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«È andato perduto il senso dell’attesa» – Di Daniela Larentis

Un pensiero sul Natale di Mons. Lodovico Maule, Decano del Capitolo della Cattedrale di Trento

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L’Avvento ci ricorda un bellissimo libro di Jostein Gaarder (edito da Longanesi, intitolato «Il viaggio di Elisabet»), il quale narra di un ragazzino che dopo aver acquistato un misterioso calendario dell’Avvento scopre, giorno dopo giorno, la misteriosa vicenda che vede coinvolta Elisabet.
È un libro che racconta l’importanza del Natale e trasmette i veri valori della vita.
Parla di un Natale molto diverso da quello a cui siamo abituati e ci ricorda la magia di un tempo ormai lontano, un tempo in cui ai bambini veniva ancora consentito di vivere l’atmosfera dell’attesa.
Abbiamo avuto l’occasione e l’onore di scambiare due parole con Mons. Lodovico Maule, Decano del Capitolo della Cattedrale di San Vigilio a Trento, il quale ha condiviso con noi alcuni pensieri sul Natale.
 

 
Tutti conosciamo più o meno la frenesia del Natale, il quale viene vissuto sempre meno spiritualmente, diventando alle volte solo occasione di stress. Qual è il suo pensiero a riguardo?
«L’esigenza che abbiamo avuto di mercificare tutto ci ha portati all’infelicità. Quando io ero ragazzino, l’ultima domenica prima del Natale la chiamavano la domenica d’oro, era la domenica in cui i negozi rimanevano aperti, consentendo a chi non lo aveva potuto fare prima di comperare i regali.
«Il tempo dell’Avvento era vissuto con la coloritura dell’attesa, invece noi lo abbiamo trasformato in un’orgia festosa che non può che causare stress. Si sente la gente affermare di essere stressata e di non vedere l’ora che passi questo periodo, l’Avvento si trasforma purtroppo nell’ansia di cercare i regali; le persone si intrufolano come vitelli dentro i vari mercatini, nei negozi, perdendo di vista il vero senso del Natale.
«Bisognerebbe riscoprire il senso dell’attesa. Lo insegna molto bene il Leopardi in Il sabato del villaggio: «Questo di sette è il più gradito giorno…». Il senso dell’attesa è quello che ci fa felici.
«Perché il Natale un tempo era più bello? Perché i bambini lo attendevano per un mese, aprivano le porticine del calendario dell’avvento, giorno dopo giorno, mano a mano che ci si avvicinava al Natale dietro le porticine si trovavano i personaggi del presepe, fino ad arrivare all’ultima finestrella, dietro cui c’era Gesù bambino.
«E quindi il Natale acquistava questa esplosione di gioia, al contrario, noi oggi abbiamo reso ogni giorno uguale all’altro, abbiamo perso il senso della domenica, il senso dell’attesa, abbiamo perso tutto il senso di quello che è la bellezza della vita, che è fatta dell’aspettare, del ricercare.»
 
«Adesso vige la legge del tutto subito, – prosegue Mons. Maule. – Si mangiano le fragole a dicembre, vogliamo le ciliegie a novembre, e quindi abbiamo appiattito la vita. La Sapienza della Liturgia, ad esempio, fa pregare in un inno delle lodi mattutine “tu alterni i ritmi del tempo per vincere la noia dell’uomo”, il dono delle stagioni come realtà che si alterna, realtà che ci aiuta a godere della vita e scoprire sempre la novità.
«Invece noi che facciamo? Passiamo dai mercatini di Natale al carnevale, dal carnevale alla colomba di Pasqua, alle Feste Vigiliane, siamo sempre sotto stress da festa. Non c’è più la gioia dell’attesa e la gioia dell’incontro.
«Abbiamo creato queste regole stupide, per cui dobbiamo creare queste finte felicità, quindi il pranzo di Natale deve essere sontuoso, diventando anch’esso un motivo di stress, quando invece l’importante è trovarsi con i parenti e gli amici, ma in maniera semplice, anche perché, grazie a Dio, oggi non abbiamo bisogno di fare le abbuffate, abbiamo bisogno dell’esatto contrario, siamo tutti con il diabete, con l’ipertensione.
«Bisognerebbe invece riscoprire il senso della relazione, ha senso trovarsi insieme al pranzo di Natale non per mangiare fino a scoppiare, ma per la gioia di trascorrere un pomeriggio insieme e per poter dialogare, in serenità. Purtroppo tutto ciò succede perché l’idea del guadagno, nella nostra società, è al di sopra di tutto.
«Possedere diventa la fonte dell’infelicità e noi non ce ne accorgiamo, perché una volta che tu hai posseduto una cosa non ti basta più, ne vuoi subito un’altra.
«Basta guardare cosa succede con i telefonini: c’è gente che continua a cambiarli anche quando funzionano ancora perfettamente.»
 
Che consiglio si sentirebbe di dare alle persone che hanno il desiderio di vivere in maniera meno frenetica questo Natale?
«Imparare nuovamente a gioire del poco.
«Riscoprire le cose semplici come può essere dirsi buongiorno, riscoprire la gioia del saluto, dello stringersi la mano, del fare due passi insieme, per riappropriarsi del tempo.
«Noi ormai non viviamo più. Non abbiamo più tempo per nulla, arriviamo alla sera angosciati. Occorre tempo da dedicare ai figli, ci sono situazioni paradossali, faccio l’esempio della famiglia che si ritrova insieme solo la sera e quando il bambino a tavola fa una domanda viene azzittito perché c’è il telegiornale da seguire alla televisione.
«Invito a riappropriarsi del tempo, a riappropriarsi della relazione, imparando ad accontentarsi, a gioire delle cose semplici. Inviterei a provare a spegnere la televisione qualche volta, sempre naturalmente quando si mangia, per dare spazio al dialogo.
«Occorre non lasciarsi abbindolare, resistere dalla tentazione di andare al supermercato di domenica solo perché ci sono gli sconti. Occorre prendersi il tempo da dedicare agli affetti, alla famiglia».
 
Un’ultima domanda. Sulla preghiera è stato scritto moltissimo. Essa è pensiero, energia. Nell’immaginario collettivo è una sorta di colloquio con Dio: come la definirebbe brevemente?
«Pregare vuol dire ascoltare. Uno prega quando ascolta. E’ l’ascolto che mi riempie la vita, io se ascolto obbedisco e quindi prego. La liturgia della Chiesa è basata sull’ascolto della parola di Dio.
«La preghiera dei salmi, per esempio: non si tratta di preghiere dette, ma preghiere ascoltate.  «Il salmo è parola ispirata, è parola di Dio a noi che la recitiamo perché nel farlo la ascoltiamo.
«La preghiera individuale è anche ascolto. E’ ascoltare Dio. La preghiera ha un unico soggetto che è il Tu, non l’io.
«Pregare, come ho detto prima, è ascoltare.»
 
Daniela Larentis – [email protected]

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