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«Gli incerti posti» di Marco Montemarano – Di Daniela Larentis

Il suo ultimo romanzo presentato a Trento dalla giornalista Luciana Grillo alla libreria Mondadori – Intervista all’autore

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Lo scorso martedì 13 febbraio, lo scrittore Marco Montemarano era a Trento presso la libreria Mondadori alla presentazione di «Incerti posti», il suo ultimo libro edito da Morellini.
Moderatrice dell’evento la giornalista e scrittrice Luciana Grillo, la quale ha presentato il romanzo in maniera avvincente al folto e attento pubblico in sala.
Il libro è la narrazione di due storie parallele che si intrecciano, quella di Antonio, un adolescente che pratica il parkour (la disciplina metropolitana che insegna a vincere la paura superando ogni ostacolo), e che non sa chi sia in realtà suo padre, e un manager quarantenne in cerca della propria identità e ossessionato da un accadimento sepolto nel suo passato.
Due parole su Marco Montemarano, un eclettico scrittore che nella vita è anche giornalista, musicista, speaker radiofonico e insegnante.
Nato a Milano e cresciuto a Roma, vive dal 1990 in Germania. 
 
Il suo romanzo «Acqua passata» (2012) è fra i vincitori del Concorso «IoScrittore».
È inoltre vincitore con il romanzo «La ricchezza» (2013) del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza 2013 tra quasi 2000 concorrenti o poco meno.
Il romanzo «Un solo essere», edito da Neri Pozza (2015), rievoca, rielaborandola, la drammatica vicenda di Domenico Lorusso, ingegnere italiano ucciso a Monaco nel 2013.
Per Morellini ha pubblicato anche i racconti «Conversazione romana» (in Roma d’autore, 2015) e «Heike» (in Monaco d’autore, 2016).
Montemarano ha catalizzato l’attenzione dei presenti rispondendo alle molte domande del pubblico e condividendo anche dei frammenti della sua infanzia, ricordando la madre.
Nell’occasione abbiamo avuto il piacere di porgergli alcune domande.
 

 
Dove trae origine il titolo «incerti posti», cosa rappresentano i luoghi in cui si svolge la narrazione?
«I luoghi della contemporaneità sono sempre più incerti, nel senso che trovo che con il passare dei decenni sia diventato sempre più difficile in un’epoca piena di migrazioni, trasferimenti ecc., radicarsi in un luogo.
«I protagonisti del romanzo, in particolare, non sono radicati nel luogo in cui vivono. C’è Antonio, un ragazzo di sedici anni, che vive in una periferia degradata che non sente sua, e c’è Matteo, quarantadue anni, un italiano di successo, andato ad abitare in una città del nord.
«Di questa città del nord, dove vive da quindici anni, conosce, però, le poche strade che lo portano al lavoro e i ristoranti che frequenta la sera. Incerti posti sono quindi dei posti dove è sempre più difficile radicarsi.»
 
Cosa accomuna i due personaggi del libro, l’adolescente Antonio e Matteo, l’uomo maturo?
«Entrambi devono risolvere un problema fondamentale della loro vita. Entrambi sono bloccati, Antonio da circostanze esterne, dal fatto di avere una madre distratta, dal fatto di vivere in una periferia degradata, di essere perseguitato dai bulli, dal fatto di non sapere chi è suo padre.
«Matteo è bloccato invece da se stesso, anche da un trauma infantile e da uno stile di vita contemporaneo: lui ha un bel lavoro, guadagna bene ma è sempre solo.
«Vive in una città straniera con cui non si identifica. Entrambi devono quindi sbloccarsi e ognuno troverà nell’altro la chiave per farlo.»
 
Ai genitori di oggi spetta un compito difficile, quello di educare i figli in un mondo che corrompe e pieno insidie. Come è diversa, secondo lei, la gioventù metropolitana di oggi rispetto a quella di 30-40 anni fa?
«Ogni generazione ha delle sue caratteristiche, ha delle mode, ha la sua cultura, ha il suo modo di impadronirsi della propria vita, del proprio presente, però queste sono esteriorità. Io trovo che ogni generazione debba affrontare gli stessi problemi, in fondo, fondamentalmente trovare un’identità.
«L’attuale generazione di adolescenti, almeno nei Paesi occidentali, ha una difficoltà in più, rispetto a quella di 30-40 anni fa: gli adolescenti sono socialmente pochi, sono sociologicamente un’esigua percentuale della popolazione globale, popolazione che invecchia sempre di più. E questo aumenta le loro difficoltà.
«Se c’è una differenza fra gli adolescenti che eravamo noi 30-40 anni fa e gli adolescenti di oggi è proprio questa.»
 
Che messaggio ha voluto trasmettere attraverso questo romanzo?
«Non c’è un messaggio specifico. Credo che scrivere un romanzo voglia dire raccontare delle storie, possono essere storie esemplari di un certo momento anche storico o sociale, secondo me caricare di messaggi un’opera narrativa sarebbe comunque fuorviante. Detto questo, forse una cosa da dire ce l’avrei a riguardo, io sto sempre dalla parte dei giovani.»
 
Lei ha al suo attivo numerose pubblicazioni: quando ha deciso di diventare scrittore e che consiglio si sentirebbe di dare ai giovani che volessero intraprendere questa professione?
«Io vivo da 28 anni in Germania e in questi 28 anni ho sempre scritto per mantenere, soprattutto, un legame con la mia madre lingua. Questo è il motivo principale per cui ho continuato a scrivere. La decisione vera e propria non c’è stata.
«Qualche anno fa, mi è capitato di classificarmi fra i primi a un Premio letterario e di vincere un altro Premio letterario importante, da quel momento ho incominciato a pubblicare con regolarità. Il consiglio che darei è di scrivere, lavorare e leggere, soprattutto di non perdersi mai d’animo. Lavorare seriamente. Il lavoro serio alla fine paga.»
 
Progetti futuri?
«Sto lavorando a un nuovo romanzo che ho quasi concluso, in realtà. In più c’è una raccolta di racconti che vorrei sottoporre all’editoria, sperando di trovare un buon riscontro.»
 
Di che romanzo si tratta e che tema affrontano i racconti?
«È uno di quei romanzi che una volta si chiamavano distopici. È ambientato in una realtà simile alla nostra, però un po’ proiettata nel futuro. I racconti, invece, girano intorno a un tema che secondo me è poco trattato nella letteratura, quello della solitudine del maschio di mezza età.»
 
Daniela Larentis – [email protected]

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