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Carlo Busetti alla Silmo di Parigi – Di Daniela Larentis

L’artista trentino approda nella capitale francese con Hera Art & Luxury, al Salone Internazionale dell’Ottica e dell’Occhialeria

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Carlo Busetti, definito più volte «l’artista del surrealismo digitale», approda nella capitale francese, all’annuale Salone Internazionale dell’Ottica e dell’Occhialeria (SILMO) di Parigi (quest’anno si è tenuta dal 25 al 28 settembre 2015), con un’opera riprodotta su occhiali e borse che portano il marchio di Hera Art & Luxury, l’azienda sudtirolese di Roland Raffin che conta al suo attivo importanti eventi (ricordiamo la recente esposizione a Palazzo Zenobio, Venezia).
I produttori di occhiali sono sempre molto attenti al design e alle nuove tecnologie che permettano di ottenere prodotti innovativi, attraverso la messa a punto di nuovi materiali, nel caso del brand altoatesino si tratta di particolari finiture di grande impatto estetico realizzate con materiali naturali, quali il legno.
 

 
È facile osservare come ogni opera d’arte sia figlia del suo momento storico. Carlo Busetti, utilizzando la tecnologia sperimenta il colore, lo attinge da una tavolozza hi-tech, servendosi anche delle dita o di un pennino al posto del pennello, non stende il classico pigmento sulla tela (la Treccani lo definisce «sostanza in grado di conferire colore al suo supporto»), ma si sa, i colori tutti, che siano virtuali o meno si legano alla sfera emozionale dell’uomo.
E una delle funzioni comunicative dell’arte è proprio quella di suscitare emozione.
Il suo percorso artistico parte da lontano, da quando ancora studente universitario disegnava a penna i suoi primi schizzi.
Ed è proprio la riproduzione di un suo disegno eseguito a penna, quando ancora disegnava a mano libera su carta, prima di approdare, trent’anni dopo, all’arte digitale su iPad, che è stata presentata al prestigioso evento parigino, scelta fra i molti disegni prodotti negli anni per celebrare il suo esordio.
 

 
Carlo Busetti ha più volte sottolineato che per quanto riguarda la digital art, le applicazioni della sua arte offerte dalla stampa digitale sono molteplici e ben si prestano ad essere impiegate non solo sui pannelli in lamiera usati per rivestire gli edifici, ma su supporti come in questo caso borse oppure occhiali, elencando poi altre possibilità di sviluppo, anche al di fuori dell’opera d’arte vera e propria.
Dobbiamo quindi pensare alle sue opere d’arte non più esclusivamente come il classico quadro da appendere alla parete, ma anche a una realizzazione fashion in cui, grazie alla stampa digitale, sia possibile abbinare il riciclo o l’utilizzo di materiali green alla personalizzazione «artistica».
C’è chi lo definisce «l’artista del figurativo astratto», ma può anche ricordare l’espressionismo astratto di Jackson Pollock, per esempio in «Composition with Pouring II» del 1943, o quello di Hans Hofmann in «Autumn» del 1949.
Innanzi alle opere di Carlo Busetti si ha l’impressione che non abbiano né un inizio né una fine, danno l’impressione di uscire dal loro supporto per vagare nello sconfinato spazio dell’immaginazione, infatti osservandole si ha la sensazione di scoprire ogni volta qualcosa di nuovo, un particolare che un attimo prima era sfuggito. 
 


Come Pollock, considerato uno dei maggiori esponenti dell’Espressionismo astratto, il quale era passato dalla pittura tradizionale su cavalletto al lavoro a terra, sul pavimento, dove dipingeva servendosi di recipienti che versava o gocciolava sulla tela, Carlo Busetti ha sperimentato una nuova stesura del colore, quella «digitale», espressione quest’ultima dell’uomo contemporaneo che utilizza la tecnologia per soddisfare i molti bisogni della vita quotidiana (pensiamo agli spazzolini elettrici per pulire i denti, agli elettrodomestici di uso comune, all’utilizzo del pc, dei cellulari, dei tablet, utilizzati per leggere perfino il giornale, ecc.). 
Tuttavia, mentre l’artista statunitense dipingeva in maniera che potremmo definire «automatica», Carlo Busetti stende il colore non certo in maniera casuale; in occasione di una nostra precedente intervista ci aveva raccontato: «Tutto è improntato sull’impulsività, sulla spinta creativa di quel preciso momento, una sorta di gesto, di bisogno liberatorio insopprimibile dell’anima, che mi spinge a rappresentare di getto le sensazioni e tutto ciò che sento dentro. Ciò mi fa star bene e mi appaga interiormente, sia durante l’esecuzione che alla fine dell’opera: insomma, una sorta di toccasana per la mente e per il corpo».
 
Daniela Larentis – [email protected]

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