Gli «Spazi Bianchi» di Franco Manzoni – Di Daniela Larentis
La personale dell’artista trentino rimarrà aperta nella suggestiva ambientazione di Villa Salvadori-Zanatta a Meano fino a sabato 30 maggio 2015
Franco Manzoni - © Foto di Paolo Pisetta.
«Spazi Bianchi» è il titolo della mostra personale dell’artista trentino Franco Manzoni, a cura di Federico Mazzonelli, inaugurata sabato 18 aprile 2015 nella suggestiva ambientazione di Villa Salvadori-Zanatta a Meano, Trento (coordinatrici dell’evento per la Fondazione, Carolina Bortolotti e Silvia Taxis).
L’esposizione rimarrà aperta al pubblico fino a sabato 30 maggio 2015 (visitabile su appuntamento telefonando al cell. 340 3522352).
L’artista trentino propone un itinerario visivo scandito da una ventina di opere di grande e medio formato della sua recente produzione, alcune delle quali realizzate appositamente per gli spazi espositivi della villa.
Nel lavoro di Manzoni l’accento viene posto sulla possibilità della pittura di manifestarsi come pratica di sconfinamento, di continuo ri-orientamento del corpo e dello sguardo rispetto ad un spazio dato, quello della tela, e della sua disponibilità a manifestarsi quale spazio aperto all’emersione e alla permutazione.
Uno spazio che proprio attraverso il lavoro compiuto sugli elementi primari del dipingere (superficie, colore, gesto) si mostra nel suo divenire e nel suo, letteralmente, costruirsi insieme al «corpo» dell’immagine.
Il titolo della mostra vuole sottolineare proprio questo aspetto di continua ripartenza e re-invenzione del dato visivo che sia attua non per cicli pittorici prestabiliti ma per gradi di ricerca scanditi di opera in opera.
Nato a Trento nel 1964, di formazione scientifica e matematica (parallelamente alla pittura presta da oltre vent’anni la sua consulenza nel campo dell’informatica e della matematica applicata) ha al suo attivo numerose esposizioni.
Dal 1999 ha tenuto mostre in Italia in spazi pubblici e gallerie private (Venezia, Sant’Apollonia, Firenze, Galleria Gadarte, Milano, Galleria Lazzaro by Corsi, Venezia, Galleria San Vidal e Galleria Terzo Millennio, Roma, Galleria della Pigna, Trento, Palazzo della Regione e Upload Art Project) e il suo lavoro è stato recensito su quotidiani e riviste (La Repubblica / L’Avvenire / Il Giorno / La Stampa / Il Corriere di Milano / Il Corriere di Firenze / Il Corriere del Trentino / La Nuova Venezia / L’Adige / Il Trentino / Artecultura).
Ha prestato la sua consulenza artistica non solo per la realizzazione di opere in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero, ma anche per l’allestimento di set cinematografici.
Dal 2013 il suo curriculum artistico (con le pubblicazioni delle opere e l’intera rassegna stampa) è custodito presso l’Archivio del 900 del MART (Museo d’Arte Moderna di Trento e Rovereto).
In occasione dell’evento gli abbiamo posto alcune domande.
Come si è avvicinato al mondo dell’arte e come è nata la passione per la pittura?
«La pittura mi ha affascinato sin da bambino. Mia madre fu pittrice alla scuola di Cesarina Seppi negli anni 60\70; fu anche amica di molti artisti che ho avuto la fortuna di conoscere e con i quali spesso ho potuto confrontarmi, soprattutto all’inizio del mio percorso. La nostra era una casa aperta all’arte e alla cultura in generale (anche per via delle ricerche del nonno Luigi Manzoni, scienziato di fama internazionale, e del papà che ne aveva seguito le orme).
«Quella cultura che non è erudizione (con la quale purtroppo oramai sempre viene confusa), ma è sapere, è amore per l’origine e il significato delle cose. Così, sin da ragazzo, mi è stato trasmesso non solo l’amore per la pittura, ma anche per la letteratura e per la musica. Da bambino ho avuto il privilegio di studiare per alcuni anni il violino con Marghit Spirk e di appassionarmi alla musica imparando poi a suonare, da autodidatta, molti altri strumenti musicali.
«A proposito di pittura, devo dire che nonostante la grandissima passione per il colore, per motivazioni che non saprei spiegare, probabilmente per ragioni anche di praticità, da ragazzo ho coltivato soprattutto il disegno, concentrandomi in particolare sul ritratto psicologico.
«Dopo i vent’anni, tuttavia, la passione per il colore è improvvisamente esplosa, ho così potuto soddisfare la necessità di esprimere quello che avevo dentro e quello che spesso le parole, così facilmente fraintendibili, non potevano dire. Parlo di colore ma forse dovrei dire materia pittorica; infatti il colore, inteso come tinta, a volte può sembrare importante nei miei lavori, ma non ne è in realtà per nulla il protagonista.»
Quali sono i soggetti da cui trae maggior ispirazione?
«I primi soggetti furono sicuramente i ricordi figurativi di luoghi, persone, e soprattutto le emozioni ad essi legate. Quindi mai una figurazione dal vero ma da subito una rielaborazione interiore della figurazione.
«Poi la ricerca è divenuta più profonda e intima, il soggetto che era solo un pretesto per esplorare le possibilità della materia pittorica ha lasciato il posto alla ricerca pura: del colore e della forma, in una prima fase, poi del mistero sconfinato dell’uomo e con esso di questo linguaggio.
«Niente più soggetti, erano solo un inganno, niente più titoli fuorvianti (oggi i titoli sono utilizzati come etichetta, a volte ironica, per identificare un lavoro, cosi come un numero, ma più facilmente memorizzabile – i miei titoli non vogliono e non possono mai spiegare o indirizzare sull’ interpretazione di un lavoro).»
Come definirebbe l’arte contemporanea?
«La definirei fantastica. Abbiamo la fortuna di vivere un’epoca in cui finalmente abbiamo capito che tutto può essere valido. Mai come oggi siamo culturalmente liberi di amare ciò che comprendiamo essere una strada vera (anche fuori da ogni clamore) e questa è un’enorme fortuna.
«Non dobbiamo avere più pregiudizi di fronte a un’opera e non dovremmo nemmeno avere la necessità di spiegarla o inscatolarla in uno schema, in una corrente, o peggio, in una ideologia; dobbiamo solo viverla. Se è vero che tutto può essere valido e che avere sdoganato questa coscienza è la nostra contemporanea fortuna, è anche vero che questo concetto ha creato non poca confusione (e disamore verso l’arte) dato che in realtà poche cose sono “valide veramente”.»
Quali sono le tecniche da lei usate e qual è stata la sua formazione?
«La mia formazione è scientifico-matematica (e per vivere mi occupo di software finanziario lavorando per una società svizzera); ma come dicevo, la musica e la letteratura ad esempio non occupano un ruolo secondario nella mia formazione.
«Non ho fatto l’Accademia di Belle Arti e probabilmente è stata una fortuna, non tanto perché vivere di arte spesso porta a sterili reiterazioni di traguardi acquisiti (che hanno fatto la fortuna di molti mercanti d’arte), ma piuttosto perché sono stato in questo modo più libero nella ricerca del linguaggio appropriato alla mia espressione (linguaggio considerato dai tecnici del settore particolarmente libero ed innovativo) e nella sperimentazione delle tecniche che ho elaborato e continuo ad elaborare.
«Ciononostante, non sono affatto un sostenitore dell’importanza del linguaggio nell’arte (purtroppo spesso lo si confonde con la stessa arte). Il linguaggio conta poco o nulla, quello che conta è il contenuto di un’opera. Accade però che una ricerca vera porti spesso a sviluppare un nuovo e valido linguaggio autonomo e questo è il motivo per cui si è verificata nel nostro tempo questa confusione (cioè pensare che un’opera valga perché usa un linguaggio di rottura); ma anche qui il processo inverso non funziona (anche se molti ci hanno provato): non è inventandosi un linguaggio nuovo che si fa Arte.
«Nel mio percorso ho avuto la fortuna di avere molti grandi maestri (che definirei soprattutto amici), i quali hanno saputo scorgere la validità e l’autenticità del mio lavoro, hanno saputo dialogare con me; insegnandomi i trucchi del mestiere (che trucchi non sono) ma soprattutto criticandomi (nulla di più raro e di più utile), spronandomi e indirizzandomi (ma non troppo – cosa importante).»
Che messaggio vuole trasmettere attraverso i suoi lavori?
«Mi verrebbe da dire: Per Giove, quello di non trasmetterlo!. Sbaglia chi ha la presunzione di sostituirsi al percorso obbligato di ciascuno verso il bene e verso il vero.
«Ok, lo ammetto, il messaggio c’è: è l’uccisione del pregiudizio culturale, religioso, politico, del pregiudizio nell’arte. E’ l’invito al dialogo. Il dialogo con la mia opera, il dialogo che avviene prima di tutto tra l’opera ed io che la realizzo.
«Le mie opere non vogliono impartire lezioni o distribuire certezze ma fare esattamente il contrario; vogliono distribuire dubbi e fare sorgere domande (purtroppo questo sembra a volte offendere chi ha troppe certezze). Il messaggio è: cercate in libertà e verità la bellezza, il vero e il bene esistono!.
«Ma per farlo dobbiamo essere disposti al dialogo. Credo che ciascuno debba trovare autonomamente le risposte alle proprie domande; io contribuisco cercando di farmi e di far nascere queste domande, facendo anche intravedere delle risposte valide; ma non è un merito, non posso farne a meno.»
Quali opere ha esposto in «Spazi Bianchi», la mostra da poco inaugurata nella suggestiva location di Villa Salvadori-Zanatta a Meano?
«Ci sono sedici opere e ventun quadri in totale. Molte, soprattutto quelle di grandi dimensioni, sono state realizzate appositamente per questa esposizione e per cercare, anche qui, un dialogo con i suggestivi spazi della villa e con il visitatore.»
Ci può dare qualche informazione sull’esposizione?
«Non voglio proprio darvi informazioni sulla mostra ma dirvi solo questo: se andrete a visitarla non domandatevi cosa state guardando; guardatelo! La mostra, contrariamente a quanto definito inizialmente e sull‘invito, sarà visitabile su appuntamento fino a sabato 30 maggio.»
Qual è il significato del titolo?
«Il titolo Spazi Bianchi, come è stato ben spiegato dal curatore Federico Mazzonelli nel comunicato stampa, vuole sottolineare la disponibilità a dialogare ogni volta con la tela bianca.
«Cosi come ogni incontro con una persona per essere vero non può avere degli obiettivi prestabiliti, ma si gioca nel divenire presente, così la realizzazione di un’opera deve essere libera di accogliere il nuovo che emerge pescando nel bagaglio di esperienza che ogni giorno ci arricchisce.»
Progetti futuri e sogni nel cassetto?
«Di certo fare l’artista a tempo pieno senza però dovermi preoccupare di sbarcare il lunario con l’arte (cosa che la ucciderebbe); ma forse non è già quello che sto facendo?»
Daniela Larentis - [email protected]
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