#collezionemart: bellezza e stupore – Di Daniela Larentis
La nuova mostra inaugurata il 27 marzo al Mart di Rovereto rimarrà aperta al pubblico fino all’8 novembre 2015
Agostino Bonalumi, Rosso e nero, 1968.
Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto ha inaugurato il 27 marzo una prestigiosa mostra (rimarrà aperta fino all’8 novembre 2015) che offre la possibilità di poter ammirare splendide opere altrimenti celate al pubblico.
Come sottolinea nel discorso di apertura la Presidente Ilaria Vescovi «il Mart ha la fortuna di avere una delle più importanti collezioni di arte moderna e contemporanea italiane» e oggi vuole condividere con i visitatori parte del suo patrimonio presentando oltre cento fra i capolavori delle proprie collezioni.
«Il Mart è un’istituzione molto solida – chiarisce, – che ha un patrimonio importantissimo, non solo in termini di opere ma in termini di valore riconosciuto su questo territorio, prima di tutto dalle nostre istituzioni.»
Attraverso questa nuova esposizione a cura di Veronica Caciolli, Daniela Ferrari, Denis Isaia, Alessandra Tiddia e l’Archivio del ’900, valorizza in questo modo le proprie raccolte, rendendo unica l’esperienza di visita attraverso una rinnovata e intima relazione con le opere.
L’assessore Tiziano Mellarini salutando il pubblico, fra cui è riconoscibile un ospite d’onore, il futuro direttore Gianfranco Maraniello (presente in veste non ufficiale), parlando dell’evento evidenzia a sua volta come le collezioni del museo siano «un tesoretto artistico che deve essere valorizzato».
La mostra #collezionemart è un viaggio lungo un secolo che si sviluppa in due percorsi autonomi e complementari il cui denominatore comune è l’originalità della ricerca artistica e della proposta culturale.
Le due sezioni cronologiche e tematiche sono intitolate #modernaclassicità e #canonecontemporaneo.
La conferenza stampa di presentazione, coin la presidente del MART Ilaria Vescovi.
«Solitamente quando si parla di collezione e di museo si denominano in maniera molto astratta» spiega successivamente Nicoletta Boschiero, «è come se si facesse riferimento a qualcosa di ideale che in fondo però non esiste», chiarendo poi: «Museo per noi vuol dire Mart, il quale ha un nome ben definito, ha delle collezioni ben definite, ha una identità molto definita, quindi parlare di collezioni è sempre un elemento autobiografico del museo», aggiungendo come, particolarmente in questa occasione, i curatori abbiano voluto parlare di se stessi, del loro lavoro, della loro professione.
La prima parte della mostra, a cura di Daniela Ferrari e Alessandra Tiddia, in continuità con l’esposizione dedicata alla Grande guerra, presenta alcuni tra i più significativi capolavori del Mart raccolti secondo quei modelli che richiamano la classicità, il mestiere, l’educazione artistica, in risposta ai movimenti artistici che, negli stessi anni, propongono una visione scomposta del mondo. Essa si snoda in un percorso che va da Medardo Rosso a Giorgio Morandi, passando per Mario Sironi, Carlo Carrà, Arturo Martini, Giorgio de Chirico, Fausto Melotti, Massimo Campigli e molti altri.
Luigi Colombo, XVII Biennale d'arte di Venezia nel 1930, Mart, Archivio del '900 - Fondo Thayaht.
La seconda parte della mostra, a cura di Veronica Caciolli e Denis Isaia, continua l’indagine sulle collezioni del Mart, proponendo una differente metodologia di ricerca pur raccogliendone, idealmente, il testimone. In un percorso che dall’astrazione di Lucio Fontana porta alla drammaticità di Bill Viola e al realismo di Teresa Margolles, vengono presentate alcune tra le opere più significative della Collezione del Mart realizzate fra il secondo dopoguerra e il primo decennio del nuovo millennio.
Da John Baldessari a Alberto Burri, attraverso i lavori di Bruce Nauman, Robert Mapplethorpe e Luigi Ontani.
Il percorso cronologico (l’allestimento è scandito per decenni) abbraccia la realtà più vicina, si tratta di una ricerca che si misura con la strada, con il quotidiano, con le tensioni collettive.
L’arte si apre letteralmente a nuovi linguaggi che la contaminano.
Fino agli anni Settanta, le raccolte del Mart si incentrano sulle principali ricerche italiane di rilevanza internazionale (tra gli altri Alighiero Boetti, Piero Manzoni, Michelangelo Pistoletto).
Massimo Campigli, Busto con vaso blu, 1928 - Medardo Rosso, Carne altrui, 1883-1884.
Negli anni Ottanta gli echi che giungono da oltreoceano influenzano la scena mondiale diventando protagonisti indiscussi delle collezioni del museo (Cindy Sherman, Peter Halley, Barbara Kruger, David Salle per esempio). Gli anni Novanta si aprono a un nuovo policentrismo e a nuove indagini estetiche che si evidenziano al Mart nell’acquisizione di opere principalmente fotografiche, da Thomas Demand a Andreas Gursky, da Bernd e Hilla Becher a Gabriele Basilico di cui viene presentata, per la prima volta in museo, una serie del 1996.
Chiudono il percorso espositivo le opere degli artisti più attuali, i cui lavori sono presenti nelle principali collezioni internazionali, come Wade Guyton, Wolfgang Tillmans e Vik Muniz di cui il Mart presenta alcune recenti acquisizioni.
Insieme ai capolavori delle Collezioni, la mostra mette in luce la ricchezza e la varietà dei materiali e dei documenti conservati dall’Archivio del ’900 del Mart che completano l’excursus storico con materiali complementari a quelli esposti: manifesti, inviti, brochure, ritagli stampa e cataloghi, fotografie ecc.
Oltre alle collezioni è possibile visitare una mostra dedicata Giovanni Testori (1923-1993), intitolata «Crocifissione ’49 – I disegni ritrovati», a cura di Davide Dall’Ombra e realizzata con la collaborazione dell’Associazione Giovanni Testori.
Due parole sullo scrittore delle periferie de “I segreti di Milano” elogiato da Pasolini, drammaturgo, intellettuale, pittore, il quale nel 1948 realizza quattro affreschi nelle vele della cupola presbiterale della chiesa di San Carlo al Corso a Milano.
L’opera non viene apprezzata dai vertici del convento: un’apposita commissione decreta il «contrasto con gli ambienti della Basilica» e ne dispone la copertura.
La delusione di Testori è forte, tanto da alimentare un’insoddisfazione crescente che lo porta a distruggere gran parte dei dipinti realizzati fino ad allora e ad abbandonare la pittura per quasi vent’anni.
Giovanni Testori, Crocifissione, 1949 - Alberto Di Fabio, Neurone Verde.
Un’esposizione, questa, che rimarrà aperta al pubblico dal 28 marzo al 24 maggio 2015, nata dalla recente e importante scoperta di 26 disegni che mostrano il processo creativo sfociato negli affreschi di San Carlo.
In mostra, inoltre, una delle rare opere scampate alla distruzione: la Crocifissione firmata e datata 1949.
Dallo studio dei disegni e della Crocifissione si scopre quanto abbia contato l’arte medioevale nella personale rielaborazione dell’opera di Picasso: modelli d’ispirazione, anche iconografica, diventano in quegli anni simbolo di sofferenza, in seguito ai bombardamenti, e strumento usato da Testori per superare la dipendenza dal pittore catalano, nella ricerca di un’espressione formale sacra moderna e priva di compromessi.
Infine vogliamo segnalare una mostra temporanea dell’artista Alberto Di Fabio, allestita nello spazio che c’è fra le due gallerie al primo piano, Project Wall (si tratta di uno spazio non convenzionale che viene utilizzato mensilmente da vari artisti italiani contemporanei), intitolata «Geograficamente»,a cura di Gianluca Marziani, e che rimarrà aperta fino al 24 maggio 2015.
Una mostra che nasce da alcuni legami profondi con diverse opere della Collezione del Museo. L’artista ha infatti ritrovato al Mart tutte le sue filiazioni storiche, dai futurismi iridescenti di Giacomo Balla alle divagazioni globali di Alighiero Boetti, dagli spazialismi di Lucio Fontana alla gravitazione terrestre di Alberto Burri, dal lirismo metafisico di Alberto Savinio al rigore onirico di Giorgio de Chirico.
Giorgio de Chirico, La matinée angoissante, 1912 - Alighiero Boetti - Avere fame di vento, 1988-1989.
Una geografia che si disegna sul muro e varia nei formati e temi proposti, una costellazione di tele per attraversare un decennio d’indagini concettuali e ispirazioni private.
Per il Mart l’artista, - come sottolinea Gianluca Marziani - «parte da un enorme paesaggio della mente, un’opera che s’ispira alla forma delle montagne innevate e al fragile contesto dolomitico, ricollegandosi idealmente ad un suo vecchio progetto che raccontava la delicata potenza delle montagne himalayane.
Le relazioni tra i quadri hanno un’armonia musicale che sembra far suonare forme e colori, una composizione alchemica in cui il colore esprime il suo lirismo evocativo, la sua sonorità cosmica, le sue vibrazioni magnetiche.
Un muro cosmico che squarcia il bianco della realtà per entrare nel clima sospeso delle evocazioni pittoriche, dei viaggi sensoriali, dentro una potenza reale (astronomia e biologia come campi di perenne battaglia) che si trasforma in assoluta bellezza».
Daniela Larentis – [email protected]
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