«Gli incontri del giovedì»: 6 aprile 2017 – Di Daniela Larentis
Con Marcello Bonazza, Mirko Saltori, Emanuele Curzel e Luca Gabrielli, a Mezzolombardo si parlerà della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche
Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino, denominato «Gli incontri del giovedì», organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, prosegue con l’appuntamento di giovedì prossimo, il penultimo, presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17.
Giovedì 6 aprile 2017 alle 20.30, si parlerà della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche con il presidente Marcello Bonazza, il vicepresidente Mirko Saltori e i direttori delle riviste «Storia» e «Arte», rispettivamente Emanuele Curzel e Luca Gabrielli, ai quali abbiamo avuto il privilegio di rivolgere alcune domande sull’importante attività editoriale della Società di Studi Trentini. Due parole su di loro prima di passare alle interviste.
Emanuele Curzel conta al suo attivo una laurea in Lettere Moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento, un diploma di Magistero in Scienze Religiose presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, Istituto Superiore di Scienze Religiose delle Venezie, un Dottorato di Ricerca in Storia Medioevale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Fra le varie esperienze lavorative maturate ricordiamo che è stato insegnante di ruolo di scuola superiore, dal 2016 professore associato di storia medioevale presso la facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Trento, ha tenuto corsi di Storia della Chiesa e di Storia della Chiesa locale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose a Bolzano e di storia presso la Scuola di paleografia, archivistica e diplomatica dell’Archivio di Stato di Bolzano.
Ha diretto dal 2000 al 2016 la rivista «Il Margine», dal 2010 è direttore della rivista «Studi Trentini di Scienze Storiche» (dal 2011 «Studi Trentini. Storia»).
È inoltre socio dell’Accademia Roveretana degli Agiati e dell’Associazione Internazionale per le Ricerche sui Santuari.
«La Società di Studi Trentini di Scienze Storiche presenta se stessa e la sua recente attività editoriale» è il titolo dell’incontro del prossimo 6 aprile organizzato dall’Associazione Castelli del Trentino. Ci può dare qualche breve informazione per inquadrare l’argomento che verrà affrontato nel corso della serata?
«La nostra rivista esiste dal 1920, ma è l’eredità di altre, fondate negli ultimi anni del XIX secolo e agli inizi del XX dai migliori esponenti della cultura trentina, che collaborarono (spesso prescindendo dai loro orientamenti politici) nella convinzione che la difesa dell’identità trentina passasse anche attraverso la ricostruzione della storia del territorio.
«La Società di Studi Trentini di Scienze Storiche continua a operare anche nel XXI secolo, con qualche preoccupazione identitaria in meno ma con costante attenzione alla qualità di ciò che propone sulle pagine delle sue riviste e con impegno diretto a valorizzare l’attività degli studiosi più giovani.
«La serata di Mezzolombardo è un’occasione per presentare al pubblico la sua attività più recente.»
Lei è direttore di «Studi Trentini. Storia», la rivista pubblicata semestralmente dalla Società, come anche «Studi Trentini. Arte». Le due testate costituiscono dal 2011 la prosecuzione del periodico «Studi Trentini di Scienze Storiche», nato a Trento nel 1920.
Da quale esigenza è scaturita a suo tempo questa divisione?
«La divisione risale in verità alla metà degli anni Settanta, quando si volle dare uno spazio specifico all’attività delle ripartizioni culturali della Provincia autonoma di Trento, in particolar modo in ambito storico-artistico.
«Quella che fino al 1975 era un’unica rivista si doppiò in due sezioni: la sezione prima, che mantenne un’attenzione più specifica alla storia, mentre la sezione seconda era dedicata soprattutto agli studi storico-artistici.
«Nel 2011 abbiamo semplicemente cambiato le testate, per rendere più chiari gli ambiti di interesse: la sezione prima è diventata Studi Trentini. Storia e la sezione seconda (dal 2016 diretta da Luca Gabrielli) Studi Trentini. Arte.»
Potrebbe condividere qualche considerazione sull’anno appena trascorso?
Quali sono stati i contributi di maggior rilievo, relativamente alla rivista da lei diretta, ci può fare qualche esempio?
«Non vorrei che la menzione di qualche particolare contributo oscurasse quello che è il vero elemento da rilevare: in un’epoca di generale difficoltà per le attività culturali ed editoriali siamo riusciti ancora una volta a dare continuità alla rivista, pubblicando nei tempi previsti due corposi fascicoli ricchi e tematicamente vari.
«Il tutto, sottolineo, si è basato sul volontariato: contributi pubblici e privati e quote di abbonamento pagano le spese di organizzazione e di stampa, mentre nessun compenso è dato agli autori e ai redattori.
«Dopo di che, si può ricordare che una parte del n. 1/2016 è stata dedicata a una rilettura dell’attività di Antonio Zieger, uno dei più importanti (e controversi) storiografi trentini del Novecento; sul n. 2/2016 hanno invece trovato spazio gli atti di una giornata di studi dedicata agli archivi familiari come fonte per la storia dell’impresa economica.»
Nell’incontro verrà presentata la rivista n. 1/2017. Ci potrebbe dare qualche anticipazione a riguardo?
«Vi sono due brevi testi introduttivi, uno dedicato al rapporto tra la città di Trento e la memoria del Concilio che ospitò, l’altro al tema della divulgazione storiografica.
«Sette sono i saggi: si parla dei conflitti tra gli abitanti di Levico e il capitano vescovile di Castel Selva nella prima metà del XVI secolo; dei cambiamenti di confine tra principato vescovile di Trento e contea del Tirolo nel XVIII secolo; segue un contributo che, basandosi in ampia misura sulle fonti toponomastiche, tratta della presenza del lupo in Trentino fino al XIX secolo (l’argomento ha una sua attualità, e gli abbiamo dato anche un certo spazio in copertina).
«Tre articoli sono dedicati a personaggi che vissero nel XIX e nel XX secolo, vale a dire lo studioso della cultura popolare Christian Schneller, l’alpino Tullio Marchetti (si presenta il diario che tenne tra 1913 e 1914, durante la campagna di Libia) e Giovanni Battista Trener, che tra gli anni Venti e Trenta fu direttore del Museo di scienze naturali.
«Chiude questa sezione un testo dedicato all’azione pastorale di due vescovi di Bressanone nel periodo tra le due guerre mondiali.
«Tra i contributi più brevi si parla di una pergamena di provenienza trentina ritrovata in Canada, delle richieste portate dalle comunità al vescovo Ludovico Madruzzo, della menzione dei cimbri nelle opere del poeta settecentesco roveretano Givanni e dell’archivio della famiglia Rodler di Fierozzo.
«Nella rivista c’è poi la sezione Lavori con corso, nove recensioni e quattro scritti in memoria, tra cui quello dedicato al recentemente scomparso Paolo Prodi.»
Ha accennato a un testo dedicato al rapporto tra la città di Trento e la memoria del Concilio…
«Si tratta dell’editoriale: una breve riflessione circa l’appannarsi della memoria dell’evento conciliare.
«Vi era stato un tempo in cui Trento era definita città del Concilio: ora sembra che tale etichetta venga usata soprattutto in ambito enogastronomico... ! Ho però fatto notare che anche alcune delle grandi iniziative culturali nate a Trento nel XX secolo (a cominciare dall’Istituto storico italo-germanico e dall’Istituto di scienze religiose), che in qualche modo riflettevano proprio sulle conseguenze dell’evento conciliare e dunque contribuivano a dare un senso a questa componente dell’identità cittadina, hanno ormai interessi diversi.»
Come si concretizza l’attività della rivista a vantaggio dei giovani che vogliono avvicinarsi alla storia?
«La rivista riceve spesso testi proposti da giovani ricercatori, anche neolaureati: la redazione propone gli aggiustamenti e le integrazioni che possono trasformare ricerche talvolta ancora acerbe in articoli metodologicamente corretti. Esiste anche un concorso, intitolato al fondatore della Società Gino Onestinghel, che premia annualmente un contributo presentato da un giovane ricercatore. Il n. 1/2017 ospita sia l’articolo proposto dal vincitore 2015 (Luca Filosi), sia quello scritto dalla vincitrice 2016 (Sonia Forrer).»
Luca Gabrielli è laureato in Storia e conservazione dei beni architettonici e ambientali presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Attualmente opera come funzionario presso l’Ufficio beni architettonici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento, occupandosi in particolare del coordinamento del centro di catalogazione architettonica e dell’attività di valorizzazione della rete dei castelli del Trentino.
In passato ha lavorato presso il Museo Tridentino di Scienze Naturali, ora MUSE, come curatore delle collezioni del Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni. Socio della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche dal 2006, componente della direzione dal 2007, è direttore della rivista «Studi Trentini. Arte» dal 2016. I suoi principali interessi di studio vertono sulla storia dell’architettura e delle arti figurative nel principato vescovile di Trento in età medievale e moderna.
Dal 2016 lei è direttore di «Studi Trentini Arte», come è mutata a grandi linee nei suoi quarant’anni di vita la rivista?
«La rivista è nata nel 1976, per impulso dell’allora assessore provinciale alla cultura Guido Lorenzi, quale sezione monografica dedicata all’arte – all’epoca si chiamò semplicemente Sezione seconda – della rivista Studi Trentini di Scienze Storiche, testata in quel momento già attiva da 55 anni e portatrice di un indiscusso credito scientifico.
«Dal 2011 ha assunto la nuova titolazione di Studi Trentini. Arte, parallela a quella della rivista gemella, Studi Trentini. Storia. È cambiato il titolo, ma nel tempo si è evoluta anche la grafica della rivista e soprattutto la sua funzione: nata come notiziario dell’attività della Provincia a favore del patrimonio culturale, si conferma oggi come libera rivista di studi, però saldamente collegata alle esperienze di tutela e valorizzazione attuate dalle strutture provinciali, quali la Soprintendenza per i beni culturali e i musei, così come alle attività di ricerca condotte in ambito universitario.»
Potrebbe anticipare, in vista dell’incontro di giovedì 6 aprile, una riflessione su che cosa rappresenti oggi la rivista da lei diretta e che cosa intenda essere nel prossimo futuro? Come è strutturata?
«Siamo stati e ci auguriamo di continuare a essere la rivista di riferimento per gli studi di storia delle arti nella nostra provincia, ma non solo. Rivolgendo la nostra attenzione anche ai territori a noi prossimi, esprimiamo una visione storica del contesto artistico trentino come aperto, naturalmente permeabile alla ricezione di stimoli esterni e altrettanto vocato a restituire stimoli all’esterno.
«Un altro aspetto già consolidato in passato, su cui vogliamo continuare a impegnarci, è quello dell’attenzione alle fonti documentarie, essenziali a costruire una buona storia dell’arte.
«Accanto ai saggi di ricerca che formano la parte principale della rivista, proponiamo al lettore editoriali, interviste, recensioni di libri e mostre, con i quali intendiamo rappresentare anche il presente e se possibile il futuro – e non solo il passato – del nostro patrimonio culturale.»
Potrebbe condividere qualche considerazione sull’anno appena trascorso?
«È stato un periodo denso di impegni, anzitutto per il subentro al precedente direttore, Antonio Carlini, che ha retto la rivista dal 2007 alla metà del 2016 e ha svolto un grande e coraggioso lavoro di rinnovamento nella continuità.
«Il compito più immediato è consistito nella costruzione del nuovo numero della rivista (il secondo volume del 2016, in uscita in questi giorni), con la valutazione dei lavori pervenuti, la loro revisione di concerto con gli autori, l’assemblaggio dei testi in un indice bilanciato tematicamente e cronologicamente, il lavoro sulle immagini e sulle rubriche: attività impossibili da affrontare senza la competenza e la disponibilità dei componenti della redazione, ai quali devo la massima gratitudine poiché la rivista – è bene ricordarlo – è il frutto di un’attività di volontariato culturale, da tutti noi praticato al di fuori dei rispettivi impegni professionali.
«Nel 2016 abbiamo però avuto un altro gravoso impegno costituito dal convegno dedicato ad Aldo Gorfer, nella ricorrenza dei vent’anni dalla morte, e in particolare alla sua opera instancabile a favore dei beni culturali e ambientali della nostra terra.
«Un’occasione preziosa di riflessione e di studio, della quale pubblicheremo gli atti nel primo volume del 2017, in uscita la prossima estate.»
Fra le recensioni proposte nel numero di prossima uscita ve n’è una dal titolo «Albrecht Dürer in viaggio. Considerazioni in margine a un convegno» di Giovanni Maria Fara, relativo al volume degli atti del convegno svoltosi a Cembra e Segonzano il 7-8 marzo 2015, a cui partecipò come ospite d’onore anche Vittorio Sgarbi (foto).
Potrebbe darci qualche informazione a riguardo?
«Il convegno Dürerweg curato da Roberto Pancheri, al quale ebbi anch’io l’onore di partecipare come relatore, è stato a mio giudizio un riuscito affondo di ricerca su un tema di rilevanza europea, scaturito però dall’iniziativa di una comunità locale; una felice dimostrazione delle energie che il territorio può esprimere in campo culturale.
«La partecipazione di Vittorio Sgarbi alla serata pubblica collaterale al convegno diede risonanza a un’esperienza di studio peraltro impostata su solide basi scientifiche e tesa a riflettere sugli itinerari di Albrecht Dürer in terra trentina, su quali fossero le sue mete in Italia, su cosa egli avesse visto e in quali tempi, su quali influssi il suo modello di ‘artista viaggiante’ avesse esercitato sugli artisti contemporanei e a lui successivi. Due anni dopo, di tutto ciò ragiona per noi Giovanni Maria Fara, studioso di Dürer di fama internazionale».
Per quanto riguarda la tutela del patrimonio culturale, il riconoscimento del suo valore e la sua trasmissione al futuro, la rivista «Arte» che funzione si propone di svolgere e a che pubblico è rivolta?
«Mi piace pensare alla rivista come a una sorta di ‘chiave d’accesso’ al patrimonio culturale trentino, attraverso la quale il lettore possa scoprire aspetti inediti, oppure approfondire e precisare quanto già noto. Siamo una rivista di studi nata per gli addetti ai lavori, ma vogliamo parlare anche a un pubblico meno impegnato, potenzialmente a chiunque abbia un po’ di curiosità per la materia e la pazienza di leggere.
«Ci sforziamo di tradurre la ricerca in alta divulgazione, ossia di proporre testi che, pur addentrandosi in contenuti ‘alti’, spesso inediti, parlino un linguaggio piano e accessibile a tutti.
«Indipendentemente dal tipo di lettore destinatario delle nostre fatiche, ci spinge la convinzione che dalla ricerca nasce la conoscenza e che solo dalla conoscenza – quella degli studiosi specialisti, certo, ma anche quella del pubblico di amatori e curiosi – possa nascere quella consapevolezza allargata del patrimonio culturale, che è la base per la sua tutela. In questo senso, la rivista offre il suo contributo perché il patrimonio possa arrivare al futuro.»
Un’ultima domanda: la nostra regione dispone di un patrimonio artistico importante, come del resto tutta l’Italia (che dispone di risorse culturali fra le più ricche e variegate al mondo), purtroppo talvolta i cittadini abituati a vivere quotidianamente accanto a monumenti e opere d’arte di eccezionale bellezza non riescono più a percepire il loro significato storico e artistico, né tantomeno il loro potenziale economico.
Lei è d’accordo con questa osservazione, cosa pensa a riguardo?
«Nutro il timore che le generazioni fatichino a trasmettere l’una all’altra quella consapevolezza diffusa di cui dicevamo poco fa; di certo vedo la disattenzione e l’approssimazione con cui la società contemporanea guarda ai temi della tutela culturale e ambientale, distratta com’è dai modelli del turismo di massa che non creano condivisione della conoscenza, e tanto meno le condizioni di una rispettosa salvaguardia, ma portano solamente al consumo estemporaneo dei beni.
«La storia dell’arte insegna a guardare immagini e oggetti con tempi lenti, a porre domande a ciò che si guarda, a porsi domande su ciò che si guarda: non è una serie di nozioni vuote, ma un formidabile esercizio del senso critico, un atto di crescita dell’individuo.»
«Inoltre, la storia dell’arte ci insegna chi siamo, perché indaga non solo gli oggetti, ma anche i contesti: a noi che abbiamo la fortuna di vivere in spazi urbani e in contesti paesaggistici che hanno spesso un’eccezionale bellezza, insegna a scoprire noi stessi e la nostra identità.
«Si tratta di un percorso di consapevolezza individuale e sociale lentissimo, nel quale il contributo più importante spetta alla scuola; ma anche una rivista di studi come la nostra può contribuire a gettare buoni semi.
«Quanto al tema del potenziale economico, lo vedo strettamente dipendente da quello della consapevolezza. Se riusciremo a crescere una cittadinanza più consapevole del valore di sé e del proprio patrimonio, saremo probabilmente capaci di privilegiare un modello di sviluppo turistico sostenibile, attento alle specificità e alle bellezze del patrimonio diffuso nel proprio contesto.
«Se invece continueremo a pensare che il patrimonio sia fatto solo dei ‘capolavori’ chiusi nei musei o esibiti come trofei alle grandi mostre, finiremo per togliere l’ossigeno – anche in termini economici – all’unica, irripetibile grande bellezza che ci è stata data: quella che sta sulla porta di casa, nelle piazze, nelle chiese, negli spazi della vita quotidiana e nei paesaggi.»
Daniela Larentis – [email protected]
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