Giappone, dai Samurai a Mazinga – Di Daniela Larentis
La straordinaria mostra rimarrà ancora aperta al pubblico fino alla fine di maggio 2015 presso la Casa dei Carraresi a Treviso
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Dopo le quattro grandi mostre dedicate alla Cina, l’esposizione dedicata al Tibet e la rassegna dedicata alle Magie dell’India, Casa dei Carraresi di Treviso ospita da un po’ di tempo una prestigiosa esposizione di capolavori d’arte provenienti dal Giappone (la mostra, curata da Adriano Màdaro e Francesco Morena e allestita dagli architetti Marco Sala e Giovanna Colombo, è stata inaugurata nell’ottobre del 2014 e rimarrà aperta al pubblico fino al 31 maggio 2015).
1868. Questo il numero magico da cui prende il via il racconto del fascino, della cultura, dei misteri del Giappone narrato da Casa dei Carraresi. Nel 1868 infatti il Giappone destituiva l’ultimo shogun Tokugawa, restituiva il potere al giovane imperatore Meiji (1852-1912) e apriva le porte all’Occidente rivelando la sua cultura millenaria, frutto di una particolarissima evoluzione, del tutto inusuale per l’Occidente, proprio grazie alla chiusura che quest’arcipelago seppe custodire gelosamente per secoli.
Da quel 1868, il Giappone sviluppò una cultura del tutto originale, dovuta alle contaminazioni con l’esterno che seppero fondersi con lo spirito più misterioso di questo popolo, in un connubio di rara eleganza e straordinaria raffinatezza. In questo armonico contrasto - quasi un paradosso - risiede l’aspetto più interessante della cultura giapponese, creata da un popolo che diede i natali ai più feroci guerrieri - i Samurai - e alle più delicate e raffinate figure femminili - le Geishe, - che seppe aspirare alla perfezione nel compiere ritualmente un unico gesto immutabile di secolo in secolo - la Cultura de Tè - e perfezionare la propria tecnologia elevandosi ad esempio insuperato per tutto il mondo - i Robot.
Giocata sull’affascinante contrasto fra i fasti antichi e sogni futuristi, fra Samurai e Robot, la ricchissima mostra proposta da Sigillum espone oltre 500 reperti, tra oggetti d’arte databili tra il XVII e il XX secolo, prestiti da collezioni private e museali, armi, armature, ceramiche e porcellane, rotoli dipinti, paraventi, straordinarie lacche, stampe dell’Ukiyo-e (letteralmente «Immagini del Mondo Fluttuante», opere dei grandi maestri Hokusai, Utamaro, Hiroshige), le Shunga (immagini erotiche), Netsuke, maschere, tessuti e preziosi Kimono, sculture in legno e in altri pregiati materiali.
Nel percorso trovano ampio spazio anche strumenti didattici che illustrano l’arte antica e le più recenti tendenze della cultura e dell’arte, documentazione tratta da fumetti, fotografie, stralci di film del grande Akira Kurosawa.
Insomma tutto il Giappone dell’immaginario collettivo, che spazia appunto dai Samurai alle Geishe, alla Cerimonia del Té, alla paziente cultura del Bonsai, alla Festa dei Ciliegi in fiore, all’Ikebana, all’incanto ipnotico del teatro Kabuki, del teatro Nō, sino al fascino esercitato dalla pittura giapponese sui grandi movimenti pittorici europei, l’Impressionismo e l’Espressionismo, basti citare tra tutti Van Gogh e Monet. In mostra vi sono anche le due stampe di Hiroshige che furono modello per Van Gogh, il quale le copiò a testimonianza del suo apprezzamento per l’arte giapponese.
Accanto a queste opere si trovano anche le riproduzioni degli originali custoditi al Museo Van Gogh di Amsterdam.
Utagawa Hiroshige: «Pioggia serale sul ponte Ohashi ad Atake» (Ohashi Atake no Yпdachi), dalla serie «Cento Vedute dei Luoghi Celebri di Edo» (Meisho Edo Hyakkei), 1857. A destra: Van Gogh (1887).
E a proposito di Samurai, ecco come questa figura viene ricordata nelle note informative collocate lungo le pareti delle sale.
«La figura del guerriero - bushi o più comunemente samurai - ha avuto nella storia del Giappone il ruolo di protagonista assoluto. La classe militare ha infatti effettivamente governato il paese dal XII al XIX secolo, lasciando all'Imperatore, solo il compito di guida spirituale.
«Gli shōgun [generalissimo – NdR] e le numerose altre casate sparse sull'arcipelago avevano a disposizione eserciti di guerrieri addestratissimi nell'arte del combattimento. I samurai giuravano ai loro signori eterna fedeltà, e non pochi sono gli episodi noti in cui i guerrieri sacrificavano la propria vita per proteggere o vendicare il proprio superiore.
«Essere un samurai significava coltivare fin da bambini, e poi quotidianamente, le doti del perfetto guerriero: imparare a tirare di spada e di arco, eccellere nel corpo a corpo, saper cavalcare e, soprattutto, nutrire lo spirito per plasmare una volontà di ferro e ideali sublimi.
«Tra l'equipaggiamento dei samurai la spada era l'oggetto più importante, nel quale si incarnava la sacralità di questa figura ormai mitologica. La spada giapponese è l'arma perfetta, letale eppure bellissima, forgiata nell'acciaio più puro da Maestri venerati quali demiurghi della guerra.
«In mostra esposte una ventina di armature complete, corredate da elmi; due spade accompagnate da else di altre spade appartenute a famosi guerrieri e suddivise in clan, e alcune maschere da combattimento.»
Utagawa Hiroshige: «Il Giardino dei susini a Kameido» (Kameido Umeyashiki), dalla serie «Cento Vedute dei Luoghi Celebri di Edo» (Meisho Edo Hyakkei), 1857. A destra: Vincent van Gogh (1887).
A conclusione di questo racconto di viaggio, i curatori non potevano tralasciare il Giappone di oggi e la sua arte espressa nei famosissimi Manga.
Disseminati lungo tutto il percorso espositivo, i Robot giunti in Italia negli anni Settanta grazie ai primi fumetti e video animati, come Mazinga Z, Goldrake, Jeeg Robot d’Acciaio, sembrano vegliare sui visitatori, quasi come Samurai di un futuro che per molti oggi è nostalgico ed appassionato ricordo di gioventù.
Ci allontaniamo da Casa dei Carraresi e dalla splendida città di Treviso pienamente soddisfatti, lasciandoci cullare dalla magia di una scena di grande suggestione descritta in maniera straordinaria da uno dei due curatori della mostra, Adriano Màdaro (tratta dal testo Incontro con il Giappone).
«Diluvia, come solo può accadere in Giappone. Il cielo si è rannuvolato all’improvviso oscurando il sole: in un baleno il grande azzurro di aprile si è spento e le nuvole soffiate dall’oceano hanno cominciato a rovesciare acqua torrentizia, quasi gelida.
«I ciliegi sono fradici e stringe il cuore vedere tutto quel rosa quasi soffiato e aereo soccombere sotto la furia della pioggia che strappa i petali con veemenza. Sono seduto sulla grande terrazza lignea del tempio Ryoanji: mezzo millennio è trascorso nella contemplazione surreale di questa ghiaietta bianca e grigia pettinata ogni mattina dai monaci come onde di mare.
«Quindici isolotti spuntano con i loro scogli nerastri e il verde intorno è tenero come muschio, il lungo muro quasi primitivo fa da scenario.
«Cerco di capire l’anima zen di questo luogo mistico e solenne, l’essenzialità allusiva si stempera sotto la pioggia che infittisce. È una immagine di francescana dolcezza ma anche di spigolosa aridità, come il segno di una matita su un foglio bianco.
«Viene subito alla mente Il ponte di Ohashi sotto la pioggia, l’indimenticabile dipinto di Hiroshige. Il ciliegio oltre il muro mostra la chioma esausta e sfigurata e il mare silenzioso di ghiaia rapisce l’anima, anzi la inghiotte in un nulla che genera una strana felicità mista a tristezza.
«La scena è breve e perfetta, non si può immaginare diversa. E’ uno spazio che sta tutto nello sguardo e non consente altri pensieri se non questa struggente religiosità pagana del silenzio e del niente…».
Daniela Larentis - [email protected]
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