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«I guardiani del silenzio» di Bruno Lucchi – Di Daniela Larentis

Lungo le vie e le piazze del centro storico di Pordenone, «l’artista dell’anima» ha recentemente esposto una trentina di opere monumentali – L’intervista

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Tutte le foto sono di Davide Fazio.
 
Pordenone ha ospitato una monumentale mostra a cielo aperto intitolata «I guardiani del silenzio», curata da Boris Brollo, una trentina di opere di grandi dimensioni dell’artista Bruno Lucchi, esposte fino al mese scorso nel cuore cittadino.
«Guardiani muti ed immoti – sottolinea il curatore – a protezione di qualsivoglia pensiero puro.
«Essi spezzano il vento; essi si specchiano nelle nuvole e nel cielo. Essi sono a guardia del Silenzio della Natura in cui sono immersi.
«Silenzio originario e naturale rotto solo dal rumore/suono dell’uomo che del silenzio ne fa una pausa artificiale.»
 
I «giganti muti» del celebre scultore trentino, collegando lungo il percorso espositivo le numerose vie e piazze, sono entrati da gennaio a marzo in profonda relazione dialogica con i pordenonesi e con i numerosi turisti che sempre affollano la meravigliosa città, valorizzandone il centro storico.
Sono opere che, utilizzando il linguaggio di Martin Bubber, il celebre «filosofo del dialogo», assumono la dignità di un soggetto interlocutore, diventando un Tu e non restando un Esso.
 

Bruno Lucchi e Graziella Falchi.
 
Un itinerario di «bellezza e stupore» che ha invitato ad aprirsi a una dimensione dell’ascolto interiore, diventando mezzo di ricerca spirituale, come del resto tutte le esposizioni di Bruno Lucchi (pensiamo, per citarne alcune, a quella allestita al Muse, Museo delle Scienze di Trento, dal titolo «Lo spazio abitato»; alla più recente mostra intitolata «Parole scavate», allestita al Forte Colle delle Benne, Levico Terme, o alla prestigiosa esposizione di qualche anno fa, intitolata «Picasso in time e Bruno Lucchi», organizzata a Gap, in Francia, ospitata nella sala espositiva della città, la Grange).
 
Ricordiamo che a Levico, Trento, la cittadina termale dove è nato e dove tuttora vive e lavora con la compagna di una vita, la curatrice Graziella Falchi, è allestita una mostra permanente, il Molo51, uno spazio espositivo che testimonia il suo percorso artistico.
Bruno Lucchi è un apprezzato artista, noto sia a livello nazionale che internazionale, dagli inizi degli anni Novanta conta al suo attivo circa duecento esposizioni personali e seicento collettive, realizzate in importanti sedi pubbliche e private e in prestigiose gallerie d’arte italiane ed estere.
 
Come abbiamo in più occasioni sottolineato, la terra è da sempre la materia da cui nascono le sue figure, che con il rito del fuoco trasforma in terracotta nel suo atelier, diventando poi bronzi e porcellane.
Nel tempo, la sua ricerca lo ha condotto alla sperimentazione di nuovi materiali: con l’acciaio Corten, si cimenta nella costruzione di installazioni enormi dal forte impatto estetico e, con il mosaico, in tecnica moderna, rinnova l’antichissima tradizione portandola al contemporaneo.
 

 
Abbiamo avuto il piacere di rivolgergli alcune domande.
Si è appena conclusa a Pordenone l’importante esposizione intitolata «I guardiani del silenzio». Come è nata l’idea di questa mostra a cielo aperto e da chi è stata curata?
«È un progetto voluto dalla Presidenza dell’ente Pordenone Fiere, che mi ha voluto ospite alla manifestazione d’arte e antiquariato. Curata dal critico Boris Brollo, la mostra dopo essere stata ospite nei padiglioni Pordenone Fiere, è stata presa in carico dal comune di Pordenone, fra loro c’è una proficua collaborazione.
«Le mie opere hanno invaso in un suggestivo percorso artistico le vie, le piazze, la loggia, e il museo della città, in quello che la stampa ha definito l’itinerario di stupore e bellezza.
«Un pieghevole e un catalogo hanno accompagnato i visitatori nel centro storico della città.»
 
Partiamo dal titolo: chi sono i «guardiani del silenzio», queste opere di grandi dimensioni che sembrano incutere timore e grande rispetto? Quante sono e con che criterio sono state selezionate?
«Mi piace l’idea che ci siano i Guardiani del silenzio, che a volte prendono anche il nome di Custodi del silenzio, il silenzio è riflessione.
«Forse è questo silenzio che incute timore, non siamo più abituati al silenzio e alla riflessione e probabilmente non siamo abituati alla presenza della scultura, soprattutto se di grandi dimensioni. Sono 70 le opere a Pordenone, suddivise in 17 installazioni.
«Per il trasporto ci sono voluti quattro grossi camion. Le abbiamo scelte in base agli spazi e agli ingombri, assieme alla responsabile dell’arredo urbano di Pordenone.»
 

 
Lei esorta spesso il visitatore a «toccare» le sue opere…
«Proprio per quel timore di cui dicevamo prima, il tatto è liberatorio ed è l’unico senso che ci permette di percepire stimoli che con la vista non è possibile raggiungere, proviamo a farlo, magari con gli occhi chiusi, potrebbe diventare un bel gioco.»
 
In occasione delle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra lei ha allestito una doppia monumentale mostra al Forte delle Benne, Levico Terme, alla quale avevamo a suo tempo dedicato un articolo. In estrema sintesi, ricordando l’eccezionale evento, potrebbe condividere con noi qualche considerazione sulla funzione che l’arte può assumere nell’epoca contemporanea?
«Sono molteplici le funzioni che l’arte ha avuto e che ha ancora oggi, in primis perseguire la bellezza, mai come ora ne abbiamo bisogno. Ma anche puntualizzare eventi, come lo è stata la Grande Guerra.
«L’esposizione ne ha ricordato la tragicità attraverso la bellezza dell’arte e della poesia, scritta da chi ha vissuto quella esperienza drammatica.
«Oltre al prezioso volume Parole scavate che racconta questa mostra, a breve uscirà il film Caro Giuseppe, realizzato prima della disinstallazione della stessa.»
 
Una curiosità: la tecnica da lei maggiormente utilizzata nella realizzazione delle sue opere è la fusione del bronzo a cera persa. Cosa l’affascina maggiormente di questa antica lavorazione? Potrebbe condividere con noi qualche pensiero a riguardo?
«La fusione in bronzo a cera persa è la tecnica usata da millenni per creare opere destinate a rimanere inalterate nel tempo. È da ventisei anni che con l’aiuto delle maestranze delle fonderie creo opere di qualità anche dal punto di vista tecnico.
«Fra le molte fasi di questa lavorazione, sicuramente fra le più importanti è il ritocco delle cere, uno dei passaggi dove l’artista deve assolutamente intervenire personalmente.
«Si interviene sulla cera con utensili riscaldati, levando le bave e le piccole imperfezioni per riprendere il modellato originale. Questo fa sì, che ogni esemplare sia diverso dagli altri grazie ai passaggi di lavorazione manuale sull’opera stessa.»
 

 
In questi ultimi anni di grande produzione artistica quali sono state le maggiori soddisfazioni raggiunte, oltre a quelle a cui abbiamo accennato? C‘è qualche evento che vorrebbe ricordare in particolare?
«Sicuramente la mostra Lo spazio abitato al Muse, nel quartiere delle Albere, con il patrocinio dell’assessorato alla cultura della Provincia di Trento.
«Forse, la soddisfazione più importante è stata la creazione del Molo51, non sono solo un semplice deposito pronto ad accogliere le sculture al rientro o in partenza per nuove esposizioni, ma anche una mostra permanente in grado di documentare il mio lavoro nel modo più organico e completo.»
 
A cosa sta lavorando attualmente?
«Sto cercando di ultimare alcune opere di grandi dimensioni in acciaio, si tratta di un nuovo progetto, non vedo l’ora di vederlo finito.»
 
Progetti futuri?
«A maggio si inizia a montare la mostra voluta dal comune di Jesolo, che si inaugurerà ai primi di giugno, dopo la stampa del catalogo.
«Sempre a giugno, ritorno con una personale a Ca’ Lozzio incontri, uno spazio incredibile vicino al Oderzo, dove vent’anni fa Gina Roma aveva voluto, forse, la mia prima importante mostra, con la presentazione del critico Luigi Serravalli.
Si inaugurerà il sedici, a Piavon di Oderzo, con presentazione del critico Boris Brollo. Infine, il più importante e impegnativo progetto, finire il restauro del Molo 51 e inaugurare il nuovo Spazio51».
 
Daniela Larentis – [email protected]

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