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Bruno Lucchi e i suoi «Dialoghi silenti» – Di Daniela Larentis

La straordinaria mostra nella suggestiva Chiesa di S.Maria Annunciata a San Martino dall’Argine, Mantova, resterà aperta al pubblico fino alla fine di maggio

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«Dialoghi Silenti» è il titolo della mostra dello scultore trentino Bruno Lucchi, un artista nazionale e internazionale che ha al suo attivo numerosissime prestigiose esposizioni (ha esposto in Italia, l’anno scorso anche al Muse, il museo della scienza di Trento, in Spagna, Francia, Belgio, Germania, Stai Uniti, Canada, Cina ecc.).
La personale, inaugurata il 3 maggio 2015 nella splendida chiesa di S. Maria Annunciata a San Martino dall’Argine (Mn), ospita opere di grandi e piccole dimensioni intrise di spiritualità e rimarrà aperta al pubblico fino alla fine di maggio 2015.
Un luogo, la chiesa sconsacrata di S. Maria Annunciata, che lo stesso artista definisce così: «Questo luogo emana energia e armonia, in sintonia con il mio spirito, che mi porta a cercare il giusto equilibrio per non sovrastare ma nemmeno essere sovrastato dallo spazio, ma entrarvi in relazione attraverso le sculture».  
Entriamo cercando di non fare rumore, immergendoci nella suggestione dell’ambiente con naturalezza.
Osserviamo i «Guardiani del silenzio». Rimaniamo estasiati di fronte a quelle figure che allungano elegantemente le gambe rilassando le braccia e che sembrano volgere il loro sguardo altrove.
Quei corpi, la loro postura, la loro sconfinata grazia sembrano suggerire l’idea che occorra fermarsi, di tanto in tanto, a riflettere sulle priorità della nostra misera esistenza, inghiottiti come siamo da una quotidianità spinta al massimo, alla disperata ricerca di un equilibrio che non si riesce a mantenere lungamente.
Ci soffermiamo innanzi all’incanto delle opere dal titolo «Sogno», figure femminili che ci colpiscono per la loro infinita dolcezza.
I sogni sono un po’ come le nuvole, vagano liberamente, mutando forma in continuazione.
Ci commuoviamo davanti alle «Coppie», il pensiero va a coloro che hanno vissuto un lungo tragitto di vita insieme, respirando l’aria contenuta dentro i muri della medesima casa, custode dei loro sogni e dei loro dolori.
 

 
Come viene sottolineato nel discorso d’apertura, le figure di Lucchi sono particolarmente spirituali, «sono esseri senza tempo, proiettati nel futuro, non hanno occhi né orecchi perché vedono e odono con l’anima».
Nell’esaustivo catalogo che accompagna l’evento Paola Cortese descrive in maniera molto efficace il percorso espositivo.
«Silenziose presenze accolgono il visitatore tra le antiche mura di una chiesa sconsacrata al limite tra la campagna e l’abitato.
«Sono le opere di Bruno Lucchi, sculture di piccole, medie e grandi dimensioni, che hanno trovato la giusta relazione tra loro e quel che resta delle decorazioni preesistenti di un luogo che, in un tempo lontano, è stato sacro. Sono presenze ieratiche, armoniche, incutono rispetto.
«È un dialogo tra divino e terreno, capace di grandi comunicazioni sul piano emotivo ed estetico. Si è indotti al silenzio, alla riflessione. Si fa strada dentro di noi una sorta di preghiera laica davanti all’opera d’arte, specchio dell’anima dell’artista che riflette e irradia lo spettatore con la sua luce.
«È un dialogo tra la materia e lo spazio, tra vuoti e pieni. Tra la luce e le tenebre. Tra figure, archetipi di uomini e donne, forse angeli, lontane dalle insidie terrene, unite solo dall’Amore. Le dicotomie proseguono e ci portano al nocciolo di tutti i pensieri, l’eterna lotta tra il Bene e il Male che l’artista risolve con la vittoria del Bello. Una sapienza paziente, silenziosa, produce queste opere che resteranno, vincendo anche sul Tempo. Materia viva che intona dialoghi silenti.»
 

 
Il catalogo contiene una conversazione di Paola Cortese con l’artista, che riportiamo qui di seguito.
 
Come vive la relazione tra le opere e lo spazio espositivo?
«In questo caso siamo vincolati da uno spazio importante come la chiesa di Santa Maria Annunciata, che richiede opere di grandi dimensioni ma anche qualche scultura piccola per bilanciare i volumi.
«Questo luogo emana energia e armonia, in sintonia con il mio spirito, che mi porta a cercare il giusto equilibrio per non sovrastare ma nemmeno essere sovrastato dallo spazio, ma entrarvi in relazione attraverso le sculture.
«Filo conduttore della mostra sono i soggetti classici del mio lavoro, cui si aggiungono alcune Perle, le opere più nuove, nate quasi per gioco.
«Le fusioni in bronzo sono a cera persa, pezzi unici, poi ci sono le terrecotte e alcune porcellane, multipli in più esemplari. Gli ultimi lavori sono quelli realizzati in terracotta e acciaio.»
 
Quando ha iniziato a lavorare come scultore?
«Facevo il pittore in anni in cui era difficile entrare nel mercato dell’arte, era allora un’avventura complicata e costosa. Così ho iniziato a lavorare con la ceramica, producendo oggettistica. Ho aperto una galleria d’arte e organizzavo mostre per altri.
«Avevo il tavolo sempre sporco di argilla e con questo materiale ho realizzato i primi Paesaggi su lastra. Era la fine degli anni Ottanta e il passaggio alla tridimensionalità è stato breve.
«Dopo un viaggio in Normandia sono nati i miei Menhir: sentivo il fascino di quelle pietre primordiali, segno di antichissime civiltà. In essi era già presente l’idea dell’Androgino, cui sono approdato nel 1991 con un ritorno al figurativo.
«Oggi questo essere misterioso, asessuato, si è evoluto in una figura femminile trovando una propria identità, ricca di energia vitale nell’enfasi voluta della capigliatura e nelle fasciature.
«La tecnica che utilizzo è quella denominata colombino, la stessa dei vasi realizzati nell’antichità, che già padroneggiavo nella mia produzione in ceramica.»
 

 
Quali sono i suoi soggetti?
«Ho ripreso i sogni, gli archetipi, immagini non cercate, ma arrivate spontaneamente. E’ come se qualcuno ci prendesse per la giacca e ci guidasse lungo un percorso. Così sono arrivati i Paesaggi, visioni dell’universo, con i Menhir, gli Sferoidi, le Figure.
«Ma chi è l’androgino? Sono ancora alla ricerca di una risposta. L’unica cosa certa è che non deve assomigliare a nessuno, né uomo, né donna, poiché in realtà ne è l’essenza, è una rappresentazione dell’energia che tutti abbiamo dentro e di cui ci dimentichiamo. Non ha né occhi né orecchie perché sa già tutto.
«Il tema della Coppia è arrivato dopo anni di esperienze, anche di vita, come nel matrimonio. La Coppia è proposta come qualcosa di inseparabile, indissolubile. Sono corpi fusi insieme, anima e corpo. Come delle crisalidi, nate dall’uomo, dalla donna, dall’amore.»
 
Quale rapporto ha con il sacro?
«Tutto è nato spontaneamente, sempre ricercando un’armonia di forme e spirito, nella chiesa come in altri luoghi. Ho realizzato Crocifissi, Via Crucis, Sacerdoti. Erano già dentro al mio percorso, e credo che andando avanti con l’età si approdi gradualmente alla spiritualità.
«A una certo punto della vita si pensa al dopo in modo diverso, all’eternità o ad un altro mondo dopo la vita terrena. Si pensa che esista qualcosa d’altro.»
 
Quali sono i suoi maestri?
«Le influenze culturali arrivano da altri artisti contemporanei. Molto importante è stata la visita alla mostra di Giuliano Vangi al Forte Belvedere a Firenze nel 1995.
«Un altro grande, di cui ho visto la mostra allestita in un castello trentino, è Luigi Mainolfi, con le sue grandi sculture in terracotta. E poi naturalmente Arturo Martini, e nel passato Michelangelo, soprattutto per le Pietà.»
 

 
Dove sta andando ora Bruno Lucchi?
«L’acciaio corten mi ha aperto un mondo. Da un po’ di anni mi diverto a fare tutto quello che mi viene in mente. Tra la materia e la forma è sempre la forma a prevalere.
«Prima mi viene l’idea: nel sacro è il tema che mi porta alla forma. La materia è uno strumento. Arte, natura, tecnologia, ogni volta è una sfida mantenere la propria identità.
«L’astrazione è riservata alle grandi dimensioni e do grande importanza alla luce: senza di essa la scultura è morta, non vive. Al contrario della pittura, la scultura ha bisogno della luce. E’ la luce che dà vita all’opera, non la tridimensionalità.»
 
Quanto contano per lei le radici, l’ambiente d’origine?
«Le radici sono importanti. Se non fossi nato in Trentino e vissuto in un piccolo paese tra il lago e la montagna non ci sarebbe stata questa armonia interiore. La città non permette ritmi in sintonia con la nascita di un fiore, un frutto, il riposo invernale.
«Vivo i ritmi della natura e la mia opera ne è permeata. Lavoro tutti i giorni, dalle otto della mattina alle sette di sera. La scultura richiede tanto impegno, anche fisico. L’argilla in qualche modo ti detta i tempi, con ritmi precisi, diversi da quelli, per esempio, della pittura.
«Il mio studio è grande, luminoso, nel parco della principessa Sissi. Qui il silenzio assoluto non esiste, a volte gli uccellini fanno un rumore quasi assordante. Il silenzio è dentro di me. Tante volte ascolto la musica, la stessa, ripetutamente. E’ una forma di meditazione, è il mio modo di lavorare.»
 

 
Approfittando dell’inaugurazione poniamo a Bruno Lucchi un paio di domande relative ai suoi prossimi impegni.
 
A proposito di arte, natura e tecnologia, cosa presenterà a TecnoNart, la mostra-evento che verrà inaugurata fra un mese a Sanzeno, Trento?
«Per motivi legati al trasporto non sarà possibile presentare una grande opera già esposta al Muse di Trento, sarò comunque presente all’evento con un Dedalo, un’opera che esprime l’idea del volo che l’uomo ha sempre avuto e che sintetizza il rapporto fra la tecnica legata alla natura, arte e ambiente.»
 
Dove trascorrerà i prossimi giorni?
«Nei prossimi giorni sarò a Brescia dove è in allestimento una mostra collettiva su Paolo VI. Proseguirò poi per Saint-Paul-de-Vence, in Francia, dove consegnerò alla gallerista del materiale; il 12 maggio aprirà la fiera a Miami e lei presenterà quattro artisti, uno dei quali sono io. Le opere che verranno esposte sono partite già il mese scorso: otto bronzi e varie porcellane.
«Poi punteremo verso le Gorges Du Verdon, sempre in Francia, dove parteciperò a una collettiva il cui tema è il libro, nella quale esporrò i miei libri in terracotta, una mostra anche questa con catalogo che verrà inaugurata sabato 9 maggio alle 11 di mattina.
«Nel pomeriggio ritornerò a Brescia, dove alle 18.00 ci sarà l’inaugurazione della mostra su Paolo VI.
«Poi il giorno successivo andrò a Passau, in Germania, a smontare un’altra mostra… »
 
Daniela Larentis – [email protected]


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