Border, una sfida possibile – Di Daniela Larentis
Abbracciando la filosofia del riuso ha preso vita un progetto nato dalla collaborazione tra l’artista Matteo Boato, il designer AleDima e la cooperativa CS4 di Pergine
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Non è più pensabile espandere all’infinito la nostra ingordigia verso tutto ciò che è materiale, occorre invece investire in quello che è davvero importante, cercando per esempio forme alternative di economia, interrogandosi soprattutto su quelle che saranno le sorti del pianeta.
Lo aveva già intuito precorrendo i tempi l’ecologista, critico cinematografico, docente universitario e scrittore Ernest Callenbach, il quale a metà degli anni Settanta pubblicò il romanzo intitolato Ecotopia, nei quali è sviluppata l’idea di economia e sviluppo sostenibile che, come è indicato nel libro edito da Castelvecchi, «non rifiutano la tecnologia ma ricercano un utilizzo consapevole e selettivo delle possibilità offerte dal progresso».
Gli ecotopiani, infatti, cercano un equilibrio fra loro e la natura, non rifiutano la tecnologia, purché venga preservato il benessere sociale ed ecologico.
Il problema ambientale è un argomento di cui parlano tutti, del resto le sorti del nostra pianeta dovrebbero stare a cuore a ogni abitante della Terra. Quella che noi chiamiamo natura non è una riserva inesauribile di risorse da sfruttare e per fortuna oggi come oggi si sta sempre più diffondendo la consapevolezza di quanto sia importante non solo frenare l’emissione dei gas nocivi nell’atmosfera, ricercare fonti di energia alternative e via dicendo, ma anche modificare i propri comportamenti, partendo dallo smaltimento razionale dei rifiuti, dal riciclaggio degli stessi e dal cosiddetto «riuso», il quale prevede non la distruzione del rifiuto al fine di creare nuovi prodotti (come avviene nel riciclaggio), ma un nuovo utilizzo alternativo dell’oggetto stesso, altrimenti destinato a essere trasformato in rifiuto.
Il riuso presenta vari vantaggi, come per esempio il risparmio delle materie prime, inoltre può essere sfruttato a scopi terapeutici e/o solidali.
È quello di cui si occupa la Cooperativa CS4 di Pergine, la quale in collaborazione con l’artista trentino Matteo Boato e il designer Alessandro Dimauro (AleDima) ha messo in piedi un progetto denominato «Border».
L’obiettivo è quello di creare oggetti di design interessanti anche dal punto di vista sociale, favorendo gli inserimenti lavorativi di fasce deboli, recuperando in modo intelligente e creativo materiali provenienti soprattutto da vestiario inutilizzato.
I divertenti copribottiglia, i porta tablet e altri soggetti in fase di progettazione, diventano così il simbolo di una filosofia che potremmo definire «ambientale», di una sensibilità verso il tema dell’ambiente che coinvolge sempre più persone.
Ne parliamo con l’artista Matteo Boato, il quale ci spiega come è nata l’idea di «Border», il progetto rappresentato simbolicamente dal marchio da lui disegnato (maggiori informazioni si trovano su fb: Border o nel sito della cooperativa: www.cs4.it).
«La storia nasce con la Cooperativa CS4 di Pergine (la cooperativa ha ben tre sedi, oltre a quella di Pergine c’è quella di Trento e quella di Cembra), la quale è di tipo A, questo significa che ha in carico delle persone con disabilità anche gravi, persone non produttive nel mondo del lavoro.»
Ci racconta che è stata la direttrice Nicoletta Molinari, attraverso la sua collaboratrice Emanuela Barbacovi, ad avere l’idea di chiamare lui e Alessandro Dimauro, chiedendo loro di affiancare il lavoro della cooperativa, occupandosi della realizzazione del marchio, del design, del marketing, sostanzialmente ideando e promuovendo dei prodotti creati con materiali di recupero che potessero essere facilmente realizzabili dalle persone in difficoltà, persone disabili seguite costantemente dagli operatori, il tutto nel rispetto dei loro tempi ma tenendo conto delle indicazioni e dei consigli sartoriali di persone all'interno della cooperativa più preparate per tale competenza, come le attuali responsabili di laboratorio.
Un progetto nato in agosto del 2014.
Gli chiediamo da dove proviene il materiale utilizzato per la realizzazione dei vari oggetti e lui ci spiega così.
«La CS4 è coordinatrice di un progetto pilota che si chiama CREA, un centro a Pergine del riuso, coinvolto nella fase iniziale di Border, in quanto è lì che si è attinto molto e ci si è approvvigionati facilmente, raccogliendo il materiale da lavorare (jeans, vestiti, camicie ecc.), vestiti in vendita ma non vendibili, per ragione fra le più varie (per via delle taglie ecc.).
«Mano a mano che il progetto si è sviluppato le provenienze di materiali di riuso si sono arricchite con altre fonti (per esempio l'ultimo tentativo felice è stato il riutilizzo di tele da surf).»
Ricordiamo poi la persona che gestisce il Centro Riuso, Cristina Violi. Ma da dove arriva il materiale che poi viene utilizzato?
Ci viene spiegato che detto materiale viene conferito da persone che lo considerano riutilizzabile e vendibile, ma che loro non usano più.
Chi conferisce il materiale sono cittadini provenienti principalmente dalla comunità dell’Alta Valsugana e Bernstol, ma anche da altri territori trentini e sono soprattutto donne di età compresa tra i 35 e i 70 anni.
Siamo curiosi di sapere quali oggetti siano stati finora creati e Matteo Boato ci svela che le tipologie fino ad oggi realizzate sono sostanzialmente tre: custodie per mini tablet (7’’), custodie per tablet di dimensioni maggiori (10 ‘’) e il Winedress, un copribottiglia in tessuto, tutte e tre riportanti il logo del progetto, formato dall’immagine di una marmotta e dalla parola Border (confine).
Per quanto riguarda il significato filosofico del marchio, è lo stesso artista che ci spiega: «Border significa confine, un nome che ha molti significati. Border potrebbe essere inteso con il significato di bordo, quello definito dalle cuciture, potrebbe significare il confine fra persone che vivono nella società in un certo modo e persone che vivono la società in un altro. I significati sono molteplici».
«La marmotta è ritratta in posizione di allerta, come siamo abituati a vederla nell’atto di segnalare un confine. Il concetto di confine è legato alle persone, alle materie prime utilizzate, può essere inteso in senso filosofico, mi piacerebbe, per esempio, che questi oggetti fossero considerati al limite dell’utilità, per esempio il copribottiglia è un oggetto utile, ma è anche curioso, strano, veste la bottiglia e guardandolo solleva l’interrogativo del perché serva esattamente.»
Un confine, aggiungiamo noi, fra la normalità e la non normalità, il problema è chi stabilisce quale sia l’una e l’altra, una riflessione che rimanda a un altro pensiero legato alla produttività e al valore dell’uomo (l’uomo vale in misura di quanto produce o invece anche in base all’impegno che ci mette producendo?).
Border a noi suggerisce, poi, riferendoci al libro già citato di Ernest Callenbach (Ecotopia, edizioni Castelvecchio ) l’immagine di quel confine che a un certo punto il protagonista della storia, il giornalista William Weston, si trova a varcare, sul Sierra Express Tahoe-San Francisco, mentre fa il suo primo ingresso nel nuovo Paese dopo la sua indipendenza (capitolo a pag. 13 intitolato «Attraverso i confini»).
Leggiamo qualche pagina dopo, sempre nello stesso capitolo: «In fondo al vagone ci sono dei container abbastanza simili a bidoni per rifiuti, ciascuno con una grande lettera: M,V e C. Mi dicono che sono «bidoni per riciclaggio».
«Un americano penserebbe che non è vero, ma durante il viaggio constato che i passeggeri, senza eccezioni, mettono ogni rifiuto – di metallo, di vetro oppure di carta o plastica – nel contenitore giusto.
«Lo fanno senza l’imbarazzo che ne proverebbe uno di noi: così mi presentano per la prima volta le rigide pratiche di riciclaggio e di riuso, delle quali si dice gli ecotopiani vanno tanto fieri.»
Chiediamo a Boato qual è la motivazione per la quale sia lui che Alessandro Dimauro hanno deciso di aderire a questo progetto: «L’idea di recuperare dei materiali altrimenti inutilizzati ci ha coinvolti emotivamente».
Ci ha poi parlato di chi ha condiviso con loro questa bellissima esperienza: Nicoletta Molinari, come abbiamo detto all’inizio, direttrice della CS4, Emanuela Barbacovi, coordinatrice del progetto.
All’interno della cooperativa ci sono poi tre responsabili che hanno un ruolo prezioso: Katia, Sundary e Anna, tre operatrici che gestiscono i laboratori dei tre centri.
Un progetto ambizioso messo in piedi in agosto del 2014, solo sei mesi, infatti, è il tempo che separa l’idea dalla messa in vendita dei manufatti. A questo punto ci domandiamo come abbia vissuto, da artista, questa nuova iniziativa.
«Mi sono divertito molto, finora. Ci siamo trovati, io e Alessandro, a tener conto di molti vincoli, primo fra tutti il limite della fattibilità, una cosa che per un designer è del tutto normale, un problema che non mi pongo, solitamente, nel mio lavoro di artista.»
Ridurre gli sprechi si può, è una sfida possibile. Ciò rimanda a un pensiero del biologo statunitense Barry Commoner, considerato uno dei fondatori della scienza ambientale (citazione riportata anche nel libro di Callenbach, ambedue deceduti pochi anni fa, nel 2012): «In natura nessuna sostanza organica si sintetizza se non ha già in sé il modo della propria degradazione, il riciclaggio è obbligato».
«E, pensando all’ambizioso progetto di Border, verrebbe da aggiungere «il riuso è una scelta intelligente e auspicabile.»
Daniela Larentis – [email protected]
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