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Miracolo di S. Silvestro, una leggenda – Di Daniela Larentis

La raccontò Giovanna Borzaga nello straordinario libro «Leggende del Trentino»

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San Silvestro, si sa, viene ricordato la notte del 31 dicembre. Egli infatti morì proprio quel giorno nel 335, dopo più di vent’anni di pontificato (che coincise con il lungo impero di Costantino).
Vi sono alcune leggende dedicate al santo e ai suoi miracoli, come quella ambientata sui monti Sabini (provincia di Rieti), la quale narra come egli liberò un paese da un terribile drago che seminava morte e procurava distruzione, o come quella narrata dalla scrittrice trentina Giovanna Borzaga nel suo libro intitolato «Leggende del Trentino» (ultima edizione del 2008 edita da Reverdito, molti ricorderanno la vecchia edizione con la copertina rigida gialla, Luigi Reverdito Editore, un libro che ha accompagnato l’infanzia di moltissimi bambini e ragazzi, non solo trentini).
Ci piaceva l’idea di salutare il vecchio anno e di dare il benvenuto al nuovo, ricordando una di queste leggende, precisamente quella intitolata «Il miracolo di San Silvestro», riassumendola e riportando fra virgolette alcuni passaggi tratti dal libro della Borzaga.
Si tratta di un racconto ambientato a Canal San Bovo, un paese in provincia di Trento situato nella ridente valle del Vanoi.
All’ingresso della Valle di Primiero, arroccata sulla rupe, vi è un’antica chiesa dedicata proprio a S. Silvestro.
 
Giovanna Borzaga, come abbiamo già in altre occasioni sottolineato, è stata una delle più note scrittrici trentine, ha scritto moltissimi articoli riguardanti argomenti storici e di folklore, poesie, racconti, fiabe e leggende, romanzi, famosi quando lei era in vita e popolati tuttora (pensiamo solo a «Candida e spazzola», tanto per fare un esempio, nonché alla celebre raccolta di leggende ambientate in Trentino).
Una di queste ha come protagonista un uomo di Canal San Bovo, al quale un bel giorno venne recapitato un messaggio molto sintetico che lo invitava a recarsi immediatamente a Caoria, un paese che sorge alla confluenza del rio Valsorda nel torrente alpino del Vanoi.
Sebbene la moglie e i figli fossero contrari alla sua improvvisa partenza, lui decise di andare lo stesso, preoccupato per la madre e pensando che, magari, le fosse capitato qualcosa.
Pag. 111: «Proprio in una di quelle sere, un uomo di Canal San Bovo ricevette uno strano messaggio col quale lo si invitava a recarsi, subito, subito, a Caoria. Ma perché? Il messaggio non lo diceva, forse la vecchia madre dell’uomo era morta, forse le sue proprietà bruciate… chi lo sa? I più tristi sospetti cominciarono a tormentare l’uomo che, non potendo più resistere nell’incertezza, decise di partire immediatamente alla volta di Caoria».
 
Purtroppo fra quegli alti abeti, quei larici e quei faggi qualcuno lo aggredì, uccidendolo. Il suo corpo venne trovato l’indomani, aprendo la strada a un’ipotesi: solo chi lo avesse conosciuto bene avrebbe potuto ammazzarlo, sapendo in anticipo che si sarebbe subito recato nel bosco a quell’ora di notte.
I gendarmi si misero a indagare e grazie alle chiacchiere di paese giunsero fino all’abitazione di un uomo, un certo Vincenzo Loss, il quale fu incatenato e portato via, nonostante si fosse dichiarato innocente.
Pag. 112: «Fu a questo punto che le malelingue cominciarono a sussurrare che… sì e perché no? Dopotutto l’autore del delitto avrebbe potuto proprio essere Vincenzo Loss, il boscaiolo, quel galletto che alla domenica sfoggiava quel vistoso panciotto a fiori … In fondo a lui non era mai capitato niente di male e sì che nella foresta passava il suo tempo…»
 
Trovatosi nei pressi della chiesetta di San Silvestro, immaginando che avrebbe fatto con ogni probabilità una brutta fine, l’uomo si rivolse al santo protettore degli innocenti e miracolosamente le catene si spezzarono innanzi agli occhi degli increduli gendarmi, i quali a quel punto lo rilasciarono.
Pag 114: «I due gendarmi, a quella vista, rimasero impietriti dalla sorpresa, poi, di corsa, si recarono con l’imputato dal giudice e gli riferirono quanto era accaduto. Il racconto convinse il giudice dell’innocenza del boscaiolo che venne subito rimesso in libertà. A testimonianza della grazia ricevuta questi portò le sue catene di prigioniero alla chiesa di San Silvestro.»
 
A proposito delle malelingue di cui fu vittima il povero Vincenzo Loss, il quale peraltro fu poi miracolato, nasce spontanea una riflessione e cioè quanto sia dannoso, talvolta, il semplice pettegolezzo, le «chiacchiere da bar» all’apparenza innocue, ma invece terribilmente dannose.
La calunnia è condannata anche nella Bibbia (proverbi 18:7-8, La Bibbia - testo ufficiale CEI edito da Piemme): «La bocca dello stolto è la sua rovina e le sue labbra sono un laccio per la sua vita – Le parole del calunniatore sono come ghiotti bocconi che scendono in fondo alle viscere».
Le antiche massime invitano a esimersi dal mettere in cattiva luce qualcuno attraverso l’uso inopportuno della parola, esse sono saggi avvertimenti che, volendo rinunciare a fare del male agli altri, andrebbero tenuti presenti tutto l’anno, non solo a Natale.
Occuparsi degli affari propri evitando le maldicenze è un consiglio contenuto anche nel Vangelo (Matteo, 12:36,37): «Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio, poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato».
Seguendolo si potrebbero evitare molti dispiaceri, a se stessi e agli altri.
 
Daniela Larentis – [email protected]

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