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Attesa, l’arte della pazienza – Di G. Maiolo, psicoanalista

Kant diceva: «La pazienza è la forza dei deboli e l’impazienza la debolezza dei forti»

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Di solito pensiamo che tra aspettare e attendere non ci sia differenza.
In realtà sono due verbi diversi con significati, se non opposti, divergenti, perché nell’etimo aspettare contiene l’azione del «restare a guardare qualcosa» e attendere rimanda «al volgere l’attenzione a…» che vuol dire dedicarsi e averne cura.
Non sfugge dunque che l’aspettare sia sosta dello sguardo e stato di sospensione, mentre l’attendere alluda alla tensione che si rivela nel latino «ad-tendere».
 
Si è già detto che le parole contano per il significato che hanno, per cui l’attesa non è immobilità o pigrizia.
Può sembrare noia, ma non quella che abbiamo imparato a temere per noi e per gli altri e che è stata bandita in questo nostro tempo dominato dalla frenesia e dal multitasking perché pensata erroneamente come vuoto.
Nemmeno è sospensione del pensiero o passività della mente, al contrario è una sfida all’impulsività, il coraggio della pazienza e anche l’audacia della speranza.
 
Si tratta di un agire per combattere le trappole della pulsionalità e un fare per contenere quel bisogno dominante di controllo della vita o la caparbia volontà di realizzare il futuro come lo abbiamo pensato e come lo vorremmo.
È prima di tutto pazienza, arte con cui tenere la calma senza farsi travolgere dall’urgenza. Più spesso lentezza da recuperare, quella per la quale Milan Kundera si chiedeva, «Perché è scomparso il piacere della lentezza?» (La lentezza, Adelphi).
 
Un piacere dunque che abbiamo scordato, uno stato d’animo perduto da quando i bisogni sono soddisfatti prima che insorgano e è ridotto il tempo dell’immaginazione e della fantasia.
Saper aspettare vuol dire, invece, costruire il desiderio e anche essere in grado di rimandare le proprie reazioni alle avversità, possedere determinazione e costanza per aspirare alla meta e al traguardo, dando tempo al tempo.
Non la si intenda come rassegnazione, quanto piuttosto come capacità di atteggiamenti costruttivi utili a limitare l’idea che il tempo da vivere sia quello dell’adrenalina e della velocità.
 
Serve però educarsi se si vuole contenere il «tutto e subito» che sta dietro ogni desiderio indotto, soprattutto se non siamo ancora usciti dall’epoca dei bisogni.
Saper attendere è una virtù da alimentare precocemente educando i bambini all’autocontrollo e al rispetto delle regole o alla negoziazione delle necessità.
Ma ci si riappropria della capacità di attendere anche da adulti, coltivando il «qui e ora» cioè il presente e le sue possibilità senza farsi angosciare dalla proiezione ossessiva nel futuro.
 
È l’arte di chi pianifica con clama e si allena al contenimento delle urgenze riducendo la fretta con cui si attraversano le giornate.
Chi sa attendere esercita la pazienza con la quale è possibile accettare i fallimenti e concedersi ulteriori opportunità.
Perché diceva Kant «la pazienza è la forza dei deboli e l’impazienza la debolezza dei forti».

Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento - www.iovivobene.it

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