Il bello della decelerazione – Di Daniela Larentis
La Società per la decelerazione del tempo è un’organizzazione austriaca, leader del movimento Slow
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C’è chi corre e ha la sensazione di non fare mai abbastanza, trascinandosi appresso il senso di colpa per non riuscire mai ad accontentare tutti.
Alcuni corrono per i figli, per i mariti, per le mogli, per i propri compagni e compagne, per i genitori, per gli amici, per il lavoro, soprattutto per il lavoro, e altri spinti da altre motivazioni.
Quello che è certo è che corrono un po’ tutti. L’azione quotidiana più frequente è quella di osservare l’ora. Nel nostro mondo ogni attività è inserita in una tabella di marcia che deve essere rigorosamente rispettata, si vive affannosamente fra una scadenza e l’altra, più o meno inconsapevolmente: siamo schiavi del tempo!
Diciamolo, è bello vivere una vita densa di impegni, alcuni dicono che allunghi la vita, tuttavia alle volte è strategica una sana decelerazione.
Ma come imprimere una inversione di marcia alla nostra esistenza, imprigionati come siamo dentro le gabbie che noi stessi ci siamo costruiti? E chi lo sa, un’idea ce la deve avere Carl Honoré, autore di un famoso saggio intitolato «Elogio della lentezza – Rallentare per vivere meglio» (Edizioni BUR), il quale nelle prime pagine del libro ricorda un’emblematica citazione di William Dean Howells (1907) che riportiamo: «Gli individui nascono e si sposano, vivono e muoiono in mezzo a un trambusto così frenetico da indurli a pensare che stiano per impazzire».
Prendersela comoda è diventato un lusso, un piacere che pochi possono permettersi. Ma perché si corre tanto?
Carl Honorè si interroga sulla spinosa questione (pag. 43): «Perché, fra tanta ricchezza materiale, la povertà di tempo è così endemica?» e subito dopo osserva quanto segue:
«Il principale responsabile è la nostra mortalità. La medicina moderna avrà anche aggiunto una decina d’anni ai settanta originariamente stabiliti dalla Bibbia, ma viviamo ancora all’ombra della scadenza più grande: la morte.
«Non c’è da stupirsi se abbiamo l’impressione che il tempo sia breve e se cerchiamo di sfruttare ogni momento. Ma se l’istinto a comportarsi così è universale, perché alcune culture sono più inclini di altre a gareggiare contro l’orologio?»
Già, perché? Questa è proprio una bella domanda. Come viene sottolineato nel libro, nella nostra cultura occidentale il tempo è una risorsa preziosa, è lineare, lo possiamo raffigurare mentalmente come una freccia che parte dal punto A e arriva al punto B oppure, aggiungiamo noi, come un tappeto che si srotola più o meno velocemente.
A pag. 44 leggiamo un pensiero che non possiamo che condividere, anche se da buoni occidentali dobbiamo ammettere che anche la nostra vita rientra, che lo si voglia o meno, nello schema descritto.
«Già negli anni Trenta dell’Ottocento, lo scrittore francese Alexis de Tocqueville accusò l’istinto all’acquisto di aver accelerato il ritmo della vita: Colui che ha rinchiuso il suo cuore nella sola ricerca dei beni di questo mondo, ha sempre fretta, poiché ha a sua disposizione un tempo limitato per trovarli, impadronirsene e goderne.
«Questa analisi suona ancora più vera oggi, in un’epoca in cui tutto il mondo è un negozio e tutti gli uomini e le donne sono semplici acquirenti. Tentati e solleticati a ogni piè sospinto, cerchiamo di accumulare quanti più oggetti e quante più esperienze possibili.
«Oltre ad avere una brillante carriera, vogliamo frequentare corsi di arte, allenarci in palestra, leggere il giornale e ogni libro nella classifica dei bestseller, uscire a cena con gli amici, gozzovigliare nei locali notturni, praticare sport, guardare la televisione per ore, ascoltare musica, dedicare del tempo alla famiglia, comprare tutti gli abiti e gli accessori all’ultima moda, andare al cinema, goderci momenti di intimità e appaganti rapporti sessuali con il partner, trascorrere le vacanze in località lontane e magari anche fare un po’ di generoso volontariato.
«Il risultato è un tormentoso divario tra quello che vogliamo dall’esistenza e quel che possiamo avere realisticamente, divario che alimenta la sensazione di non avere mai abbastanza tempo.»
Sembra facile, ma ridimensionare gli impegni talvolta può risultare difficile. È vero, come osserva Carl Honoré riferendosi a se stesso, che talvolta si vuole avere tutto.
Ma come? Non si va più alla fontana, come le nostre nonne, a lavare i panni, basta inserirli comodamente dentro al cesto della lavatrice.
Non ci si sposta più a piedi o in bicicletta per andare al lavoro (pochi lo fanno) ma si sale in macchina premendo il tasto dell’acceleratore, non si lavano più i piatti bensì si sciacquano alla bene e meglio (c’è chi non fa nemmeno questo semplice gesto quotidiano) infilandoli poi nella lavastoviglie. E allora, perché non si ha più tempo nemmeno per salutare il vicino di casa?
È interessante, a proposito di velocità, l’osservazione di pag. 49:
«Che ci piaccia o no, il cervello umano è predisposto per la velocità. Traiamo un grande piacere dal pericolo, dall’ebbrezza, dal brivido, dal fremito, dall’esaltante ondata di stimoli sensoriali regalatici da un ritmo vertiginoso. Quest’ultimo provoca il rilascio di due sostanze chimiche (l’epinefrina e la norepinefrina) che scorrono nell’organismo anche durante i rapporti sessuali.»
Qualche riga più avanti leggiamo quanto segue.
«Quando iniziamo a guidare in autostrada centodieci chilometri orari ci sembrano tanti. Poi, dopo qualche minuto, ci paiono normali. Se imboccate una rampa di accesso e rallentate a cinquanta chilometri l’ora, avrete l’impressione di viaggiare a passo di lumaca. La velocizzazione alimenta un costante bisogno di ulteriore velocità…»
E questo è proprio vero, pensiamo alla navigazione in rete, non si è mai soddisfatti della rapidità della connessione Internet. Per caricare una pagina anche pochi secondi di attesa risultano essere troppi.
Come l’autore osserva: «Più acceleriamo, più la nostra relazione con il tempo diventa tesa e disfunzionale. Qualsiasi testo di medicina vi informerà che l’ossessione per i dettagli microscopici è un classico sintomo di nevrosi.
«L’impalcabile pulsione a suddividere il tempo in pezzetti sempre più piccoli (a proposito, occorrono cinquecento milioni di nanosecondi per schioccare le dita) ci rende più consapevoli del suo passaggio, più ansiosi di sfruttarlo al massimo, più nevrotici.»
Noi uomini moderni non rispettiamo nemmeno i tempi dettati dalla natura: non mangiamo frutta di stagione, consumiamo fragole a Natale e i kiwi tutto l’anno. Abbiamo una gran fretta di ottimizzare i tempi, non sprechiamo un minuto inutilmente, ci rendiamo reperibili a qualsiasi ora del giorno (quando c’erano i telefoni pubblici questo non succedeva sicuramente).
Ma chi se le ricorda le vecchie cabine telefoniche, quei box prefabbricati in cui si doveva entrare per telefonare, utilizzando i gettoni telefonici da inserire nell’apparecchio, ormai pezzi da museo da moltissimi anni? Abbiamo avuto una gran fretta di toglierle dalle strade, cancellandole così dalla memoria collettiva.
Fare tutto più in fretta, dimezzando i tempi, è anche una lama a doppio taglio che non sempre fa raggiungere i risultati sperati. Pensiamo ad azioni quotidiane come quella di preparare il cibo.
Cucinare lentamente assicura il più delle volte un risultato migliore e questo è un esempio indicativo perché fa riflettere su quanto sia urgente ripensare al nostro stile di vita.
Il libro parla della filosofia Slow e racconta che Wagrain, una località di villeggiatura austriaca, una volta all’anno ospita la conferenza annuale della Società per la decelerazione del tempo.
Pag. 54: «L’organizzazione, che ha sede nella città austriaca di Klagenfurt e vanta membri in tutta l’Europa centrale, è un leader del movimento Slow. I suoi oltre mille soci sono soldati di fanteria nella guerra contro il culto della velocità. Nella vita quotidiana, si rilassano cioè quando è ragionevole farlo.
«Per esempio, un medico potrebbe soffermarsi a chiacchierare con i pazienti.
«Un consulente di organizzazione aziendale potrebbe rifiutarsi di rispondere alle telefonate di lavoro nel fine settimana.
«Un designer potrebbe andare alle riunioni in bicicletta anziché in auto.
«I Deceleratori usano una parola tedesca (Eingenzeit) per riassumere il loro credo. Eigen significa proprio e Zeit tempo. In altre parole, ogni evento, oggetto, processo o essere vivente ha il suo ritmo o la sua cadenza innata, il suo tempo giusto.»
La società non è un circolo di ex hippy; al contrario, i suoi membri sono insegnanti, architetti, medici, comuni cittadini a cui piace l’idea di rallentare i ritmi di tanto in tanto. La società non è unica nel suo genere: stanno infatti nascendo vari gruppi pro-Slow un po’ in tutto il mondo.
Anche uomini vissuti molto prima di noi si ribellavano alla tirannia delle lancette.
Nel libro viene ricordata a pag. 61 la protesta del commediografo romano Plauto (200 a.C.), il quale scrisse: «Gli dei maledicano colui che per primo imparò\ a distinguere le ore. Maledicano pure colui\ che in questo luogo eresse una meridiana,\ riducendo e spaccando con tanta scelleratezza i\ miei giorni\ in piccoli frammenti!...»
Una vita meno frettolosa e più ecologica fa gola a molti anche ora e, forse, è questa la direzione verso cui nel futuro occorrerà puntare con attenzione lo sguardo.
Daniela Larentis – [email protected]
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