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Safer Internet Day – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Per pensare alla prevenzione si deve costruire l’umano e una cultura della solidarietà e del rispetto e non quella della punizione

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Il Safer Internet day ci richiede ormai da anni di riflettere sui rischi e sui pericoli che continuano a correre i minori in rete. In modo particolare dovremmo pensare alla violenza digitale che circola su messaggerie istantanee e social come WhtasApp, Telegram, TikToc tanto per citare i più famosi dove dal sexting si sviluppano varie forme di molestie sessuali o verbali, calunnie e altre offese che mietono di continuo vittime e nuovi bulli nonostante gli interventi a scuola contro il bullismo e la violenza di genere.
Parlando di frequente con i docenti, non mi è raro sentire il loro scoraggiamento e l’incredulità di avere pochi risultati nonostante la quantità di progetti che si attivano, ad esempio, per contrastare il cyberbullismo, spesso messi a punto con il mentoring dello psicologo scolastico.
 
Purtroppo c’è da dire che intervenire nelle scuole medie inferiori o superiori può essere insufficiente, in quanto la prevenzione richiede interventi precoci o precocissimi, da avviare già nei primi anni della scuola primaria, se non alla scuola dell’Infanzia. In secondo luogo ogni progetto volto a contrastare questa diffusa forma di violenza, matrice di molti altri comportamenti offensivi, richiede complesse e importanti valutazioni di efficacia.
Non basta solo aver attivato un programma di interventi con gli allievi e aver spiegato cosa sia il bullismo, ma serve un’attività laboratoriale articolata protratta per un periodo consistente e la verifica a distanza di tempo. È poi necessario il coinvolgimento in questi percorsi scolastici dell’intero corpo docente e della famiglia.
 
Ricordo uno studio di qualche anno fa e ancora valido presentato dall’Istituto degli innocenti che, esaminando una quantità di programmi sviluppati in scuole di tutto il territorio italiano e con diverse metodologie che comprendevano incontri di sensibilizzazione e attività psico-educative, metteva in evidenza come pochi di essi prevedevano materiale e protocolli standardizzati ed erano pensati con il coinvolgimento di diverse componenti.
Colpiva ad esempio che nei programmi di lavoro con gli allievi per contrastare il bullismo, l’inclusione dei docenti della scuola era presente nel 47% dei casi e la partecipazione dei genitori ancor meno: solo nel 32%!
 
Impossibile immaginare l’efficacia di questi progetti volti a modificare i comportamenti offensivi e le prepotenze fisiche e verbali, dentro e fuori dalla scuola senza il coinvolgimento dell’intera comunità educante. Serve l’apporto di tutte le figure che stanno negli immediati dintorni dell’infanzia e urge la loro partecipazione attiva e non formale.
Gli approcci considerati con un buon livello di efficacia, sono quelli basati sull’evidenza scientifica già sperimentati nel Nord Europa e anche in Italia in alcuni centri universitari, dove si portano avanti studi longitudinali che permettono di verificare nel tempo i risultati.
 
Quelli più utili riguardano la prevenzione precoce volta all’incoraggiamento degli alunni che assistono al bullismo ad aiutare le vittime e tutto ciò che promuove empatia. Che in fondo, nella lotta alla violenza è ciò che conta per costruire l’umano e una cultura della solidarietà e del rispetto e non quella della punizione.

Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento - Docente di psicologia delle età della vita
www.iovivobene.it

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