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«Odio i talent show: mi hanno rubato il mio mestiere di critico»

Sandra Matuella intervista Mario Luzzatto Fegiz, il critico musicale più autorevole e temuto del giornalismo italiano

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«Io odio i talent show.»
Questa affermazione radicale è di Mario Luzzatto Fegiz, il critico musicale più autorevole e temuto del giornalismo italiano.
«Io odio i talent show» è anche il titolo dello spettacolo musicale che Luzzatto Fegiz in persona porta in giro in tutta Italia e che anticipa il suo libro che uscirà nelle librerie all’inizio del 2013, pubblicato da Guido Veneziani Editore.
Questo spettacolo, firmato dal grande critico insieme a Giulio Nannini e Maurizio Colombi, è andato in scena martedì sera al Teatro Cristallo di Bolzano, nell’ambito di «Racconti di Musica», la raffinata rassegna organizzata dall’associazione L’Obiettivo, che ospiterà anche Gianmaria Testa, l’11 dicembre, e Paola Turci il 12 marzo.
 
In una scenografia interamente musicale, con l’immagine gigante di una radio d’epoca sullo sfondo, una consolle con microfono, dischi, colorate copertine dei 33 giri cosparse su tutto il proscenio, Mario Luzzatto Fegiz sorprende il pubblico sfoderando un sicuro piglio da mattatore per raccontare mezzo secolo di musica e per raccontarsi così, in intimità.
«Voglio farvi una confidenza – esordisce. – Io odio i talent show. Volete sapere perché li odio io? Perché danneggiano la musica? No. Per ragioni molto più banali, direi di bottega. Io odio i talent show perché mi hanno derubato. Derubato del mio mestiere di critico, spalmato su migliaia di giudici popolari: sms, mail, televoti. Io li odio perché hanno posto fine alla dittatura della critica. La mia.»
 
E così, a partire da un’improbabile intervista ad Alessandra Amoroso, Mario Luzzatto Fegiz ripercorre quarant’anni di carriera, costellata di incontri con i grandi nomi della musica italiana e internazionale, dalla coppia Mogol e Battisti a Mike Jagger e Elton John.
Accompagnato da due ottime spalle quali il chitarrista Roberto Santoro e il fisarmonicista Vladimir Denissenkov, Luzzatto Fegiz è spesso provocatorio, graffiante e molto divertente: in generale, segue il ritmo della musica e lo rafforza con quello del pensiero.
A fronte di tante trasmissioni televisive che fanno della finta archeologia pop con toni nostalgici, passatisti e totalmente acritici, lo spettacolo teatrale di Luzzatto Fegiz è un affresco musicale che coinvolge più generazioni, e come tale riguarda tutti, fino ad essere, a nostro avviso, il punto di non ritorno sulla riflessione della musica di oggi, specie dell’area cosiddetta pop o leggera.
Musica le cui sorti stanno a cuore anche a cantautori del calibro di Samuele Bersani, che allo scorso Sanremo dedicò il suo premio della Critica agli artisti che lavorano sodo per creare musiche e testi originali, anziché limitarsi a reinterpretare le canzoni degli altri.
 
E poi Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, che in un’intervista per « osserva «C’è un degrado culturale vero, perché se no non ci sarebbero le persone che premiano i senza talento. Secondo me la televisione è la prima cosa da cambiare: magari utilizzandola meglio, oppure non utilizzandola più, o ancora usando internet in modo più interessante.»
 
Anche il Trentino è interessato alle questioni sollevate dallo spettacolo di Luzzatto Fegiz, a iniziare dai musicisti che partecipano al Premio Pavanello, dedicato alla musica d’autore, e gli stessi Bastard Sons of Dioniso, legati a filo doppio alle logiche dei talent show, hanno lottato per affrancarsi da questa etichetta-gabbia e riconquistare l’indipendenza artistica e creativa.
E poi il cantautore trentino Lorenza De Santis, la scorsa estate ha aperto il concerto delle Orme in piazza Duomo, con «Reality Generation», un brano poetico e insieme crudo, in cui denuncia il sistema televisivo che riduce le persone a marionette a servizio di programmi che si nutrono dei sogni di chi crede nella musica.
  
Al termine dello spettacolo bolzanino, Mario Luzzatto Fegiz ha parlato a L’Adigetto.it della situazione musicale attuale, e sottolineato l’importanza dei quotidiani on-line come il nostro, per incentivare la musica di qualità.
 
Dedicare il titolo del suo spettacolo ai talent show non rischia di dare troppa importanza a questo genere televisivo? Non sarebbe meglio ignorarlo del tutto per non fare ulteriore pubblicità?
«Non ne hanno bisogno, sono talmente forti… E poi io li odio per le ragioni che espongo nello spettacolo, e cioè che mi hanno rubato il mestiere: l’asse si è spostato, una recensione positiva condizionava le vendite, c’era una vera e propria dittatura della critica, mentre oggi tutto questo è sparito.»
 
A questo però, si è sostituita la dittatura dello spettacolo, dove conta più la rissa, il caso umano, il fenomeno del momento. E la musica, di fatto, passa in secondo piano.
«Sì, però i reality sono un effetto e non la causa dei mali della nostra società che punta sempre più sull’effimero.»
 
I talent televisivi oggi determinano il successo di un artista anche in radio e nel mercato discografico, mentre chi è fuori da questi meccanismi, rischia di non esistere.
Cosa può fare allora, un artista dotato di talento e passione, per far conoscere ugualmente la sua musica a un pubblico sufficientemente ampio?
«Per un artista che ha del talento (e soprattutto che vuol durare), non c’è molto da fare: l’unica è creare una squadra con gente con cui lavora bene e puntare alla musica live per farsi conoscere direttamente dal pubblico.
«Lavorare con estrema serietà in squadra funziona sempre. Io stesso lavoro così e solo così ho potuto fare dei progetti di qualità per la radio, la televisione i giornali. Sì, ai giovani artisti direi che il lavoro umile e duro paga sempre.»
 
Quale dovrebbe essere il ruolo di un quotidiano locale on-line, più agile e versatile rispetto alla carta stampata, nei confronti della musica di qualità?
«I quotidiani on-line oggi hanno un ruolo importante perché possono mettere a disposizione spazi per parlare di artisti sconosciuti e dar così loro la possibilità, in seguito, di farsi sentire in un locale.
«Per quanto riguarda i social network, invece, il discorso è diverso: lì si creano grandi tifoserie, soprattutto per gli idoli dei vari talent. Ma le giurie virtuali trovo che siano molto riduttive, perché per la musica ci vuole un riscontro vero, fisico, le stesse esibizioni virtuali non sono indicative.
«I quotidiani locali on-line inoltre, potrebbero dare visibilità anche ai locali stessi che propongono musica dal vivo, un po’ come faceva alcuni anni fa la Heineken, con un progetto davvero meritevole a sostegno dei music club.»
 
Sandra Matuella

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