Ricordarsi di vivere – Di Daniela Larentis
C’ è sempre qualcosa che ci ricorda che prima o poi dovremo morire, più difficile è rammentare a se stessi quanto sia bello vivere
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C’è sempre qualcosa che ci ricorda che prima o poi dovremo morire, più difficile è alzarsi dal letto e rammentare a se stessi quanto sia bello vivere, nonostante i mille problemi che affollano le nostre complicate, talvolta noiose esistenze.
Ogni mattina è un risveglio. C’è chi si alza imbambolato, impiegandoci almeno una ventina di minuti prima di carburare, e c’è chi ha la capacità di tuffarsi nel mondo all’istante, pochi imparano ad acquisire la consapevolezza del vivere.
Ciò che intendiamo non è vivere lasciando scorrere il tempo passivamente, da inermi spettatori, e neanche vivere affrontando le giornate con la foga di chi non ha certo tempo per fermarsi a pensare a nulla fuorché al lavoro, si tratta piuttosto di un atteggiamento mentale, il rendersi conto che ogni minuto di quella che chiamiamo vita è un evento unico, è l’andare incontro a un nuovo giorno consapevoli del fatto che ciò che ci capiterà di fare sarà senza alcun dubbio un’esperienza diversa, qualcosa di mai accaduto prima, anche se lì per lì certe giornate sembrano proprio assomigliarsi tutte.
Tuttavia, non sono mai perfettamente uguali le une alle altre, ognuna offre occasioni diverse, le variabili sono infinite (pensiamo banalmente a quando si va alla spesa o ci si reca in qualche ufficio pubblico per ritirare questo o quel documento oppure quando si passeggia e si incontra qualcuno, gli esempi sarebbero infiniti : non si scambiano mai le stesse parole con i medesimi individui, non ci si imbatte sempre nella stessa gente, c’è sempre qualcosa che rende quel giorno unico e non uguale al precedente o al successivo).
Riflettere su questo è un po’ come risvegliarsi da un lungo sonno, librandosi nell’aria come l’aquila che dall’alto del suo volo dà l’impressione di osservare ogni cosa dalla giusta prospettiva. Una prospettiva diversa.
C’è un interessante libro di Andrée Bella, intitolato «Socrate in giardino – passeggiate filosofiche tra gli alberi», Edizioni Ponte Alle Grazie, nel quale a proposito del risveglio viene riportato quanto segue (pag. 163).
«In Egitto, ma anche in Polinesia, per celebrare il sorgere del sole si recitava quotidianamente un mito cosmogonico. Pensate l’emozione di evocare in forma poetica, di fronte al sole nascente, l’emergere primigenio della luce e della vita. Fare le cose per la prima volta implica di solito stupore, richiede attenzione, intensità, presenza.
«I vichinghi, ogni volta che conquistavano un nuovo territorio o una città, vi recitavano al loro ingresso un poema che descriveva come gli dei avessero pian piano messo in ordine prodigiosamente il caos informe che precedeva il mondo.
«Lo stesso avveniva in diverse civiltà quando si costruiva una casa. Ogni volta che si vuole cominciare a creare qualcosa, si fonda ciò che si fa, si celebrano la nascita e l’inizio. Si allontanano pericoli e tristi presagi, si fa spazio al dischiudersi delle possibilità».
Purtroppo si tende ad abituarsi un po’ a tutto, anche alla meraviglia della natura in cui siamo immersi, perfino alla suggestione di un cielo stellato.
Un’osservazione sottolineata anche dall’autrice, la quale ricordando poi anche le parole del celebre poeta e filosofo romano Lucrezio (tratte dal libro edito dalla Garzanti «Lucrezio Caro Tito - La natura», Milano 1986), a pag. 165 scrive: «Varrebbe la pena di esercitarsi alla meraviglia. Sentite le parole aspre di Lucrezio nel ricordare la necessità di una simile pratica per chi voglia diventare saggio e felice. Innanzitutto contempla il colore chiaro e puro del cielo e tutto quanto esso racchiude in sé; gli astri erranti, la luna, il sole e la sua luce di incomparabile splendore; se tutte queste cose oggi per la prima volta apparissero ai mortali, se bruscamente, all’improvviso, sorgessero dinnanzi al loro sguardo, che cosa si potrebbe menzionare di più meraviglioso di questo insieme, del quale l’immaginazione umana neppure avrebbe osato concepire l’esistenza?
«Nulla a mio parere, tanto prodigioso è uno spettacolo del genere. Guarda adesso: nessuno, tanto ormai si è stanchi e stufi di questa vista, si degna più di alzare gli occhi verso le regioni luminose del cielo (Lucrezio La natura) …»
E che dire delle persone? Non è forse vero che ci si abitua anche a quelle, dandole spesso per scontate? È come se finito l’effetto sorpresa svanisse l’incanto, un po’ come quando si scarta un regalo.
Accade, di tanto in tanto, è sotto gli occhi di tutti, che mogli e mariti, compagne e compagni, i quali prima si erano scelti con assoluta convinzione, finiscano con l’abituarsi a una svilente e reciproca sopportazione, fino a convincersi che non vi sia più nulla da condividere emozionalmente, dopo anni trascorsi insieme.
Un grossolano errore di valutazione che affonda le radici nel noioso terreno della pigrizia (spesso è per pigrizia che si rinuncia all’altro).
A volte capita di sentirsi in preda a imprevedibili reazioni gioiose, molti ne avranno fatto esperienza: ci sono giorni in cui l’energia si risveglia, ci si sente aperti verso tutti, più tolleranti, più «vivi», e allora ecco che ci si rende conto di essere al mondo e si avverte intimamente uno sconfinato amore per la vita.
Per ricordarsi di vivere occorre rinunciare a sopravvivere, occorre donare se stessi con generosità, occorre «buttarsi» nelle faccende quotidiane con slancio, cercando di dare meno importanza alle questioni di poco conto.
Forse basterebbe mantenere intatto quel senso di stupore, quella freschezza, quella gioia tipica dei bambini, liberandosi da ogni risentimento, accettando le proprie debolezze e quelle degli altri, imparando ad assaporare ogni giornata come se fosse la prima e l’ultima.
Non è affatto scontato ma si può sempre tentare.
Daniela Larentis – [email protected]
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