Home | Rubriche | Pensieri, parole, arte | Inaugurata «Afterselfie - beyond masks \ oltre le maschere» – Di Daniela Larentis

Inaugurata «Afterselfie - beyond masks \ oltre le maschere» – Di Daniela Larentis

Venerdì 15 maggio a Trento ha aperto i battenti a Palazzo Trentini la mostra curata da Carolina Bortolotti: resterà aperta al pubblico fino al 30 maggio 2015

image

>
Venerdì 15 maggio 2015, a Palazzo Trentini, in via Manci 27 a Trento, è stata inaugurata innanzi a un folto pubblico la mostra d’arte contemporanea «Afterselfie – beyond masks \ oltre le maschere» a cura di Carolina Bortolotti, seconda tappa di un progetto espositivo concepito e sviluppato con la volontà di promuovere uno scambio culturale internazionale per gli artisti e per le giovani professionalità coinvolte nell’organizzazione (l’intrattenimento musicale è stato curato dal cantautore Jacopo Candela).
Come avevamo già scritto (vedi articolo), il titolo fa riferimento al tema principale di quest’esposizione d’arte, ossia la rappresentazione dell’essere umano e la difficoltà da parte dell’uomo di gestire la distanza tra essere e apparire.
Questo tema è stato riportato all’attualità dalla crescente influenza dei social networks nella nostra vita quotidiana e dalla consuetudine di farsi selfies.
Come avevamo sottolineato, molte persone stanno costruendo la loro immagine attraverso false rappresentazioni di sé e ciò è dettato dalla necessità di compiacere l’ambiente sociale di riferimento.
Il bisogno di indossare costantemente delle maschere di apparenza riecheggia la teoria delle maschere che emerge dagli scritti di Luigi Pirandello, seppur con un significato contemporaneo.
Il celeberrimo scrittore italiano del Novecento considerava infatti gli uomini «personaggi», i quali nella commedia della vita sono costretti a recitare una parte, imprigionati in un meccanismo che li induce a vivere immersi nella forma. 
Ci piace riportare alcune emblematiche righe del brano di Luigi Pirandello tratto da «L. Pirandello, L’umorismo e altri saggi» (Edizioni Giunti, 1994): «La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi. 
 
 
 
«Le forme, in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente…»
 
Parole che suonano familiari in quanto è spesso evidente quanto gli uomini siano tutti o quasi assorbiti nel meccanismo della forma, dimenticandosi talvolta di cogliere la vera essenza di una vita che come un fiume in piena scorre impetuosa.
La rete, nella nostra società, sta diventando la metafora di noi stessi, del nostro mondo, molti avvertono sempre più la necessità di costruirsi un’immagine pubblica, spesso utilizzando autoscatti fotografici, i selfies, da condividere sui social.
Questa mostra vorrebbe quindi far riflettere sulla costruzione d’identità e sulla moda di auto-rappresentarsi attraverso immagini distorte all’interno dei social networks.
 

 
Abbiamo approfittato dell’occasione per porgere alla curatrice alcune domande.
 
Come è avvenuta la scelta degli artisti in mostra?
«Gli artisti selezionati per la mostra Afterselfie hanno provenienze e formazioni molto diverse ma sono tutti accomunati da una riflessione estetica sulla figura umana.
«Gli artisti coinvolti sono nove: quattro maltesi ossia Adrian Abela, Ritty Tacsum, Raphael Vella ed Elisa Von Brockdorff; quattro artisti italiani: Jacopo Dimastrogiovanni, Debora Fella, Gabriele Grones, Elia Nadie; più un collettivo artistico, Goghi&Goghi che è anche l’associazione con cui il progetto Afterselfie è stato organizzato, prima a Malta e poi a Trento.
«Con alcuni degli artisti italiani ho collaborato in passato curando per loro esposizioni temporanee per cui sono stati scelti con la certezza del loro ottimo apporto al progetto, gli altri artisti invece sono stati coinvolti in Afterselfie per via della loro tecnica eccezionale.
«Per quanto riguarda gli artisti maltesi la scelta è stata più elaborata ed è stata fatta in seguito ad un lungo periodo di studio e documentazione sul loro percorso e sul loro lavoro, nonché grazie a Simon Sultana Harkins, coordinatore maltese del progetto venuto a Trento per l’inaugurazione della mostra.»
 
La composizione pittorica dell’artista Jacopo Dimastrogiovanni intitolata «Odi et Amo» cosa rappresenta?
«Attraverso questo polittico, appositamente creato per Afterselfie, Jacopo Dimastrogiovanni racconta la relazione di una coppia apparentemente molto unita, ma che sta invece vivendo un periodo di profonda crisi e uno stato di forte instabilità emotiva.
«Nei pannelli laterali le figure sono rappresentate in un momento di intima riflessione: i personaggi stanno ragionando su una situazione personale e sentimentale che deve essere necessariamente riconsiderata. Nei dipinti centrali, di formato minore, i volti dei personaggi sono indagati a livello emotivo: l’artista cerca di portare in superficie tutti i sentimenti di confusione e disorientamento di una coppia che ha giocato un ruolo forzato per troppo tempo.
«La contrapposizione tra lo stile più realista dei pannelli laterali e quello materico dei pannelli centrali crea un effetto di voluto turbamento: il pubblico è portato a cercare corrispondenze estetiche, difficili da individuare, tra le figure eseguite nei laterali e i volti centrali, indagati con lo stile più distintivo di Jacopo Dimastrogiovanni e che ritroviamo anche nell’opera Tanto ormai, del 2012.»
 

 
Le tre opere di Gabriele Grones intitolate «Roberto» sembrano quasi fotografie. Qual è il significato di questi ritratti?
«Gabriele Grones è un artista che ha sviluppato negli anni una tecnica sorprendente: le sue opere sono eseguite con una precisione quasi fotografica, ma non si tratta di semplice iperrealismo. Il formato contenuto nelle tele, lo studio della luce e l’azzeramento dello sfondo sono espedienti tecnici che consentono all’artista di addentrarsi a livello microscopico nelle emozioni di ciascun individuo ritratto.
«Su uno sfondo neutrale e monocromatico le presenze di Grones assumono un’entità autonoma: lo spettatore si confronta con le identità ritratte e può percepirne il vissuto, le emozioni profonde, i turbamenti di una vita.
«In ogni opera della serie «Roberto» il soggetto è rappresentato attraverso un’inquadratura e sfondi diversi, come fossero diversi scatti della medesima sequenza fotografica, ma i personaggi di Grones sono esenti da espressioni stereotipate e sorrisi forzati, non sono necessariamente belli né forzatamente vincenti: le identità di Grones sono quindi la rappresentazione anti-selfie per eccellenza.»
 
Che tecnica usa Debora Fella nei due dipinti intitolati «Ritratto d’ombra I e II» e cosa rappresentano?
«Debora Fella inizia ciascuna tela partendo da una foto istantanea, necessaria per fissare un momento di tempo vissuto nella memoria. L’immagine viene in seguito rielaborata sulla tela attraverso sfumature pittoriche che deformano e smaterializzano i soggetti rappresentati attraverso una gamma cromatica ristretta, che spazia dalla scala di grigi a quella dei rossi.
«Le velature pittoriche creano un gioco di luci e ombre in grado di deformare la fisicità dei soggetti ritratti consentendo allo spettatore di concentrare la propria attenzione sulla dimensione emozionale degli individui ritratti più che sulla loro presenza fisica.
«I personaggi sono collocati in luoghi e ambientazioni trascurabili: l’artista si concentra sulla necessità di far emergere la dimensione emozionale dell’individuo ritratto, censurando tutti gli aspetti che possono distogliere l’attenzione dalla sua umanità.»
 

 
Cosa ha voluto comunicare Elia Nadie attraverso le opere intitolate «One, no one»?
«One, no One è un autoritratto dell’artista creato grazie all’intervento di sei donne in qualche modo a lui collegate cui è stato chiesto di creare un ritratto attraverso alcuni oggetti rappresentativi della personalità dell’artista o in qualche modo connessi alla sua vita quotidiana.
Anche Elia stesso ha realizzato un auto-ritratto seguendo le medesime indicazioni: ciascuna delle sette rappresentazioni di One, no One è un ritratto a sé stante, ma nessuna delle sette è davvero vicina a rappresentare la complessità della persona descritta.
One, no One cambia in base agli occhi della persona che sta osservando, creando un illimitato numero di possibili identità in cui l’artista e il pubblico si può perdere.
One, no One è un lavoro che stimola una forte riflessione sul tema dell’identità e sull’immagine sociale di ciascuno di noi, riportando la memoria - anche per via del titolo - Uno, Nessuno e Centomila di Luigi Pirandello dove più che in altri scritti emerge il tema della maschera e delle tante identità che possono essere attribuite agli individui nel corso della loro vita relazionale.»

Nell’esposizione è presente l’opera del collettivo Goghi&Goghi. Cosa mostra il video e quale messaggio comunica?
«Questo filmato è la ripresa video di una performance ideata ed eseguita da Goghi&Goghi, collettivo artistico di fama internazionale che si rapporta spesso con il tema dell’identità.
«Il video creato per Afterselfie mostra una persona mentre diventa tante persone differenti: una non-identità che muta grazie all’intervento della tecnica del make-up e del travestimento.
«I confini tra genere, età e personalità divengono visibili durante il mutamento che sembra non avere fine: l’identità del soggetto ritratto è qualcosa che continua a mutare nella fluidità tra uno status e l’altro, comprendendo il pubblico nel processo di mutamento.»
 

 
Raphael Vella è presente in mostra con una serie di disegni in grafite e cera d’api su carta, dal titolo «Heroes & Villains». Cosa rappresentano i suoi personaggi?
«I volti dei personaggi disegnati da Raphael Vella sono rappresentati liberi dal contesto sociale di riferimento e senza alcun dettaglio che possa farci capire chi sono veramente, pur trattandosi di noti attori e attrici, politici e personaggi celebri realizzati dall’artista utilizzando fotografie della loro infanzia.
«Questi sette personaggi - tra cui ci sono la principessa Diana, Putin e Martin Luter King - sono accompagnati solo da alcuni dettagli biografici riportati sul bordo del foglio che, però, non rivelano l’identità della persona rappresentata.
«Questo lavoro di Raphael Vella, esposto solo una volta in Inghilterra nel 2012 e riproposto in Afterselfie, stimola una riflessione sull’identità degli individui che spesso è diversa da quella percepita attraverso un’immagine sociale o mediatica.»
 
I lavori di Ritty Tacsum appartenenti alla serie «In My Mind» sono fotografie che ritraggono individui in diverse situazioni intime. Perché sono ritratte senza volto e che significato hanno?
«Le fotografie presentate da Ritty Tacsum sono immagini accomunate dall’omissione del volto dei personaggi, comunemente considerato come la parte più espressiva del corpo umano soprattutto al tempo dei selfies.
«L’assenza del viso nei personaggi ritratti nelle fotografie non fa che aprire suggestioni e rendere ancora più espressive le immagini dell’artista maltese. Quelle in mostra rappresentano principalmente sentimenti d’intimità e solitudine, emozioni generalmente censurate nella contemporaneità.
«Questi lavori - parte di una serie di fotografie dal nome In My Mind - possono essere quindi considerati il manifesto di una necessaria riappropriazione di sentimenti autentici e fondanti di ciascuna identità. Una delle fotografie di Ritty Tacsum è diventata anche l’immagine promozionale di Afterselfie grazie ad un ottimo lavoro di grafica svolto da Mara Pieri.»
 

 
Gli specchi di Elisa Von Brockdorff (opera intitolata «Mirror, mirror on the wall», in italiano «Specchio, specchio delle mie brame») sembrano assorbire le emozioni del visitatore, vero?
«Sì, l’installazione di Elisa Von Brockdorff comprende una serie di frasi e commenti motivo di forte disagio, imbarazzo o turbamento per le persone a verso cui sono state pronunciate. Le frasi riportate da Elisa, in inglese ma facilmente traducibili in italiano, sono molto forti; una di quelle che fa più riflettere è you would look OK if you lost some weight ossia saresti più carino/a se perdessi un po’ di peso: si tratta di un chiaro riferimento polemico ai canoni estetici con cui ci dobbiamo quotidianamente confrontare.
«Questa installazione invita quindi il pubblico a leggere le citazioni e a reagire alle parole come fossero loro indirizzate in prima persona: il fatto che le parole siano fissate su uno specchio consente al pubblico di identificarsi nelle frasi e, attraverso la propria reazione, sentirsi parte dell’opera. L’installazione assorbe quindi le emozioni, intime e personali, del visitatore.»
 
Il video di Adrian Abela, «My (alt)SPACE» rimanda alla complessità del mondo dei giovani. Cosa ha voluto comunicare l’artista attraverso questo video, esattamente?
«My (alt)SPACEè un video con cui Adrian Abela segna l’inizio di un’esplorazione all’interno dei processi di alterazione a cui gli individui si sottopongono per migliorare la loro partecipazione alla vita sociale e per sentirsi parte di un contesto sociale.
In particolare in questo video Adrian osserva il consumo di alcool in parallelo al fenomeno contemporaneo di farsi i selfies attraverso un video di 20 minuti girato in un solo weekend in una zona di Malta nota per la movida notturna.»
 

 
Afterselfie è la seconda tappa di un progetto più ampio. La prima mostra è stata ospitata al St. James Cavalier Centre nel cuore di Valletta, una location diversa da Palazzo Trentini. Quali scelte sono state fatte per l’allestimento?
«Uno degli aspetti più interessanti di questo progetto è stata la necessità di confrontarsi costantemente con due situazioni diverse, due pubblici diversi e soprattutto due location diverse seppur accomunate dall’essere due edifici storici estremamente prestigiosi.
«A Palazzo Trentini ho deciso di sfruttare lo spazio messo a disposizione dalla Presidenza del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento allestendo in una prima stanza alcune delle opere che riguardano il tema dell’identità.
«In una seconda stanza è stata inserita l’arte multimediale mentre nella terza, cui si accede attraverso una scalinata, è stata ricreata un’ambientazione più intima in cui sono state allestite le opere che riguardano la rappresentazione estetica del sé al di là della logica dei selfies.
«Una separazione di questo tipo non fa che enfatizzare il contrasto tra le diverse tecniche utilizzate dagli artisti di Afterselfie e quindi veicolare maggiormente il messaggio di questo importante progetto. L’arte contemporanea ha il privilegio di poter essere un mezzo attraverso il quale poter stimolare riflessioni su dinamiche o temi sociali attuali.»
 
Un’ultima domanda: che ricordo porterà nel cuore del sua esperienza al St. James Cavalier Centre for Creativity di Valletta?
«Afterselfie, dalla sua ideazione alla sua concretizzazione, mi ha permesso di entrare in contatto con la cultura e il popolo di Malta. Ciò è stato possibile anche grazie al lavoro di mediazione svolto da Simon Sultana Harkins, prima solo collaboratore e ora grande amico, che è stato fondamentale per la realizzazione del progetto.
«Ciò che porterò sempre nel cuore è la solidarietà e l’apprezzamento con cui la mostra Afterselfie è stata accolta da parte del pubblico maltese. I maltesi sono un popolo molto preparato e aperto rispetto a progetti artistici internazionali e verso la cultura della contemporaneità e sicuramente il fatto di essere Capitale Europea della Cultura nel 2018 sta portando grandi investimenti in ambito culturale e un’apertura mentale non indifferente.
«Malta rappresenta la mia Trento ideale, ossia un territorio piccolo con una grande storia alle spalle e fatto di gente aperta, solidale e partecipe rispetto ad iniziative che coinvolgono l’arte e i linguaggi della contemporaneità.»
 
Daniela Larentis – [email protected]

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande