«Radiografie dello sguardo, Carlo e Gios Bernardi» – Di Daniela Larentis
Mostra Curata da Massimo Parolini in collaborazione con lo Studio Rensi di via Marchetti, Trento – Visitabile fino al 31 ottobre
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«Radiografie dello sguardo, Carlo e Gios Bernardi: dialogo fra padre e figlio attraverso l’arte», è il titolo della mostra inaugura venerdì 16 ottobre 2015 presso lo studio Rensi di via Marchetti, visitabile a Trento fino al 31 ottobre (orari apertura mostra: 9-12|15-19).
Si tratta di un evento che segue altre due prestigiose recenti esposizioni, ambedue generosamente ospitate dallo Studio Rensi, in un periodo in cui, dopo la chiusura delle principali gallerie d’arte private di Trento e Rovereto che si occupavano di artisti del territorio (in particolare Il Castello di Gualazzi a Trento e la Galleria Dusatti di Rovereto), è tanto importante quanto urgente dare visibilità alla migliore creatività artistica del Novecento trentino.
Curate ambedue da Massimo Parolini in collaborazione con Claudio Rensi e il figlio Matteo, la prima, dedicata al tema religioso nell’arte della nostra terra, era intitolata «I segni del sacro», la seconda, dal titolo «Paesaggi nell’arte trentina», era una panoramica significativa di opere di alcuni fra i più rappresentativi artisti trentini dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri.
Carlo e Gios Bernardi, padre e figlio, vengono in questa occasione accostati artisticamente in un percorso espositivo che non deluderà certo il visitatore.
Carlo Bernardi fu un grande pittore, per moltissimi anni stimato professore di disegno e storia dell’arte, egli amava immortalare i paesaggi della nostra terra, la collina di Trento, la Valsugana, ma anche altre zone, altri spettacolari scorci.
«I paesaggi di Bernardi sono prevalentemente la collina di Trento, la Valsugana (Pergine, col suo castello, Caldonazzo, col suo lago, Tenna, la Val dei Mocheni), il pinetano (Bedollo, il lago di Piazze, Baselga), la Val di Sole.
«Spesso, come Cézanne col suo monte di Sainte Victoire, egli riproduce più volte, magari in stagioni diverse, lo stesso angolo di paesaggio, dalla stessa angolatura, ricercando nuove emozioni nel colloquio con forme e luce, – spiega Massimo Parolini. – Nel ritratto Bernardi circoscrive i suoi soggetti alla cerchia famigliare e agli amici più stretti, privilegiando l’autoritratto.
«Scelte che gli consentono l’indipendenza da qualsiasi committenza e una maggiore possibilità di sperimentazione stilistica.
«Nei ritratti di se stesso e dei suoi famigliari più cari Bernardi cerca di cogliere l’anima mutevole, l’interiorità fluida e permanente, in dissidio con la metamorfosi del volto, colto nel passare delle stagioni della vita.»
Sono concetti sottolineati da Massimo Parolini nella preziosa pubblicazione che accompagna la mostra (a cura di Massimo Parolini e Claudio Rensi).
Scrive Parolini: «La mostra Carlo e Gios Bernardi: radiografie dello sguardo fa seguito all’antologica dedicata nel 1985 all’artista dall’assessorato alla cultura del Comune di Trento (catalogo a cura di Michelangelo Lupo, allestimento di Fulvio Nardelli) presso il Centro Santa Chiara di Trento che, a sua volta, è debitrice dell’appassionata monografia del 1978 (la 61esima della Collana artisti trentini) ideata da Riccardo Maroni e curata dal nipote Marco Bernardi.
«Data anche la specificità dello spazio espositivo dello Studio Rensi abbiamo operato una selezione che ha privilegiato le due tipologie più ricorrenti della produzione artistica di Bernardi, ossia il paesaggio e il ritratto, fatta eccezione per alcuni quadri appartenenti alla cosiddetta tematica letterario-simbolica.»
Il figlio Gios Bernardi - Olio su cartone, 1944.
Gios Bernardi, personaggio eclettico, medico radiologo (insignito della «Special Award for Distinguished Public Service» per il contributo alla ricerca internazionale sul cancro a Chicago nell’aprile 2012), eccellente fotografo di strada ora più che novantenne, ha saputo catturare negli anni attraverso i suoi splendidi scatti le emozioni, la bellezza e la durezza di un secolo, il Novecento, testimoniando anche l’emigrazione della gente che un tempo non troppo lontano abbandonò la casa e la propria terra con il cuore pesante, possiamo immaginare noi a posteriori, e gli occhi gonfi di lacrime («Gente che va» è il titolo di un libro fotografico di Gios Bernardi uscito alcuni anni fa, testi di Mario Bebber, il cui tema era incentrato sul dramma di chi è costretto a partire con la valigia in mano in attesa di un futuro migliore).
Spiega Franco de Battaglia nella sua prefazione all’esaustivo catalogo della mostra: «Le fotografie di Gios Bernardi, che ha vissuto nella professione, nella scienza, nell’impegno civile tutte le pienezze, le durezze e le contraddizioni del Novecento, vengono accostate, in questa rassegna ai dipinti del padre Carlo, un grande, originale pittore, sensibilissimo a tutte le tensioni spirituali e ai tormenti dell’Ottocento.
«L’accostamento va però oltre il ricordo filiale e mostra, piuttosto, quanta influenza dei dipinti paterni si trovi, pur indirettamente, nella fotografia di Gios: per la ricerca di semplificazione delle immagini, innanzitutto, per l’assenza di ogni manierismo, per la rarefazione della luce ricercata fin quasi a diventare introspezione e raggiungere in una trasparenza, o in un’ombra, l’essenza della vita.»
Ritratto della moglie Maria - Olio su masonite, 1946.
Numerose sono le mostre fotografiche a cui Gios Bernardi ha partecipato nel corso degli anni, sia a livello nazionale che internazionale.
In catalogo sono elencate le principali esposizioni: la personale del 1962, a cura di Lamberto Vitali, alla libreria d’arte e di architettura Salto a Milano.
Nel 1967 pubblica il libro di analisi dell’emigrazione italiana dal titolo «Gente che va» riedito poi nel 2009.
Nel 2005 partecipa a Colonia ad una mostra dedicata alla migrazione in Germania realizzata dal Kulturstiftung des Bundes, dal Centro di documentazione sulle migrazioni, dall’Istituto di antropologia culturale dell’Università di Francoforte e dall’Associazione d’arte di Colonia.
Nel 2000 e successivamente fino al 2014, la nota galleria Keith de Lellis di Manhattan acquista più di un centinaio di sue opere esponendole nel corso di diverse collettive fra le quali «View from Abroad World Capitals by Postwar Italian Photographers».
Del 2006 è la pubblicazione, a cura di Keith de Lellis, edizioni Damiani: «Le strade. Italian Street Photography».
Lago di Caldonazzo da sud - Olio su masonite, 1972.
Approfittando della preziosa occasione offerta dall’inaugurazione, abbiamo avuto l’onore di rivolgergli alcune domande.
Quando è nata la grande passione per la fotografia?
«Direi che è nata da ragazzo, mio padre non voleva che mi dedicassi al disegno, era un mondo difficile quello degli artisti, mi appassionai quindi alla fotografia».
È nata prima la passione per la medicina o quella per la fotografia?
«Prima la passione per la fotografia».
Quali sono i soggetti da cui, generalmente, ha tratto maggior ispirazione?
«Sono un fotografo di strada, mi piace ritrarre l’umanità, l’uomo comune colto nell’istante in cui possa rivelarmi qualcosa che vada al di là dell’apparenza».
Famiglia - Sardegna, 1960.
Le foto di strada raccontano qualcosa sulla natura umana, racchiudono un messaggio. Ha voluto comunicare qualcosa di preciso attraverso i suoi scatti?
«Non ho mai pensato di trasmettere intenzionalmente dei messaggi, ho solo espresso l’interesse per l’uomo. Ho cercato di cogliere qualcosa inerente la sfera intima di chi mi trovavo di fronte, catturando un preciso momento, un movimento, uno sguardo, un sorriso. Anche come medico ho sempre cercato di creare rapporti di empatia con il prossimo».
L’emigrazione testimoniata in maniera tanto efficace dalle splendide fotografie in mostra e l’emigrazione di questo nostro tempo, quel fenomeno sociale che è sotto gli occhi di tutti quotidianamente: in cosa secondo Lei si si assomigliano, o al contrario si differenziano, questi due tipi di flussi?
«Sono assolutamente gli stessi. Quelli di oggi forse sono più drammatici, allora i nostri concittadini partivano perché c’era la fame, c’era miseria, volevano lavorare, non c’era lavoro sufficiente qui, ma le persone che partono adesso sfuggono da disagi ben maggiori».
Sole d'autunno - Pergine, 1960.
C’è qualche foto a cui è particolarmente affezionato, fra quelle esposte, e se sì perché?
«Direi di no, sono affezionato a tutte, queste foto sono solo alcune fra quelle da me scattate nel corso della mia vita, ho un archivio enorme di fotografie, anche di quelle relativamente recenti, mi viene in mente una serie particolarmente bella sui suonatori di strada immortalati a New Orleans».
Che ricordo conserva di suo padre, ci può raccontare qualche aspetto del suo carattere?
«Mio padre era un uomo di poche parole, molto buono nonostante un aspetto quasi burbero, era molto legato alla famiglia. Era scrupoloso, sempre molto presente, particolarmente simpatico con i nipoti più che con i figli».
Un’ultima domanda: cosa pensa dell’arte contemporanea, quella dei «nostri giorni»?
«La seguo, forse però ci vuole molto ottimismo per considerare arte tutto quello che viene prodotto nel presente, personalmente preferisco tutto ciò che viene immediatamente prima del contemporaneo».
Carlo e Gios Bernardi, due artisti che hanno saputo ambedue trasmettere, talvolta proprio attraverso lo sguardo dei soggetti ritratti, potenti emozioni, come per volerci ricordare che le persone possono essere abili, nella vita quotidiana, a nascondere il proprio stato d’animo, ma esso traspare tuttavia dai loro volti, in particolari momenti: gli occhi non mentono mai.
Daniela Larentis - [email protected]
Partenze - Milano, 1966.
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