vollero fare il '68, anche se poi le sinistre se ne appropriarono la paternità.
E questo è confermato dalle testimonianze equilibrate, sagge, a volte sorridenti e «leggere» di ex studenti – oggi adulti – di opposta fede politica, come Mario Capanna, Tato Russo, Marco Boato, Vincenzo Calì, Toni Capuozzo, Peppino Ortoleva, Luciano Lanna e Guido Viale.
Né mancano le testimonianze delle donne, da quella di Flavia Perina, giornalista sicuramente di «destra» a quelle di Marianella Pirzio Biroli, studentessa di Sociologia a Trento e di Giuliana Biagioli, docente alla Normale di Pisa.
Accanto a loro, i ricordi di Carlo Verdone, le canzoni Bob Dylan e di Guccini, le voce di Donovan e Shel Shapiro.
 
Poi, il ’68 finisce, quando la protesta studentesca si trasferisce e sovrappone quella operaia e quando la strage di piazza Fontana lacera l’ingenuità degli italiani.
Un bel documentario, questo, che cerca di smentire stereotipi e false interpretazioni, che dovrebbero vedere sia i giovani di oggi, per capire quanto non siano scontate o gratuite le conquiste dei padri, che i giovani di ieri, per non dimenticare che, come disse Mauro Rostagno, scomparso per mano mafiosa, «per fortuna non abbiamo vinto».

GdM

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