«Andare oltre» – Di Daniela Larentis
Il tempo mette una distanza fra noi e le esperienze vissute e talvolta certi avvenimenti negativi si trasformano in opportunità
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Alle volte capita che un accadimento negativo possa poi essere riconsiderato in chiave positiva, una volta superato, a distanza di tempo. Il tempo, infatti, mette una distanza fra noi e le nostre esperienze, collocandole nella giusta prospettiva (le rende più accettabili e meno dolorose).
Quello che sembra essere una catastrofe, un evento del tutto sfavorevole, si può trasformare in un’opportunità di crescita, occorre solo non perdere la speranza e attendere.
E’ ciò che è accaduto a Ilario Montesi, il quale ha scritto un interessante libro intitolato «In cammino verso l’Uno – alla ricerca della fonte dell’Amore sommo» (edito da Reverdito).
Due parole su questo autore: si laurea in economia a 22 anni e, dopo aver lavorato nelle aziende industriali di famiglia maturando importanti esperienze imprenditoriali nazionali e internazionali, alla soglia della cinquantina si trova suo malgrado a vivere un periodo molto travagliato, agli inizi degli anni Ottanta.
Descrive lui stesso quella fase della sua vita (pag. 20).
«Fino ad un certo punto – e sul piano materiale – la vita non mi fu certo avara di successo e soddisfazione: anzi, mi diede molto. Ma tra le rose vi furono anche dolorose spine, tra le quali il rapimento di mio fratello cui seguì la forzata separazione fisica dalla mia famigliola.
«Ma la vicenda che mutò drasticamente il corso della mia vita avvenne alla fine del 1983 quando improvvisamente, nel giro di poche ore, il mondo parve crollare addosso a tutta la nostra famiglia.
«Una nefanda combine organizzata da una Banda Bassotti (tali almeno oggi li considero) appoggiata da politici e da altri, con iniziative fraudolente si impadronì del nostro gruppo industriale, di colpo spogliandoci totalmente.
«La loro rapina (la maggior parte di costoro è nel frattempo deceduta per morte violenta o è stata colpita da irreparabili problemi di salute), oltre ad illeciti arricchimenti, sfociò in enormi sperperi e distruzione di molte migliaia di posti di lavoro: questo fatto all’epoca suscitò grande scalpore ed erroneamente mise in cattiva luce la mia famiglia.
«Sgomento e totalmente incredulo che la Giustizia potesse prestarsi a simili giochi, in meno di un mese nostro padre venne colpito da un ictus e nostra madre, per il dolore, si ammalò di un tumore al cervello. In poco tempo entrambi ci lasciarono, a poca distanza l’uno dall’altro…»
Ma talvolta capita che un momento particolarmente duro da affrontare poi si riveli anche un’occasione di crescita spirituale, è lui, infatti, ad affermare alla pagina successiva.
«Oggi, visto a distanza di anni, l’incubo di quegli eventi ha virato in positivo e mi ha consentito di comprendere come tutta la nostra vita già sia scritta nel gran libro del destino.
«Quei tragici fatti mi hanno permesso di cominciare a dare ascolto ad un sottile richiamo risalente alla mia prima infanzia, come manifestazioni che solo dopo molti anni sarei stato in grado di comprendere.
«Dopo di allora ho iniziato a scoprire valori che crescendo avevo erroneamente messo da parte, primo tra tutti l’enorme potenziale spirituale originariamente insito in ognuno di noi; a riscoprire quali siano le nostre radici, poi scordate con il progredire della cosiddetta ragione…»
Sottolinea inoltre un concetto, ossia la diffusa tendenza a concentrarsi sulla soddisfazione materiale anziché su altro, un errore che facciamo un po’ tutti.
«Coinvolti come siamo in una linea che riteniamo evolutiva, ma che invece ci sta portando ad estremizzare il razionale e a prediligere il materiale, come la ricerca della gloria, il consenso effimero, la idolatria del potere e del denaro e, a scapito di valori assai più validi, a confondere l’importanza dell’avere (possesso e avidità tipici dei poveri di spirito) con quella ben superiore dell’essere. In poche parole, ad una suicida corsa verso l’autodistruzione spirituale...»
La tragedia familiare vissuta lo porta ad approfondire le conoscenze di culture legate allo sciamanesimo, scoprendo a poco a poco luoghi intrisi di spiritualità.
«Da un lato, mi ha portato verso chiostri, eremi e monasteri, luoghi di culto in Italia e all’estero; dall’altro, verso territori sperduti dove, inaspettatamente e senza cercarle, mi sono ritrovato a vivere, non a caso, esperienze anche molto forti, soprattutto nell’Ovest del Canada e degli Stati Uniti, nella solitudine delle Montagne Rocciose e di alcune zone remote del New Mexico. Ma anche in India, in Italia, sulle Alpi e in Umbria…»
Alla fine degli anni Ottanta, Montesi incontra un indiano nordamericano della nazione dei Blackfeet Piegans, nel Montana, il quale gli insegna l’importanza della preghiera.
Essa non è chiedere favori ma, al contrario, «cercare di raggiungere il contatto con l’interiorità e con le energie che ci circondano».
Un contatto che, come lui afferma, «in una prima fase può venir agevolato da opportuni rituali. Ma, ancor più, dal sapersi appartare nel silenzio dell’interiorità e ivi rinchiudersi, come in un bozzolo, pronti all’ascolto».
Scrive poi: «Ciò è quanto ho appreso in anni di esperienze, sospinto da sempre più forti stimoli istintivi e dalla ricerca di quel maggior contatto con la natura al quale fui introdotto da Bob».
Uno degli insegnamenti che Ilario Montesi apprende da Bob Blackbull è quello, citiamo testualmente, di «capire quando occorre rimettersi in gioco, senza farsene un problema e senza arretrare, ogni qualvolta emergano fatti nuovi che inducano a rivedere, anche drasticamente, le proprie posizioni», una lezione di vita importantissima e molto utile.
Quante volte ci si ritrova innanzi a degli ostacoli da superare e l’unica soluzione pare sia quella rimboccarsi le maniche e ripartire senza pensare troppo alla fatica: lungo il cammino si raddrizzerà il tiro, l’importante è procedere. Possibilmente senza guardare indietro, ma con lo sguardo sempre puntato verso l’orizzonte, verso il futuro, il tempo ancora da vivere.
Un percorso spirituale assai complesso: a proposito dell’apparente conflitto tra il cammino sciamanico e quello religioso lui afferma (pag. 171).
«L’apparente conflitto tra i due percorsi spirituali è dovuto ad un’ottica alterata derivante da un tipo di cultura non sempre condivisibile.
«Entrambi sono accomunati da un’etica assai simile, dallo stesso desiderio di agire nell’alveo dell’Amore, di aiutare gli altri, entrambi presuppongono il raggiungimento della fusione in un’entità superiore, dai Blackfeet non definita con un nome preciso, in quanto semplicemente non individuabile.
«Tutt’al più, arrivano a chiamarlo àaisch-jpét-tapéeop, il Grande Mistero…»
Più avanti osserva così.
«Per restare in ambito razionale, i percorsi possono essere paragonati alle diverse e tutte valide vie percorribili (religioni comprese) per raggiungere la cima di una montagna: seguendo la strada principale, o dei viottoli, o risalendo il greto di un torrente asciutto, o seguendo l’istinto. L’importante è giungervi!»
Che sia importante arrivare in cima alla montagna è auspicabile, ognuno sceglierà la via che ritiene possa essere migliore per se stesso, quello che conta è comunque anche vivere bene il viaggio.
Daniela Larentis – [email protected]
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