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Amore e mistero – Di Daniela Larentis

Bisognosi di amore, siamo circondati dal mistero fin dagli albori dell’umanità

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Secondo il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli nella teologia cattolica «mistero è la verità che la ragione non può di per sé attingere né può, se rivelata, comprendere o dimostrare intrinsecamente, e che per il credente è materia di fede: il mistero dell’Incarnazione…».
Nel libro di Vito Mancuso, il famoso teologo italiano, docente presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, intitolato «Io e Dio – una guida dei perplessi» edito da Garzanti, si apprende una verità che è sotto gli occhi di tutti, ossia che tutti noi in un modo o nell’altro avvertiamo la percezione del mistero che tutto e tutti avvolge, una condizione esistenziale, un’inquietudine che attraversa la vita di ognuno, da cui nasce la spiritualità.
«La spiritualità» scrive Mancuso «nasce da una mancanza di equilibrio. Tale mancanza di equilibrio non va intesa unilateralmente come disarmonia, ma come l’insieme di armonia (mysterium fascinans) e disarmonia (mysterium tremendum).
A pag. 150 si legge quanto segue: «Il fenomeno fisico, l’esperienza concreta, che ha portato gli uomini da sempre a parlare di Dio e del divino è tale sentimento del mistero.
Esso è la condizione indispensabile per il discorso spirituale, che poi si configura o come religione, o come filosofia, o come entrambe le cose, o magari come qualcosa di ancora diverso.
Senza questa percezione manca la conditio sine qua non della spiritualità, la quale nel suo nascere è espressa da queste parole di Wittgenstein: «Credere in Dio vuol dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto», e nel suo vertice da Albert Schweitzer: «La massima conoscenza è sapere che siamo circondati dal mistero».
Mistero è diverso da enigma. L’enigma è un indovinello rompicapo che riguarda la sola intelligenza, il mistero è una condizione esistenziale che riguarda la totalità della vita.
L’enigma è plurale, perché siamo circondati di cose che rimangono da spiegare, il mistero è singolare, è uno solo, è la vita in cui siamo immersi.
L’enigma sta là fuori, il mistero è qui dentro e insieme ci avvolge.
Di fronte a un enigma l’intelligenza raccoglie la sfida e si lancia a risolverlo, di fronte al mistero la vita sente che deve tacere e ascoltare».
 
Attraverso la lettura delle pagine scritte da Mancuso, il sentimento del mistero sarebbe quindi una dimensione che riguarda l’intelligenza, per esempio quando si medita sull’origine della vita, dell’universo ecc., ma che rappresenterebbe una condizione della vita che ha origine dall’esperienza dell’amore autentico.
A tal proposito ecco cosa si legge a pag. 153: «L’amore introduce qualcosa di nuovo e di eccedente rispetto alla consueta logica dell’immediatezza, e da questa eccedenza nasce il senso del mistero.
Non a caso molti di coloro che non credono in Dio sostengono al contempo che l’amore non esiste.
Il che ha una sua logica, perché ciò che più fa sorgere il senso del mistero della vita è proprio l’amore, e il senso del mistero è ciò che fa sorgere la fede in Dio e nella trascendenza secondo questa successione: esperienza dell’amore → senso del mistero → fede in Dio».
 
Mancuso spiega infatti che «se non ci fosse l’amore tutto tornerebbe, nessun senso del mistero sarebbe mai sorto e avrebbero ragione a parlare di «gene egoista» e di «illusione di Dio».
Se non ci fosse l’amore, se due innamorati che passeggiano dandosi la mano fossero riducibili a onde o particelle in movimento, se un padre e una madre che tengono in braccio il figlio fossero riducibili a volontà di potenza, se un nonno o una nonna che gioiscono commossi per i nipoti fossero solo malcelata libido, nessun senso del mistero sarebbe mai nato.
Ogni elemento sarebbe necessariamente legato a ciò che lo precede, e produrrebbe ciò che segue con altrettanta necessità.
Ma l’amore c’è. E la sua esistenza inaugura una nuova dimensione dell’essere, dove la necessità naturale viene vinta da una forza più intensa, quella della generosità».
 
L’amore, infatti, non è egoismo, è generosità. Chi ama non lo fa per ottenere qualcosa in cambio, quello infatti non è amore, è scambio.
È difficile, come anche l’illustre teologo sottolinea, convincere chi non ha fatto esperienza dell’amore o chi ha avuto una forte delusione e si è convinto della sua inesistenza.
A pag. 155 a tal proposito è scritto quanto segue: «Chi ritiene che la vita sia solo un gioco di forza tra geni egoisti cercherà mille argomenti per negare questo ragionamento e li troverà, producendo ragionamenti contrari altrettanto consistenti, perché la ragione è molto abile a confezionare il prodotto giusto per servire la sua padrona, la volontà, che a sua volta dipende dal sentimento».
E poi spiega: «È altrettanto vero però che chi sente e sperimenta l’amore quale senso della vita cercherà a sua volta gli argomenti giusti per motivare tale suo sentire fondamentale.
Tra tutti gli argomenti che cercano di custodire il sentimento fondamentale della vita come amore, l’esistenza di Dio, in particolare del Dio annunciato da Gesù, è, per quanto ne sappia io, il più radicale, perché fa consistere nell’amore la stessa natura del principio primo dell’essere».
 
Parlando di mistero, Mancuso fa una constatazione: «Io penso che, debitamente esercitata, la ragione non possa non condurci di fronte al mistero: da un lato per la meraviglia della vita e dell’intelligenza sviluppatesi in un universo inospitale, dall’altro per la tristezza di fronte alla violenza che la vita per esserci è costretta a esercitare su altra vita e di fronte all’umiliazione spesso subita dall’intelligenza da parte della stupidità».
Alla pagina successiva osserva:
«…Alcuni usano la ragione per sopprimere il mistero, piuttosto che per riconoscerlo e custodirlo...».
È molto bello il pensiero che riguarda la fede di pag. 157: «Sorta come sentimento del mistero e quindi anzitutto come passività, la fede si esercita come atto responsabile della libertà, come proiezione-progetto della libertà: nella fede la libertà si progetta proiettandosi in avanti. Un tempo si recitava l’atto di fede, ora occorre vivere la fede come atto della libertà».
Spiega poi: «La nostra esistenza è come un grande edificio, e l’atto di fede in Dio corrisponde al momento del gettare le fondamenta: al cospetto della vita si ha la fiducia nel terreno solido del bene e della giustizia, si crede nel senso fondamentale del cosmo come armonia e della vita come amore (la vera posta in gioco nella questione dell’esistenza di Dio) e vi si edifica la vita in conformità».
 
La fede, come dice Mancuso, «in quanto atto di fede presuppone la libertà e deve diventare sempre più consapevole di essere un atto di libertà creativa».
Essendo un’esperienza spirituale non è un semplice obbedire cieco a qualcosa di preconfezionato. Come lui la definisce «la fede è generazione della luce da parte dell’anima per vivere nella dimensione luminosa che è l’essere come suprema libertà».
Poi scrive: «Ma questa generazione è una proiezione della psiche, obiettano. Certo che lo è, rispondo. Ma si può proiettare qualcosa fuori di noi solo se, prima, questa cosa esiste dentro di noi» e spiega: «Che cosa esiste dentro di noi? Esiste la relazione armoniosa, dalle onde-particelle che formano gli atomi fino agli organi che costituiscono l’organismo. Ne viene che si sperimenta la nascita di se stessi come figli di Dio quando si identifica la logica della relazione armoniosa dentro di noi con la logica che governa il senso complessivo dell’essere.
«Quando si produce questo ponte tra interiorità ed esteriorità si nasce alla realtà della figliolanza divina. Diventare figli di Dio significa istituire la relazione armoniosa tra il nostro desiderio di vita in quanto vita buona (pace, giustizia, bene) e il senso ultimo del mondo e della vita. Significa porre armonia tra legge morale dentro di noi e il cielo stellato sopra di noi, che non appaiono più come due dimensioni estranee o persino opposte, ma concordanti: anzi, la prima dimensione (le stelle) appare generatrice della seconda (la legge morale).»
 
E a proposito dell’amore, il pensiero espresso a pag. 162 invita a una riflessione profonda: «L’amore è sempre una relazione asimmetrica, non è logico, non si motiva a partire dal basso».
Spiega poi che «l’amore però, che nasce senza perché, vuole un perché, l’amore, che nasce in modo asimmetrico, vuole simmetria, l’amore che è illogico, vuole la logica, la logica intessuta di relazioni che offrono fedeltà e chiedono fedeltà. Quindi l’amore lavora, immette energia positiva nel sistema mondo per renderlo più armonioso, più giusto, più vero…».
E proprio in questo periodo dell’anno, nell’occasione del Natale, sarebbe bello fermarsi un attimo a riflettere sulle priorità della propria vita, chiedendosi magari a quali valori aderire, per cosa vale la pena di lottare, cercando di individuare cosa realmente ci rende più felici, se scartare un costoso regalo o se ricevere semplicemente il sorriso sincero, e si sottolinea sincero, di chi ci sta vicino.
 
Daniela Larentis – [email protected]

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