«Alchimia del colore» – Di Daniela Larentis
La personale dell’artista Leonardo Checchia, curata da Stefania Segatta, è visitabile a Palazzo Libera a Villa Lagarina fino al 26 maggio – L’intervista
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A Villa Lagarina, nello spazio espositivo di Palazzo Libera è da poco stata inaugurata «Alchimia del colore», la personale dell’artista Leonardo Checchia a cura di Stefania Segatta.
Sarà visitabile fino al 26 maggio nei seguenti orari: venerdì, sabato, domenica e festivi dalle 10.00 alle 18.00 (da lunedì a giovedì chiuso).
Leonardo Checchia è un raffinato artista, le sue opere dal forte impatto estetico sembrano descrivere scenari onirici, dando l’impressione di evocare suoni, profumi, immagini di estati calde piene di allegria, di onde che si infrangono sulla battigia, di schiamazzi di bambini gioiosi, di brezza marina, ma anche di tavole imbandite, di notti stellate: pullulano di vita.
I suoi dipinti mal si adattano ad essere ascritti a un filone artistico preciso, i colori che utilizza predominano su tutto, introducendo l’osservatore in un’atmosfera quasi fiabesca.
Questa è l’impressione che siamo riusciti a cogliere osservandole.
Spiega la curatrice nel suo intervento critico: «L’intento di questa mostra è di proporre una fruizione come scrive Rimbaud poetica e accessibile, per collocare al centro, privilegiare, il dialogo tra l’osservatore e l’opera d’arte.
«Musica, colore, naturalezza, spontaneità, anteponendo per il tempo necessario le spiegazioni, i paradigmi storico artistici e le definizioni troppo circoscritte.
«Indispensabili la sola libertà di pensiero e l’intenzione di infrangere la superficie della tela per immergersi nell’essenza dei quadri, nella compresenza di tonalità e sfumature, di bagliori di luce e di penombre, di suggestioni che sconfinano oltre i margini delle cornici in un impeto vitale: un essere organico e pulsante.
«Un abbandono permesso da un linguaggio rigoroso, equilibrato, che parta dai fondamenti della pittura per evocare dimensioni e panorami di senso più complessi, per consentire un’interpretazione plurale delle opere, senza circoscrivere l’immaginario e frenare il gioco di corrispondenze e impulsi salutari.
«In questa cornice di pensiero è giusto dare solo qualche spunto all’osservatore: l’invito a cogliere cautamente - in opere che rasentano l’astratto, - i sorrisi, l’abbozzo di qualche figura, la psicologia profonda dei quadri, che si delinea come un riflesso preciso della psicologia umana in costante evoluzione.»
Abbiamo avuto il piacere di porgere a Leonardo Checchia alcune domande.
Quando e come nasce l’idea di questa mostra?
«L’idea di questa mostra nasce dall’incontro stimolante con la talentuosa e sensibile curatrice Stefania Segatta. È stata lei a individuare il contenitore ideale e di conseguenza la traduzione espressiva di questa mostra.
«La mia intenzione, che poi abbiamo condiviso, è stata solo quella di provare a strutturare una mostra che fosse poetica ed accessibile, nella quale il colore, poi, (lei ha aggiunto) avesse una forte predominanza.
«L’ambito di ricerca ha condizionato fortemente la scelta dei quadri, costringendoci a trascurarne alcuni altri, piuttosto significativi, a cui sono particolarmente legato.
«Il valore aggiunto, inoltre, è rappresentato dal magnifico spazio di Palazzo Libera, messo a disposizione dal Comune di Villa Lagarina in persona del vicesindaco, assessore alla cultura Marco Vender, che in buona parte hanno reso possibile questo evento valorizzandolo adeguatamente.
«A noi sembra di aver ben colto nel segno, però lasciamo ai visitatori la personale valutazione.»
Quando si è avvicinato alla pittura per la prima volta?
«Ho sempre avuto una forte, istintiva, inclinazione per il disegno e per la pittura, fin da bambino molto piccolo, tanto da riuscire a farlo per un piccolo periodo, durante la scuola elementare, di mestiere, perché ogni anno per tutto il mese di dicembre venivo esentato in una buona parte dalle incombenze scolastiche per potermi dedicare agli addobbi pittorico-natalizi.
«Insomma venivo nominato pittore ufficiale dell’istituto, ma ancora ignoro se a scapito o a vantaggio della mia formazione scolastica o della scuola.»
Da dove trae maggiormente ispirazione, dalla natura o sono le persone a destare in lei maggior curiosità e interesse?
«L’ispirazione è un’idea romantica. C’è moltissimo lavoro dietro qualsiasi espressione che attiene minimamente all’arte. Un artista è necessariamente interessato, talmente dentro a tutta la complessità dell’esistenza, (non solo curioso di qualche aspetto), da poterne essere in alcuni casi persino sopraffatto, fino al punto estremo di negarla.
«Devo molto, comunque a tutte le persone che mi hanno amato o soltanto dedicato attenzione, contribuendo ad arricchire il mio mondo d’immagini. Spero d’esser riuscito a ricambiare in qualche modo, seppur minimo, il tanto che ho ricevuto.
«Esporre, per me, è soprattutto l’occasione per comunicare, il tentativo di restituire emozioni; una parte intima di me, che non è sempre capace di affiorare, di donarsi naturalmente, a volte sopraffatta da un atteggiamento un po’ cinico e disincantato.»
C’è qualche particolare messaggio che desidera trasmettere attraverso i suoi lavori artistici?
«Proteggere sempre, ad ogni costo, la bellezza. È una virtù molto fragile e a rischio anche quando si cerca, in buona fede, di favorirla.»
Qual è la tecnica che lei predilige fra quelle da lei utilizzate?
«Dipende da cosa desidero esprimere. Preferisco l’olio per la sua versatilità.»
I suoi quadri sembrano descrivere scenari onirici, sono stati associati al sonetto «Vocali» di Rimbaud, in cui «il poeta maledetto» trasforma le lettere in colori e i colori in immagini, la sua poesia è simbolista. I colori nei suoi dipinti sono dei significanti che rimandano a precisi significati? Che valore assumono nell’opera?
«A volte sì, ma non è importante neppure svelarli. Un quadro astratto è come un viaggio, che può rimanere anche ignoto fino alla fine e ognuno di noi che guarda lo può organizzare come meglio crede in forza dei suoi bisogni e del proprio vissuto. Esattamente come con la nostra vita.»
Secondo lei è più potente l’immagine o la parola?
«Parole ed immagini si correlano, da sempre, in quell’istanza significante/significato che ci consente di elaborare pensieri, emozioni, sentimenti e tutto quell’immane patrimonio di senso che costituisce la nostra più intima e peculiare natura umana.
«Possono legarsi in alchimie complesse di idee narrative, e persino disporsi a formare, esse stesse, geometrie di segni articolati. Ci sono immagini sature di informazioni, o parole appropriate, che disvelano mondi, universi sensibili di verità e concretezza.
«Entrambe sono molto efficaci se usate con grande abilità, anche se ritengo che non si possa parlare di una forma più potente di un’altra in assoluto.»
Progetti futuri e sogni nel cassetto?
«Trovare spazi espositivi è piuttosto difficile. Spero di poter allestire ancora delle belle mostre come questa in corso a Villa Lagarina.
«Vorrei che l’arte fosse percepita più diffusamente come una necessità dello spirito, più che come un ameno passatempo e con la consapevolezza di un arricchimento che passa dalla riflessione condivisa sulla nostra condizione umana.»
Daniela Larentis – [email protected]
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