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Regole. Per far crescere senza violenza – Di G. Maiolo

È meglio preferire atteggiamenti inclusivi in cui prevalgano le spiegazioni e dove l’uso delle regole si sostituisca alle punizioni che non portano a nulla

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Ci sono modi diversi per educare senza violenza, anche quella delle le parole punitive e di rimprovero o peggio ancora offensive. Uno dei più importanti è dato dalle regole.
Cioè i limiti e i confini entro cui stare, le tracce precise dove è possibile muoversi senza rischiare, i margini di un percorso con indicazioni degli ostacoli o delle barriere oltre cui non è possibile andare.
 
Psicologia, pedagogia e pediatria (M. Bernardi e F. Scaparro, La vita segreta del bambino, Ed. Salani) da tempo dicono che non è l’imposizione di divieti e nemmeno la forza verbale o fisica che educa, ma di certo la consistenza di un atteggiamento fermo e deciso, amorevole e gentile del genitore capace di comprensione, quello che fa crescere.
 
Sono i «no» ben definiti e non quei «ni» incerti che dicono e non dicono, sono i limiti ben argomentati, le posizioni flessibili ma resistenti dell’adulto che consentono lo scambio e il confronto con il bambino.
Forse potrebbero essere anche i «Si …ma» che accolgono e allo stesso tempo aprono al dialogo, non negano il desiderio dell’altro ma lo accettano e lo rendono possibile a condizione che vi siano le situazioni adeguate.
 
Educare l’IO al principio di realtà è la funzione del genitore dialogante, capace di capire e comprendere le esigenze di un bambino ed è il contrario di quanto sostiene quel famoso detto popolare che recita «mazze e panelli fanno i figli belli» un tempo monito della «buona» (si fa per dire) educazione, molto simile al «bastone e carota» che di solito serve a giustificare punizioni e repressioni. La ricerca in educazione ci dice che i bambini si comportano meglio quando i genitori sono calorosi e solidali, quando cercano di capire le esperienze di vita dei figli e quando spiegano le regole che si aspettano vengano rispettate.
 

 
Le altre modalità educative, anche quelle meno violente come «Time out» rappresentato in italiano dal «Fila in camera tua!» solo in parte educativo perché esclusione, cioè «togliti dai piedi», non sono utili e denunciano la sconfitta del genitore che diventa punitivo perché non sa che pesci pigliare e non è in grado di stare nel conflitto o tener duro nell’azione di confronto.
 
Di certo educare è funzione complessa perché richiede equilibrio tra funzioni opposte e apparentemente contraddittorie, come partecipare con calore affettivo e contenere le richieste, dare e negare. Di fatto è più facile concedere, essere permissivi e senza confini, dre l’idea che tutto è possibile, almeno fino al Time out, che alla fine somiglia al «confino» di triste memoria, in apparenza preventivo, in realtà punizione restrittiva delle libertà individuali.
 
E proprio in relazione al «Fila in camera tua» che poco tempo fa il Consiglio d’Europa ha definito per certi versi pratica non priva di violenza e dunque da rivedere, e ha ribadito che è meglio preferire atteggiamenti inclusivi, dove prevalgono le spiegazioni dei comportamenti scorretti e dove l’uso delle regole, magari concordate con i figli più grandi, serve proprio per non arrivare al punto di non saper cosa fare e usare la punizione come soluzione.

Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento - Docente di psicologia delle età della vita
www.iovivobene.it

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