Annalisa Lenzi, l’ultima mostra – Di Daniela Larentis
La seconda tappa espositiva di PEACE & WAR, progetto dell’artista trentina, è ancora visitabile fino al 28 febbraio 2016 a Borgo Valsugana
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Annalisa Lenzi è un’artista trentina le cui opere hanno la capacità, mediante pennellate decise, tratti ben definiti e colori brillanti, di denunciare i mali del mondo, di comunicare i moti dell’animo; la pittura è anche un modo per amplificare i sensi, alcuni suoi quadri sono visioni che sembrano riportare alla mente un sogno.
Tuttavia, Lenzi non si occupa solo di pittura su diversi supporti, il suo interesse è rivolato anche alle installazioni e alla video arte. La sua ricerca artistica si indirizza verso tematiche contemporanee, raccontando gli aspetti positivi e negativi del nostro tempo con un linguaggio apparentemente leggero, tuttavia carico di significato.
Pur avendo esordito da poco, Lenzi è già stata coinvolta in importanti eventi in Italia e all'estero: ArtBrescia 2011 (Biennale D’arte Contemporanea di Brescia), il Saloon Art Shopping al Carrousel du Louvre di Parigi, diverse fiere d’arte contemporanea ad Atene e Vilnius (Lituania), collettive a Berlino, Barcellona, Roma, Como, senza contare i numerosi progetti culturali, collettive e personali all'attivo in Trentino.
Le sue opere d'arte sono presenti in diverse collezioni private e pubbliche, tra le quali la collezione d'arte della Regione Autonoma Trentino Alto Adige.
La sua ultima esposizione, patrocinata dal Comune e dal Sistema Culturale di Borgo Valsugana, è stata inaugurata lo scorso 30 gennaio ed è ancora visitabile fino al 28 febbraio 2016 presso lo Spazio Klien in Piazza Alcide de Gasperi a Borgo Valugana, Trento.
Si tratta della seconda tappa espositiva di PEACE & WAR, progetto che indaga i concetti di pace e guerra, raccontati con il linguaggio della pittura, installazione e video arte: opere colorate e ironiche, ispirate alla pop e alla street art, in cui lo stile dell'artista è fortemente riconoscibile.
In mostra alcuni lavori inediti e due nuove installazioni: la prima pone l’osservatore di fronte al vuoto e all'abbandono causato dal conflitto e la seconda ricorda i caduti delle guerre passate, presenti e future per non dimenticare.
Nell’occasione abbiamo avuto modo di porgere all’artista alcune domande.
Annalisa Lenzi.
Come è nata la passione per l’arte?
«Già alla scuola materna, la prima cosa che chiedevo alle maestre appena arrivata erano carta e colori per poter disegnare e colorare.
«Poi, con l'andare del tempo e il susseguirsi degli impegni scolastici e lavorativi ho accantonato questa mia passione, che però non è mai morta ma si è ripresentata in questi anni più forte che mai e ora mi ha rapito completamente.
«In realtà, ho iniziato nel 2010 ad impegnarmi seriamente nell'arte, frequentando un corso di disegno e di pittura che mi ha aiutato a conoscere le basi e le nozioni principali. Da qui la mia voglia di sperimentazione e la fantasia si sono scatenate!»
Pittura, installazione, video arte: fra i vari linguaggi artistici da lei utilizzati quali preferisce e perché?
«È difficile riuscire a scegliere un linguaggio artistico. Tutti hanno una particolarità che in quel momento o in quel periodo attirano il mio interesse. La pittura è più lenta, ragionata.
«Lavorando molto con i colori a olio bisogna rispettare il tempo di asciugatura... è il colore che comanda il lavoro.
«Quindi in questo periodo, in cui sono alle prese con un bimbo di 16 mesi nel pieno della sua fase di sperimentazione e di scoperta, mi è più difficile dedicarmi alla pittura, per cui mi esprimo molto con le installazioni, che sono più immediate e non richiedono una continuità di realizzazione.»
È molto noto l’uso del colore adottato da Spielberg nella sequenza della deportazione degli ebrei del ghetto di Varsavia in Schindler’s list, dove, in un film completamente girato in bianco e nero compare una bambina sperduta col cappotto rosso.
Nella pittura su foto lei contrappone il bianco e nero delle foto al colore di soli alcuni soggetti, come in «Welcome» o in «La bambina dai capelli rossi»: qual è il significato di questa scelta artistica, dell’utilizzo di queste opposizioni?
«Mi piace molto il suo esempio. Vedo la fotografia come un fermare l'attimo e congelare il luogo o la persona per riportarlo ai giorni nostri intatto. Molto spesso però la foto finisce in fondo ad un cassetto ed è come se quel momento sparisse.
«Mi piace riprendere la foto per riportare alla memoria tale luogo o persona, e aggiungo cose, persone reali o surreali colorate, quasi come voler inserire e amalgamare il passato con il presente, il reale ritratto nella foto con il surreale creato dalla mia mente».
La bambina dai capelli rossi.
Quando è nata l’idea che ha portato alla realizzazione della serie «Quadri con pietre»?
«In realtà i primi lavori che ho realizzato sono stati gli animali dipinti sulle pietre. Era divertente vedere come un sasso con la sua forma particolare si trasformasse, per esempio, in un gatto o un elefante.
«Da qui ho voluto elaborare e usare la tecnica per realizzare opere più profonde e personali, con un significato, usando a volte anche l'incisione per imprimere su questa superficie dura un segno indelebile nel tempo».
Quali sono i soggetti da cui trae maggior ispirazione?
«I soggetti che ritraggo nelle mie opere sono quasi sempre soggetti della vita reale che in quell'attimo sono input che mi suggeriscono l'opera. Per esempio il «GENERALE» mi è stato suggerito in una gita in moto con mio marito, quando ci siamo fermati per lasciar passare un pastore con le sue pecore...
«Uso spesso anche me e mio marito come soggetti dei quadri (spesso il volto non si vede), perché mi piace realizzare un quadro surreale ma reale nei particolari e quindi ho bisogno di un soggetto da ritrarre, immortalandolo prima in posa con la macchina fotografica, per carpirne i lineamenti, la muscolatura ecc.»
Quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il suo lavoro?
«Sicuramente artisti come Dalì o Magritte hanno influenzato il mio primo periodo, in cui eseguivo una pittura surrealista più classica. Ora mi piace ispirarmi ad artisti contemporanei come Mark Ryden, surrealista pop o Banksy, street artist geniale a dir poco.
«Ultimamente le mie opere si ispirano molto alla street art: hanno un linguaggio apparentemente colorato e leggero ma se lette attentamente sono cariche di significato.»
Il peso del Dolore.
L'installazione «Il peso del dolore», è stata selezionata nel 2015 per la mostra collettiva internazionale «Human Rights, la casa della pace», curata da Roberto Ronca ed esposta presso la Fondazione Opera Campana dei Caduti di Rovereto. Qual è il significato dell’opera?
«L'opera è una descrizione del conflitto: da una parte ho usato due sacchi originali della Grande Guerra, che contenevano farina e venivano donati dagli americani al popolo italiano.
«Questi rappresentano il bene e la solidarietà che comunque può esserci in una situazione bellica. Dall'altra parte dell'altalena si trova una piccola boccetta, la quale simbolicamente contiene le lacrime versate dall'umanità e che rappresenta il dolore provocato dal conflitto.
«Considerato il peso dei sacchi, l'altalena dovrebbe sbilanciarsi nella loro direzione, invece pende dalla parte della boccetta: il dolore che provoca un conflitto, quindi, sarà sempre maggiore del bene, della solidarietà o dell'aiuto offerto dalle persone coinvolte.
«Nella mostra allestita alla Fondazione Opera Campana dei Caduti di Rovereto ho proposto questa installazione, chiedendo alle persone di ipotizzare, annotando il proprio pensiero su un foglio, quale fosse per loro un gesto di pace attuabile, invitandole poi a inserire il biglietto in un sacco, in modo tale da appesantirne l'estremità, facendo vincere quindi idealmente il bene sul male.
«Sono rimasta molto colpita dalle frasi scritte dai visitatori, attraverso questa esperienza mi sono arricchita, crescendo un pochino di più!»
La Generalessa – In memoria.
Ci può spiegare che significato ha voluto trasmettere attraverso l’installazione intitolata «La Generalessa», esposta in mostra fino al 14 febbraio 2016 a Borgo Valsugana?
«La Generalessa è una delle nuove opere esposte in mostra. Ho voluto posizionare la sedia in una stanza oscurata, sola. Si percepisce la presenza dell'uomo, ma la sedia è vuota, non c'è altro intorno e viene illuminata da una luce fioca per aumentare questo senso di solitudine.
«La stanza rappresenta una casa che è stata abbandonata, magari il proprietario poteva essere un giovane militare partito per il fronte, o una famiglia costretta all'esodo forzato o sfuggita alla morte. Questo non lo sapremo mai.
«Quello che resta è la sedia, dove vi ho dipinto una generalessa con alle spalle una terra vuota, martoriata dalle bombe di alcuni cacciabombardieri in volo. Il ritratto della causa di questo vuoto».
Che cosa rappresenta l’opera intitolata «In memoria»?
«Il bidet, oggetto di uso comune entrato a far parte della nostra quotidianità, rappresenta il nostro mondo privato, la nostra casa e intimità.
«Da questo si evince come la guerra, rappresentata dalla pinna di pescecane con il logo di un aereo cacciabombardiere impresso sulla superficie, ormai faccia parte della nostra esistenza, non è lontana ma è in mezzo a noi e spesso non ce ne rendiamo conto.
«Nel bidet però non scorre l'acqua, ma il rosso del sangue versato dai poveri militari caduti nelle battaglie passate, presenti e future».
War e strange mosquito.
Da artista e da donna, come immagina il futuro dell’arte?
«L'arte è sempre in movimento ed evoluzione. In questi periodi di crisi si è un po’ bloccata. Spero che le istituzioni private e pubbliche tornino a credere nell'arte e a investire in progetti o mostre artistiche, coinvolgendo non solo i soliti nomi, ma aprendo le porte anche a quegli artisti che hanno molto da dire ma che spesso passano in secondo piano perché, e ahimè è così, talvolta non spendono migliaia di euro per pagare uno spazio».
Quale fra le numerose mostre personali e collettive a cui ha partecipato le è rimasta più nel cuore?
«Tutte le mostre sono al primo posto nel mio cuore perché ci metto sempre tutta la mia passione, propongo i miei quadri e quindi una parte di me. Mi è impossibile scegliere».
Ha qualche sogno nel cassetto?
«Sogni nel cassetto ce ne sono molti, molti altri sono stati realizzati. Sicuramente bisogna continuare a lavorare per riuscire a concretizzarli perché nulla vien regalato ma solo meritato!».
Progetti futuri?
«Per il momento ho in programma alcune collettive con il gruppo artistico trentino La Cerchia. Proprio venerdì 19 febbraio inaugurerò una bi-personale con Paolo Dalponte, artista surrealista che stimo molto, presso la Galleria Fogolino di Trento, sarà una delle mostre che celebreranno il 30° anno di attività dell'associazione.
«Il 28 febbraio parteciperò a una collettiva sempre con la Cerchia presso il castello di Dozza, in Emilia Romagna. Poi, in aprile, troverete le mie opere presso il Palazzo della Regione a Trento.
«Altre importanti collaborazioni e progetti sono in fase di definizione per quest'estate, ma per i dettagli vi terrò aggiornati!»
Daniela Larentis – [email protected]
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