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Aldo Pancheri, quando l’arte lascia il segno – Di Daniela Larentis

Lungo un percorso costellato di successi, l’artista trentino di adozione milanese ha dato vita all’«Arte timbrica»

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Aldo Pancheri nel suo studio di Trento.
 
Apprezzato artista di fama nazionale e internazionale, Aldo Pancheri fa parte di una famiglia di artisti, i quali non hanno bisogno certo di presentazioni.
Gino, Renato e Aldo Pancheri, tre grandi nomi del panorama artistico trentino del Novecento, fratelli i primi due, dei quali Aldo è rispettivamente nipote e figlio.
A tutti e tre la Galleria Civica di Trento ha dedicato anni fa una mostra accompagnata da un esaustivo catalogo (nel 1989 a Gino Pancheri, nel 1993 a Renato e Aldo).
Risale al 1990 la mostra dal titolo «I Pancheri: una casa di pittori», organizzata a Milano presso Palazzo della Permanente.
 
Aldo Pancheri nasce quindi in una famiglia di artisti e cresce in un ambiente che favorisce lo sviluppo del suo innato talento, collezionando i suoi primi successi già in giovane età.
«…Bei monti della sera/azzurro è il mio passato», recitano gli ultimi versi di una bellissima poesia intitolata Ai monti di Trento, scritta negli anni Quaranta dal poeta e critico d’arte Alfonso Gatto, il quale nel maggio del 1954 presentò l’allora tredicenne Aldo Pancheri in un’esposizione personale alla Sala degli Specchi di Trento.
Ricordando ora il poeta, Aldo Pancheri ci racconta che Alfonso Gatto «voleva essere ricordato non tanto come un grande poeta, ma come un uomo buono».
 

Aldo Pancheri - La doppia notte del gelsomino - Nostalgia.
 
L’artista trentino di adozione milanese nelle sue creazioni si serve di forme, linee e colori per esaltare i propri sentimenti, reinterpretando la realtà.
Dal 2000 esegue le sue opere su base geometrica, per la realizzazione dei suoi quadri usa frammenti di contemporaneità, pezzi di giornale, immagini.
Fra le opere digitali più recenti ci ha particolarmente colpiti «Nostalgia», 2011. Ritrae in basso un soffione, su sfondo nero, in alto, a destra, è visibile la figura di una ragazza assorta, la quale può rappresentare, a nostro avviso, la vita e la speranza.
Il nero dello sfondo ci suggerisce l’idea della morte, il senso profondo di lacerazione e di smarrimento, sottolineato dalla geometria compositiva, il vuoto e l’angoscia che si provano innanzi alla scomparsa di una persona amata.
Non vi è nulla di così caduco come la vita umana, forse solo il fiore di tarassaco, che una volta raggiunta la maturazione si trasforma in soffione e si libra nell’aria per raggiungere l’azzurro del cielo. Un cielo che possiamo solo immaginare oltre quel nero che tutto ammanta.
Il soffione racchiude un seme che il vento disperde per dare vita in un altro luogo ad altri meravigliosi fiori.
Siamo anche noi uomini simili a quel fiore di tarassaco? – ci chiediamo osservando rapiti l’opera – I nostri semi, che poi sono le relazioni umane instaurate nel corso della nostra esistenza, germogliando ci regalano la speranza e l’illusione che vivere la vita così come la conosciamo, con tutte le sue contraddizioni, non sia poi così inutile, perché donare se stessi non è mai un gesto sterile.
 

Aldo Pancheri - Dialogo senza voci, 2015 - Pastelli, pasta acrilica e timbri su tela cm 60x80.
 
Altro quadro meraviglioso è «La doppia notte del gelsomino», 2011, anche in questo caso è ritratta la figura di una donna rannicchiata su se stessa, è «una notte dello spirito dove i fiori sembrano aprirsi alla vita», come ci suggerisce Pancheri.
E qui ci fermiamo con gli esempi delle opere che hanno catturato la nostra attenzione, altrimenti l’elenco si farebbe troppo lungo.
Del suo modo di fare arte scrive Gianfranco Bruno in «Aldo Pancheri, istantanee di vita» (il catalogo che accompagnò la mostra del 2009, Abbazia di Mirasole, Comune di Opera, Milano): «Nella pittura di Pancheri sussistevano profili, sino ad oltre gli anni Ottanta, di paesaggi visti, profondità di valli, colline affacciate su luci stagionali, che una pittura viva, fatta di accensioni e di emozionali riverberi, trasfigurava in visioni liriche, non per questo naturalistiche o legate alla sola impressione dal vero.
«Poi la sua pittura ha sciolto dall’asservimento all’oggetto quei suoi bagliori, al tempo stesso ha scoperto la possibilità di dar vita, al di là dei più lirici intrichi di alberi, vivi come anime interne al paesaggio, ad un alfabeto di segni che – pur conservando la memoria dell’origine – poteva librarsi nell’aperto spazio che il colore offriva. […].
«Così Pancheri da quella sua prima stagione di matrice apparentemente naturalistica è passato, indenne da vuoti formalismi, a una stagione in cui domina, nella sua pittura, un’astratta, mentale reinvenzione del mondo. […].
«Bene ha detto, dunque, chi ha individuato nella pittura di Pancheri un sottile contrappunto tra differenti modalità: i fondali emotivi, e i definiti spazi in cui s’inscrive la rarefatta memoria – divenuta immagine, quindi visione – di un mai obliato rapporto tra la pittura e l’esperienza emozionale del mondo. È come se Pancheri rivelasse una diffidenza per l’emozionalità conclamata, preferendo filtrare la sua materia poetica attraverso il severo vaglio di una razionalità che spoglia l’immagine da ogni troppo evidente nesso con quella realtà che pur l’ha generata…»
 

Aldo Pancheri - Nel silenzio dell'acqua, 2015 - Pastelli, pasta acrilica e timbri su tela cm 100x80.
 
Dalla genialità creativa di Aldo Pancheri nasce l’«Arte timbrica», la quale rende l’utilizzo del timbro un elemento centrale dell’esecuzione dell’opera.
Nell’arte timbrica è essenziale il segno, in quanto come afferma lo stesso Pancheri, l’ideatore di questa forma espressiva, «ogni artista, inventando una propria matrice timbrica, costruisce un proprio stilema, che può essere usato più volte, ma che per via della manualità che lo contraddistingue nessuna volta allo stesso modo».
Elena Pontiggia, nel testo critico contenuto nella pubblicazione «Arte timbrica in progress», 2015, così la definisce: «Una terza via fra pittura e concettualismo».
E ancora «…una pittura in cui all’intervento della mano, cioè alla pennellata vera e propria, si affianca l’uso di una stampigliatura, cioè un’azione meno artigianale e più mentale…»
Chiediamo direttamente all’artista di parlarne, avendo l’onore di porgergli nell’occasione alcune domande.
 

Aldo Pancheri - Rispondenze di luce, 2006/5 - Collage e pasta acrilica su cartoncino, cm 30x40.
 
Come è nato l’amore per la pittura, ricorda un episodio particolare della sua infanzia legato a questa passione?
«Sono figlio d’arte, Renato Pancheri era mio padre e Gino Pancheri era mio zio, quindi mi sono trovato fin da subito nella situazione di vivere in un ambiente stimolante che ha favorito questa mia inclinazione artistica.
«Ricordo che a 13 anni, era domenica, mia sorella mi nascose le matite colorate, così io utilizzai i pastelli per realizzare un mio disegno.
«Quando mio padre lo vide ne fu soddisfatto e io ne feci poi una serie. Mi disse che era contento come se li avesse fatti lui e io ne fui felice».
 
Può condividere con noi un ricordo di suo padre, negli anni in cui abitava a Trento, che carattere aveva?
«Aveva un carattere schivo. Ho un buon ricordo di lui, seguiva il mio lavoro, ma non ha mai voluto interferire con le mie scelte. Mi ha sempre lasciato una grande libertà di espressione, non mi ha mai detto questo è sbagliato.
Qualche volta è successo che si servisse di qualche mia tela inutilizzata per i suoi quadri. Dipingevo ad olio allora, è capitato in quel periodo che usasse qualche mia tela preparatoria per gli sfondi dei suoi dipinti.»
 
Qual è stata la sua formazione e quali erano gli artisti da lei preferiti?
«Ho frequentato l’Istituto Statale d’Arte a Trento e poi l’Accademia di Belle Arti a Bologna. Al tempo, a Bologna, c’erano Virgilio Guidi, il quale veniva da Venezia una volta al mese, il suo assistente Pompilio Mandelli, per la storia dell’arte Paolo Manaresi e per l’incisione Luciano De Vita.
«Ho fatto una tesi su Lyonel Feininger, mi piacevano particolarmente Kandinskij e Klee».
 

Aldo Pancheri - Contrafforti di luce, 2015 - Acrilici, pastelli e timbri su tela, cm 80x80.
 
C’è qualche amicizia che ha stretto in quel periodo e che ricorda particolarmente?
«Diventai molto amico del pittore Giorgio Azzaroni, fu lui a invitarmi a Milano a misurarmi alla X edizione del Premio Diomira dove ottenni il primo premio e al San Fedele dove ottenni in due edizioni due secondi premi».
 
Negli anni Sessanta ha insegnato disegno architettonico ed ornamentale a Trento, in quel periodo ha conosciuto il pittore Aldo Schmid, con il quale ha diviso per un anno l’atelier. Se dovesse descriverlo dal punto di vista umano con un aggettivo, quale userebbe?
«Fu attraverso Schmid che acquistai un antico torchio litografico con cui realizzai le mie prime incisioni, le quali vennero in seguito esposte a Milano. Se dovessi descrivere Aldo con un solo aggettivo direi generoso, era una persona assolutamente generosa.
«Lui aveva una teoria che condivido, usava la metafora della spugna; l’individuo è come una spugna, diceva che nel momento della contrazione la persona si spreme per dare tutto quello che può agli altri, ma poi subentra il momento del rilascio e tutto ciò che si ha dato ritorna, anche se non necessariamente entrando dalla stessa porta».
 

Il paradiso delle ninfee, 2011 - Digital fine art 60x80.
 
Lei si trasferì a Milano negli anni Settanta, pur mantenendo sempre uno stretto legame con Trento, là conobbe moltissime persone. Ricorda qualcuno di quel primo periodo milanese?
«Mi sono trasferito a Milano nel 1972, una città che mi ha dato tanto, dove ho tanti amici, pur rimanendo sempre molto legato anche alla mia città natale, Trento.
«Di quel primo periodo ricordo l’incontro con l’architetto Luciano Baldessari, artista di fama internazionale dalla personalità generosa. Agli inizi degli anni Ottanta conobbi poi a Venezia il gallerista Gianni De Marco, con il quale instaurai un rapporto di stima e amicizia che durò fino alla sua prematura scomparsa.»
 
Nel corso degli anni ha dipinto preferendo alcuni colori piuttosto che altri? C’è qualche colore a cui non rinuncerebbe mai, che sente suo, e al contrario qualcuno che proprio non le piace? Che tecnica preferisce?
«I colori che preferisco sono il rosso e il blu. Mi piacciono molto anche l’arancio e l’azzurro. Non provo una particolare simpatia per il verde. Sono partito con il pastello, una tecnica che mi piace ancora molto perché è immediata, ho dipinto per lungo tempo con l’olio.
«Sono passato all’acrilico, come la maggior parte degli artisti contemporanei, per il fatto che quest’ultima tecnica permette un’asciugatura veloce, ed è perfettamente coprente.
«Si può usare contemporaneamente al pastello, per cui l’opera risulta una tecnica mista di una assoluta immediatezza. Particolarmente ai nostri giorni, ciò che importa non è il soggetto ma l’adesione che l’artista dà a qualsiasi soggetto e la possibilità di usare una tecnica che corrisponda alla fonte di ispirazione in quel momento.»
 

Aldo Pancheri - Il sapore dell'acqua, 2013 - Opera timbrica con colori vegetali e acrilico su tela, cm 60x80.
 
Dagli anni Cinquanta ad oggi ha al suo attivo numerosissime prestigiose mostre. Fra queste quale Le è rimasta particolarmente nel cuore?
«Fra le mostre fatte in tutte questi anni voglio ricordarne una, quella tenutasi a Milano presso il Palazzo della Permanente nel 1990, dal titolo Gino, Aldo, Renato Pancheri. Una casa di pittori
 
Qual è il rapporto, secondo lei, fra la nostra società e l’arte contemporanea?
«È un rapporto divenuto negativo. Mi viene in mente il discorso biblico che Paolo fece nella città di Atene agli Ateniesi, rivolgendosi a costoro menzionò uno degli oggetti del loro culto, l’altare al Dio ignoto.
«Ecco, nella nostra società il denaro è divenuto il dio riconosciuto da tutti. E’ un dio limitato, tuttavia, in quanto dà tutto tranne due cose: la salute e la felicità.
«Una volta c’era un continuo dialogo fra gli artisti, ora viviamo in una società in cui sembra contare solo il denaro, attorno a cui ruota tutto.»
 

Aldo Pancheri - Nel mondo di Pitagora, 2012 - Tecnica mista su cartoncino cm 30x40 - Copia.
 
Il suo è un percorso artistico costellato di successi ed è l’inventore di una nuova forma espressiva: l'Arte timbrica. Ce ne può parlare brevemente?
«Si tratta di opere su carta, tela e su altre superfici, che hanno come collante l’utilizzo di un timbro inventato dall’artista. Questo stilema, in questa accezione, non è mai parso fino ad ora nell’arte contemporanea.
«I timbri modificano le opere in contrasti segnici e campiture colorate e le rendono aperte a diverse chiavi di lettura. Le opere non rientrano nell’ambito di un’arte selettiva o solo per pochi, ma di un’espressione artistica rivolta a un pubblico più vasto.
«Come dichiarava Rosenberg, l’opera d’arte nella nostra epoca è determinata da una metà di parole e da una metà di materia. Arte timbrica vuole comunicare un messaggio chiaro e diretto, fondamentale anche in altre forme espressive che possono essere la moda, il design, la fotografia, l’arte analogica e le tecniche più tradizionali quali l’olio, l’acrilico e il pastello.»
 
Quando è stata organizzata la prima mostra, ci può dare qualche informazione?
«L’esposizione di opere su carta nel maggio del 2014 presso la Biblioteca Civica G. Tartarotti, nel complesso del MART di Rovereto, Trento, organizzata con il proposito di creare un percorso basato sul dialogo fra artisti che operano servendosi del timbro, uno strumento che a prima vista può sembrare limitativo, ma che è un vantaggio, in quanto il suo uso non è mai uguale: basta esercitare una pressione più forte, un diverso angolo di incidenza, e l’effetto non è mai lo stesso. Il timbro non è un torchio e dipende sempre dalla mano, quindi non si tratta certo di una tecnica grafica.
«Ogni artista, pur servendosene, conserva la propria personalità e non si snatura. Nel giugno dello stesso anno c’è stata un’altra esposizione, sempre di opere su carta, a Torre Mirana (assessorato alla cultura del Comune di Trento).»
 

Aldo Pancheri - Il sapore del silenzio, 2011 - Digtal fine art su tela, cm 80x80.
 
Ci può elencare gli artisti che oltre a Lei hanno esposto nell’occasione?
«Si è trattato di artisti di diverse matrici culturali e differenti percorsi, alcuni di chiara fama, altri emergenti, anche a livello internazionale: Sergio Dangelo, Shuhei Matsuyama, Rudolf Haas, Lome-Lorenzo Menguzzato, Silvio Cattani, Paolo Tomio, Annamaria Gelmi, Walter Valentini, Lucia Pescador, Silvia Turri e Paola Zimmitti.»
 
In estate e poi in autunno dello scorso anno due sono state le esposizioni di Arte timbrica in progress, ambedue un pieno successo di pubblico e critica.Dove sono state organizzate e chi erano gli artisti in mostra?
«Arte timbrica in progress ha coinvolto il sottoscritto ed altri artisti: Sergio Dangelo, Rudolf Haas, Shuhei Matsuyama, Paolo Tomio, Walter Valentini, Paola Zimmitti.
«Abbiamo esposto dal 23 giugno al 10 luglio 2015 a Palazzo della Regione, a Trento; un’altra esposizione si è tenuta a Milano, presso l’Auditorium dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi, dal 20 ottobre al 20 novembre 2015.»
 
Progetti e sogni nel cassetto?
«Per quanto riguarda i progetti sto preparando un catalogo generale delle mie opere. Sogni artistici? Organizzare altre esposizioni di arte timbrica, anche a livello internazionale.
«Mi piacerebbe formare una piccola equipe di persone che collaborano con me. Il punto di forza dell’arte timbrica è l’aggregazione di artisti di diversa estrazione e di diverse regioni del mondo.
«Su dove si andrà a esporre è ancora da stabilire, ho avuto già contatti a New York, l’entusiasmo c’è, ora vedremo…»
 
Daniela Larentis - [email protected]

Le opere dell'artista si trovano in collezioni private e spazi istituzionali, fra questi ricordiamo: 
Raccolta Bertarelli, Civici Musei Castello Sforzesco, Milano; Palazzo delle Albere, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto; Palazzo dei Diamanti, Ferrara; Museo della Xilografia, Castello di Pio (Carpi); Museo Civico di Palazzo Sturm, Bassano del Grappa; Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, Milano; Regione e Provincia Autonoma di Trento; Cassa di Risparmio delle Province Lombarde (Cariplo), Milano; Banca Popolare di Milano; Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, Trento; Banca d’Italia, sedi di Ancona e Firenze; Autostrade del Brennero, Trento; Università degli Studi di Macerata e di Pavia; Università Bocconi (grafica), Milano; Centro Internazionale della Grafica, Venezia; Galleria d’Arte Moderna delle Marche, Ancona; Istituto Takagi, Nagasaki (Giappone); Museo Denon, Chalon-sur-Saône (Francia); Intesa Sanpaolo, Milano; Unicredit Banca Trento; Mas - Museo d’arte dello splendore, Giulianova, TE; Museo d’Arte delle Generazioni italiane del '900, Pieve di Cento, Bologna.
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