TecnoNart, due parole su LABADANzky – Di Daniela Larentis
Il misterioso collettivo genovese è formato da un gruppo di artisti di cui non si conosce l’identità, ma le cui installazioni non passano certo inosservate
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LABADANzky è il colletivo genovese divenuto famoso a Genova (e non solo) per le sue originalissime installazioni artistiche e per le sue creature robotiche, le quali potranno essere ammirate anche in Trentino in occasione di TecnoNart, la mostra-evento in cui verranno rappresentate tecnologia, natura e arte perfettamente coniugate e integrate tra loro nel rispetto dell’ambiente, che si terrà in Val di Non nel 2015 (vedasi precedenti articoli sull’evento).
È formato da un gruppo di artisti di cui non si conosce l’identità (amano operare prevalentemente di notte e non si fanno fotografare) ed è nato nel 2011, abbracciando l’arte concettuale e street art e facendosi conoscere velocemente grazie alla produzione di oggetti «estranianti» collocati sul territorio urbano.
Tali oggetti sono costruiti con vari elementi di scarto, riciclando materiali non più utilizzabili (fra cui pezzi di metallo, cemento, luci dei semafori e tutto ciò che può far parte del contesto cittadino).
Essi attirano l’attenzione e la curiosità del passante, rappresentando elementi di rottura con la quotidianità e sollecitando interrogativi sul perché della loro collocazione e su quale sia il significato che racchiudono.
Trasformare materiali da buttare evitando che diventino rifiuti, riciclare ciò che non serve più, dando vita a dei robot, per esempio, i quali sono simbolo della tecnologia e della modernità, fa nascere delle domande.
La filosofia del riuso è una scelta sempre più intelligente e sempre più necessaria, in un mondo dove il consumismo è portato all’esasperazione. Le installazioni di LABADANzky si prestano a diverse letture, innanzitutto contengono un implicito messaggio ecologista, poiché nascono dall’idea di riciclo, inoltre sembrano lanciare un monito all’umanità intera, suggerendo per esempio la visione inquietante di un mondo sempre più tecnologico, dove l’essere umano potrebbe in un futuro ipotetico non troppo lontano essere sempre più controllato (o addirittura sostituito proprio da robot).
L’idea di venir sempre più controllati rimanda al tipo società immaginata da Orwell nel suo tanto celebre quanto distopico romanzo intitolato «1984» e al pensiero non possiamo che rabbrividire.
A questo punto è impossibile non ricordare un altro famoso romanzo scritto da Ernest Callenbach negli anni Settanta, Ecotopia, il quale descrive proprio una società dove l’inquinamento è quasi assente e dove tutto o quasi viene riciclato.
Le prime opere del collettivo, circa trecento pezzi, erano inizialmente di piccole dimensioni, piccole creature, robottini in cemento armato ancorati a cartelloni stradali per mezzo di lucchetti e catenacci.
Poi vennero prodotte installazioni sempre più grandi, per lo più esseri robotici o accessori ammiccanti a tecnologie bellico/futuristiche come sono state definite (c’è da dire che una volta rimosse non lasciano traccia di sé).
Come LABADANzky stesso ha dichiarato «il modus operandi e la stessa natura relazionale del nostro operato lo rendono spesso inadatto ai convenzionali spazi dell’arte, ciononostante negli ultimi anni le partecipazioni a bandi di concorso ufficiali e collaborazioni con enti artistici e/o culturali sono molteplici».
Ne ricordiamo alcune: esposizioni presso Satura art gallery, partecipazione a Cartasia Biennale d’arte, Lucca Comix, Smak, La Maison de Mageritdoll (Spagna), collaborazioni con case produttrici estere quali Goodleg toys (Germania), Kaiju lab (Giappone) ecc.
Vedremo cosa il collettivo presenterà in occasione di TecnoNart, noi attendiamo curiosi…
Daniela Larentis – [email protected]
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