Maurizio Panizza: «Missione compiuta» – Di Daniela Larentis
La pubblicazione è dedicata a Guido Tovazzi, simbolo della solidarietà trentina nel mondo – Intervista all’autore del libro
Maurizio Panizza con alle spalle Volano, il paese di Guido Tovazzi.
Guido Tovazzi è stato un grande uomo. Lo dicono le opere che ha realizzato, lo dicono le persone che lo hanno conosciuto, lo dicono le pagine di un meraviglioso libro scritto anni fa da Maurizio Panizza, dal titolo «Missione compiuta- In ricordo di Guido Tovazzi, simbolo della solidarietà trentina nel mondo», edito da Osiride.
È una pubblicazione che merita di essere riproposta al pubblico per molte ragioni, una delle quali è che tratta un tema di grande attualità: la povertà.
Parla di un personaggio trentino di Volano, un paese dell’alta Vallagarina, con una storia davvero singolare, un uomo realizzato, con una famiglia alle spalle, andato a vivere tra i poveri per i poveri.
Attraverso i suoi numerosissimi viaggi ha testimoniato con le sue azioni il significato della solidarietà.
«Trentaquattro viaggi solo in Africa, con mesi e mesi di permanenza complessiva. Impegni umanitari in una ventina di Paesi sparsi in giro per il mondo, fra questi, in particolare, Tanzania, Angola, Sud Africa, Costa d’Avorio, Bulgaria, Polonia, Georgia, Filippine, Brasile, Cile», scrive Maurizio Panizza nella premessa, sottolineando quanto Guido Tovazzi si sia impegnato nella realizzazione di centinaia di opere, quali pozzi, acquedotti, asili, scuole, chiese, case sociali.
Si è fermato solo perché la morte, a un certo punto, nel 1999 lo ha colto in Cile di sorpresa.
Guido Tovazzi ha scelto concretamente di fare qualcosa per i poveri del mondo. La diffusa povertà nel nostro pianeta è un dato molto preoccupante dal punto di vista etico. In un mondo culturalmente plurale il principio della redistribuzione globale delle risorse sarà una delle sfide del futuro oltre che esserlo nel presente.
Una piccola osservazione a proposito della povertà che ci circonda: ci sono diversi tipi di povertà, le povertà oggi comprendono più categorie.
Viviamo in un’epoca di povertà materiale e spirituale, in un mondo attraversato da ingiustizie, dove chi è povero è sempre più povero e chi è molto ricco sempre più ricco, ma non per questo meno solo.
Il problema più grande della nostra società è proprio l’individualismo che porta alla solitudine e alla paura.
Questo libro ci può insegnare anche quanto il sogno, il pensiero di un unico uomo possa tradursi concretamente in azioni condivise, migliorando la vita e i destini di altri uomini.
Prima di passare all’intervista, due parole sull’autore del volume, anche se non ha certo bisogno di presentazioni.
Giornalista dagli inizi degli anni Novanta, Maurizio Panizza ha prestato servizio per molti anni al quotidiano Alto Adige (l’attuale Trentino), mentre in seguito è stato direttore responsabile di alcune testate fra cui Nuove Idee e Linkè.
Oltre all’attività giornalistica, in anni più recenti si è occupato anche di sindacato, scuola e politica e attualmente è docente presso l’Università della terza età e del tempo disponibile.
Da tempo scrive sul mensile Trentino Mese ed è redattore del nostro giornale online l’Adigetto.it, titolare della rubrica «Da una foto una storia»; interviene, inoltre, spesso sulle pagine del quotidiano l’Adige con contributi di attualità o di costume.
Avvicinandosi alla Storia del Trentino, da qualche anno si è specializzato nell’indagare avvenimenti e personaggi del passato portando alla luce vicende sconosciute poi riproposte in Tv in collaborazione con Rai 3. Sempre per lo stesso filone d’indagine, si è recentemente dedicato alla documentaristica storica producendo con il regista Federico Maraner un cortometraggio dal titolo «Come uccelli d’argento», che racconta del primo e più tragico bombardamento su Rovereto della Seconda Guerra Mondiale, dando voce agli ultimi sopravvissuti e svelando retroscena finora inediti.
È attualmente impegnato nel programma «Trentino da raccontare» per Rai Radio1 (in onda da aprile a giugno tutti i venerdì, alle 12.25), proponendo agli ascoltatori le sue indagini storiche.
Fra le diverse altre pubblicazioni al suo attivo, segnaliamo: «Eroe plebeo», Edizioni Stella (2003); «Antiche strade», Edizioni Osiride (2011), «Diario familiare» (2018), Edizioni Curcu Genovese.
Rita Zandarco (al centro), vedova di Guido Tovazzi, nel suo ultimo viaggio compiuto in Tanzania.
Come è nata innanzitutto l’idea di questo libro dedicato a un uomo che è stato ed è ancora il simbolo della solidarietà trentina nel mondo?
«A dire la verità, l’idea non è stata mia. Nel 2007, in vista del decimo anniversario della morte di Guido Tovazzi, protagonista del libro, don Carmelo Boschi di Volano mi sollecitò a fare qualcosa per ricordare quel suo grande amico che io, sinceramente, fino a quel momento conoscevo ben poco. Pensavo all’inizio di scrivere un articolo per il giornale, ma poi, come abbiamo visto, ne è uscito qualcosa di più.»
Come mai dall’idea iniziale di un semplice articolo ne è poi scaturito un libro?
«I motivi sono diversi, tuttavia due in particolare sono state le circostanze che hanno giocato in tal senso. Il primo motivo, molto concreto, sta nella grande quantità di notizie e di documenti fornitimi dalla famiglia di Guido in merito ai suoi vent’anni di progetti realizzati in mezzo mondo.
«Il secondo, più ideale, è stata la consapevolezza di avere di fronte una figura che meritava di passare dalla dimensione del ricordo familiare a quella della memoria collettiva.
«Aggiungo, a tal proposito, che ho sempre serbato per don Carmelo un senso di riconoscenza per avere insistito affinché allora accettassi quel suo invito.
«L’idea di un omaggio pubblico a Guido Tovazzi, ne sono sempre più convinto, era assolutamente da condividere.»
Il protagonista della storia è appunto Guido Tovazzi. Chi era e perché sul finire degli anni Settanta del Novecento decise di lasciare tutto e diventare «missionario laico» in terra africana?
«Guido, all’epoca, era un imprenditore affermato. Realizzava nella sua ben avviata officina attrezzi agricoli e soprattutto rimorchi per trattore che ancora oggi, a distanza di tanti anni, possiamo vedere in giro per il Trentino con stampata la scritta Tovazzi-Volano.
«Era uno che lavorava sodo e che diceva pane al pane e vino al vino senza bisogno di tanti giri di parole. Lei mi chiede quale fu la circostanza che diede una svolta alla sua vita.
«Senza svelare in anteprima la sua storia, posso dire semplicemente che un giorno incontrò per caso un missionario e ascoltando le sue parole si rese conto che se da una parte poteva dirsi arrivato, dall’altra aveva ancora tanta strada da percorrere. La strada, ovviamente, era quella della solidarietà.»
Guido Tovazzi non andò solo in Africa, si recò anche in altri luoghi sparsi per il mondo, come la Polonia, la Bulgaria, le Filippine, il Brasile, il Cile, citandone alcuni. Come viveva concretamente la sua idea di solidarietà?
«Potrei dire che Guido viveva l’idea di solidarietà nello stesso modo in cui era solito affrontare la sua vita e il suo lavoro: con tanta passione e concretezza.
«Da uomo di azione, il suo metodo consisteva essenzialmente nel valutare il problema, nel condividerlo con chi gli stava attorno, per arrivare, poi, a realizzare al più presto quello che era stato deciso.
«Era, in poche parole, un uomo che sapeva assumersi le sue responsabilità fino in fondo.
«Se posso dirlo con una battuta, non era certamente uno di quelli, che conosciamo anche oggi, che amano dire armiamoci e partite.»
23 gennaio 1999. Guido Tovazzi, sorridente, all’arrivo all’aeroporto di Santiago del Cile. Al suo fianco padre Pietro Zappini e un volontario. Questa è l’ultima foto di Guido, meno di una settimana dopo morirà d’infarto in missione.
Il suo grande impegno umanitario venne interrotto bruscamente in Cile nel 1999. A vent’anni dalla sua scomparsa qual è il concetto di «comunità» che ci ha lasciato e in cui credeva, a suo avviso?
«Beh, se Guido è morto vent’anni fa, non possiamo certamente dire altrettanto dei suoi progetti e del suo esempio. Quelli, in realtà, hanno continuato a vivere anche senza di lui, sia perché le associazioni da lui create e sostenute non sono mai venute meno, sia perché le sue figlie e la moglie Rita, in particolare, non hanno mai smesso di contribuire a far crescere quei semi di solidarietà piantati dal loro padre e marito.
«L’eredità spirituale, se possiamo chiamarla così, lasciataci da Guido è racchiusa in poche azioni semplici, ma di grande valore: l’accoglienza, intesa come apertura verso il prossimo, senza pregiudizi di cultura, di razza o di religione; la generosità di volere e sapere donare senza l’attesa di alcun riconoscimento materiale; l’impegno diretto in terre lontane bisognose di aiuto che, seppur difficile da proporre come modello su larga scala, di sicuro rimane come una luminosa testimonianza per quanto possibile da imitare.
«A me piace ricordare Guido come un soldato senza armi che ha combattuto in prima linea per il bene degli altri. In tal senso la sua morte sul campo di battaglia del volontariato rappresenta il sigillo di una vita vissuta in amicizia e solidarietà con il mondo.»
In un mondo come il nostro, sempre più individualista e incerto, dove le persone sembrano intente a perseguire solo i propri interessi, si ha davvero l’impressione che l’idea di comunità sia molto cambiato, che si stia in qualche modo disintegrando. Qual è il suo pensiero a tale proposito?
«Non so se sia effettivamente vero che l’idea di comunità e di solidarietà siano oggi, per così dire, a rischio di estinzione. In proposito ho una mia teoria molto personale.
«A mio avviso, il fatto è che se in passato esistevano tantissimi gruppi di volontariato e iniziative di solidarietà a favore delle cause più disparate, c’era anche una buona parte di popolazione silenziosa che in qualche modo condivideva quelle azioni o quanto meno non aveva nulla da ridire in contrario.
«Non c’era, insomma, nessuno schierato contro per partito preso e coloro che si impegnavano per il prossimo – chiunque fossero – se non ammirati, erano perlomeno considerati con grande rispetto. Stessa cosa accadeva pure in politica.
«Oggi, esempi poco edificanti assieme a una paura spesso ingiustificata del futuro e al timore di perdere le proprie rendite di posizione hanno compromesso l’equilibrio su cui si basava quel tacito accordo.
«Oggi c’è chi critica per pregiudizio e chi grida per egoismo, ma secondo me non sono molti sulla totalità delle persone facenti parte delle nostre comunità. Sono solamente più rumorosi e insicuri di quelli che anni fa tacevano e ai quali della solidarietà e della comunità importava comunque poco già allora. Come a dire, ricorrendo a un vecchio adagio, che fa più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che cresce. «Per questo ritengo che coloro che oggi si occupano ancora di mantenere viva una comunità, di fare volontariato o anche solamente di condividerne i principi, non siano meno numerosi in senso assoluto di quelli di un tempo. Semmai, purtroppo, credo siano più soli.»
Come ha osservato Ulrich Beck, e ha sottolineato Zygmunt Bauman nel suo saggio intitolato «Voglia di comunità», nella nostra società siamo indotti a cercare «soluzioni personali a contraddizioni sistemiche». L’insicurezza attanaglia tutti ma ognuno consuma la propria paura e la propria ansia vivendola come un problema individuale. Che cosa rappresenta per lei oggi la comunità? Che tipo di mondo incarna, a suo parere?
«Se una delle aspirazioni dell’uomo è anche quella di sentirsi libero in sicurezza, credo che ci sarà ancora un tempo in cui le persone si avvicineranno con rinnovata convinzione allo spirito di comunità, quello che da solo può far sentire sereno un individuo. La comunità, infatti, è un elemento fondamentale per una vita felice.
«Basta guardare nel mondo cosa accade: dove c’è comunità c’è felicità, dove c’è individualismo c’è paura e insoddisfazione. E Guido Tovazzi aveva potuto toccare con mano ciò che sto dicendo. Nel corso dei suoi numerosi viaggi aveva incontrato gente povera, ma unita, gente che faceva dello stare in comunità il proprio modo di vivere in armonia, aiutandosi gli uni con gli altri.
«Da queste popolazioni, Guido era rimasto affascinato, aveva imparato molto e ne aveva conservato lo spirito, cercando, per quanto possibile, di tenerlo sempre in evidenza nel corso della sua vita.»
Nel breve saggio intitolato «Solidarietà», don Luigi Ciotti afferma di credere in «una politica che torni a essere servizio, che sappia parlare con la voce del bene comune invece che con quella del privilegio, con la voce della comunità e non con quella dell’immunità. Una politica che sappia trasformare le paure in speranza, in opportunità». Cosa pensa a riguardo?
«Credo che la convinzione ottimistica di don Ciotti sia da condividere. Anch’io penso che dopo l’ubriacatura dell’individualismo e la svalutazione dello spirito di solidarietà arriverà un momento in cui non solo la politica, ma tutti i rapporti sociali fra le persone cambieranno in positivo.
«Quando e come avverrà questa trasformazione non so dirlo, ovviamente. Sono però sicuro che accadrà e spero vivamente che ciò possa avvenire attraverso un processo pacifico di consapevolezza nel riconoscere che il bene del singolo passa necessariamente attraverso il bene della comunità.»
Lei è sempre molto attivo e ha in corso numerosi ed interessanti progetti. Può darci qualche anticipazione?
«In questo periodo sto lavorando ad un programma per Rai Radio1 che tutti i venerdì, alle 12.25 - da aprile fino alla fine di giugno - proporrà agli ascoltatori una delle mie indagini storiche.
«La trasmissione è intitolata Trentino da raccontare ed è il prodotto di un lavoro di gruppo all’interno del quale io fornisco i testi, l’attore Andrea Franzoi la voce narrante, Flavio Pedrotti la regia e Alessandro Ravagni la collaborazione tecnica.
«Per quanto riguarda il mio impegno nel campo dell’editoria, posso anticipare che entro l’autunno andrà in stampa, per la casa editrice Curcu Genovese, un volume che raccoglierà appunto queste e altre storie che nel corso degli ultimi anni ho portato alla luce attraverso inchieste storiche e giudiziarie, testimonianze, documenti e foto inedite.
«Inoltre, con il regista Federico Maraner, sto lavorando alla realizzazione di un documentario che avrà come focus la Seconda Guerra Mondiale e il primo dopoguerra in Trentino, in un ambito del tutto particolare - quello dei bambini vittime di esplosioni - finora ben poco raccontato e di difficile commemorazione.»
Daniela Larentis – [email protected]
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