Reinhard Ploner, artista che ama giocare con la luce e il colore
La mostra dell’acquerellista altoatesino ospitata domenica 28 settembre 2014, nella spettacolare location di Castel Toblino
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Domenica 28 settembre 2014, per gentile concessione della famiglia Fedel, in una delle stanze di Castel Toblino si è tenuta la mostra di Reinhard Ploner, un artista molto apprezzato in Italia e all’estero, il quale è stato definito uno fra i più grandi acquerellisti contemporanei.
Ecco i titoli dei quadri esposti, scorci di paesaggi che attraverso la vista raggiungono il cuore, trasmettendo un senso di armonia non facilmente definibile a parole: Bosentino (2 opere), Castel Toblino, Inverno nelle Dolomiti, Casa rustica ad Aldino-Aldein, Paesaggio toscano, Monticchiello di Pienza, Corno Bianco-Weisshorn, Cavedine, Inverno in montagna, Il castello di Terlago, Il monte Amiata, Trento, Der Rosengarten-Il Catinaccio, Lucignano D’Asso, Oliveto a Petroio, Paesaggio Toscano, Soave, Scorcio a Fraveggio, Piazza a Fraveggio, Arco.
La padronanza della tecnica, la sua grande esperienza e sensibilità artistica, nonché la sua personale interpretazione della realtà gli consentono di creare delle meravigliose composizioni dalle atmosfere davvero speciali, quadri che non possiamo che definire «poetici» (i suoi quadri sono pura poesia), i quali colpiscono l’attenzione dell’osservatore per la trasparenza e per la luce che sembrano emanare, opere, le sue, finora esposte in prestigiose mostre sia nazionali che internazionali.
Tra le esposizioni importanti ne ricordiamo solo alcune: il viaggio di Albrecht Dürer in Italia ai musei di Norimberga, nella casa nativa di Dürer, il pittore considerato il massimo esponente della pittura tedesca rinascimentale, poi a Gladbeck nella galleria presso la Landessparkasse von NRW, nei pressi di Colonia, a Düsseldorf, poi ad Augusta, a Dorf Tirol (BZ), nella galleria della Cassa Rurale, a Chiusa nella galleria della Cassa di Risparmio; a Salisburgo ha esposto, inoltre, dei dipinti a olio sul tema dell’opera «Il flauto magico» di Wolfgang Amadeus Mozart, un evento di grande prestigio.
Abbiamo posto alcune domande a questo raffinato artista dal carattere schivo che ama dipingere «en plein air», nato ad Aldino nel 1945, le cui fluide, a tratti rapide, pennellate color indaco, brown madder, Siena naturale, rosso e pochi altri colori (il bianco è dato dalla carta) danno vita come per magia a paesaggi, ritratti, immagini di grande suggestione.
Come è nata la sua grande passione per la pittura?
«Ho sempre amato la pittura, fin dalla prima infanzia. Ricordo il regalo più bello che mi fecero i miei genitori all’età di sei anni, la mia prima scatola di colori ad acquerello.»
Qual è stata la sua formazione?
«Dopo le medie, mi sarebbe piaciuto frequentare una scuola d’arte, ma mio padre insistette per farmi frequentare il liceo classico, impara qualcosa di serio mi disse (il suo pensiero era in linea con la mentalità di allora, del resto).
«Poi feci la maturità artistica e svariati corsi con diversi professori di varie accademie, studiai la natura morta, la figura umana, il paesaggio, il ritratto e a Bolzano ottenni l’abilitazione per l’insegnamento alle scuole medie superiori, continuando poi i corsi di aggiornamento.»
Qual è il rapporto, secondo lei, fra la nostra società e l’arte contemporanea e come definirebbe quest’ultima?
«L’arte è lo specchio della società, oggi come ieri. Si tratta di un’arte che definirei generalmente confusa, proprio come la società in cui viviamo.
«L’arte ha una funzione critica, purtroppo oggi spesso succede che sia valorizzato più il concetto, il messaggio trasmesso da un’opera rispetto alla tecnica impiegata, alla sua esecuzione.
«È difficile definire l’arte contemporanea. All’incirca poco più di mezzo secolo fa, l’artista tedesco Joseph Beuys, per esempio, si mosse lungo percorsi del tutto inediti per allora (si pensi alle sue singolari installazioni degli anni Sessanta), e ora dopo sessant’anni ci sono molti artisti che ripropongono ancora questo tipo di arte, non tutti naturalmente.
«Ci sono idee nuove, certo, ma ci sono ancora molti epigoni (cioè coloro che ripropongono idee dei loro predecessori, non inventando nulla di nuovo, in realtà).
«Da sempre gli artisti hanno provocato, pensiamo al Caravaggio tanto per fare un esempio, l’arte ha anche questa funzione. Solo che ora generalmente molti artisti si fermano a questo, alla provocazione, invece deve esserci anche una qualità artistica da proporre, non basta provocare.
Quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il suo lavoro?
«Se parliamo di acquerellisti direi Albrecht Dürer, che vorrei definire come il primo acquerellista vero e proprio, William Turner, poi August Macke, Paul Klee e poi altri grandi pittori come Picasso, Matisse, Cézanne, solo per fare alcuni nomi, fonte d’ispirazione per tutti gli artisti.»
Quali sono i soggetti da cui trae maggior ispirazione?
«Per l’acquerello senza dubbio il paesaggio, la natura, ma anche la figura umana, il ritratto, il nudo e l’ambiente creato dall’uomo, l’architettura ecc.
«Se lavoro all’aperto mi piace utilizzare la tecnica dell’acquerello, la mia tecnica, se lavoro in studio anche altre tecniche, come per esempio la pittura a olio, acqua tinta, acqua forte, xilografia.
«Non mi verrebbe mai in mente di dipingere all’aperto utilizzando la tecnica a olio.»
Ci potrebbe a grandi linee spiegare perché quella dell’acquerello è ritenuta una delle tecniche pittoriche più difficili da imparare?
«Per prima cosa l’acquerello non permette errori, di conseguenza chi inizia un acquerello dovrebbe prima avere già in mente il risultato finale, dovrebbe già sapere dall’inizio la composizione cromatica e la composizione lineare, i contrasti e poi buttare giù l’idea in breve tempo.
«L’acquerello è la tecnica più diretta, più immediata, anche più onesta, nel senso che non si ha tempo di pensare, di correggere, come succede per la pittura a olio. L’acquerello è trasparente non solo dal punto di vista del colore.»
Perché lei ha preferito questa tecnica ad altre?
«Forse dipende molto dal mio carattere: io sono molto impulsivo, molto diretto, vorrei vedere subito il risultato, non ho tanta pazienza, talvolta. L’acquerello si presta ad avere un risultato piacevole, di qualità, in breve tempo. Bisogna lavorare alla svelta per non rovinarlo, alle volte una pennellata di troppo compromette irrimediabilmente il lavoro.
«Ultimamente ho ripreso a dipingere a olio, grazie anche al fatto che ora è possibile utilizzare colori inodori; questa tecnica mi ha dato grandi soddisfazioni, poiché mi permette di meditare, un lavoro infatti può durare anche lunghi periodi, posso lavorare anche un anno sullo stesso lavoro a olio; ho scelto di utilizzare l’olio in occasione di una prestigiosa mostra a Salisburgo, lavorando sul tema dell’opera Il flauto magico di Mozart.»
Quale consiglio si sentirebbe di dare a chi volesse avvicinarsi per la prima volta a questa tecnica notoriamente impegnativa?
«Imparare innanzitutto a disegnare, perché disegnando si impara a vedere, una cosa, questa, molto importante.
«Poi consiglio di avere pazienza, poiché l’acquerello essendo una tecnica molto difficile non dà subito quella soddisfazione che si potrebbe ricevere attraverso l’utilizzo di altre tecniche, come l’olio per esempio, dove è possibile correggere l’errore.
Lei è stato nel passato non solo insegnante di educazione artistica presso le scuole medie, ma ha tenuto per lungo tempo svariati corsi di acquerello, molti hanno l’onore di essere stati suoi allievi e lei gode della fama di insegnare con molta generosità. Svolge ancora questa attività?
«Sì, mi piace trasmettere ad altri questa passione, insegnare questa tecnica, e devo ammettere che l’insegnamento dell’acquerello mi ha regalato grandi soddisfazioni, soprattutto quando ho visto dei bei risultati. Insegno ancora soprattutto in Alto Adige, a Merano.»
Quale fra le numerosissime mostre a cui ha partecipato le è rimasta più nel cuore?
«Ho fatto parecchie mostre sia in Italia che soprattutto all’estero, in Germania, Austria, una delle più prestigiose è stata nel 2006 quella a Norimberga, un grande successo, in occasione del cinquecentenario del viaggio in Italia di Albrecht Dürer. Ho ripercorso attraverso i miei acquerelli le sue tappe, partendo da Norimberga fino ad arrivare a Venezia.
«Sono stato invitato dai Musei di Norimberga ed è stato un grande onore per me esporre in quell’occasione; ricordo che mi telefonò un paio di mesi dopo un ministro da Berlino per complimentarsi personalmente con me.»
Lei nel corso degli anni ha dipinto preferendo alcuni colori piuttosto che altri: c’è qualche colore a cui non rinuncerebbe mai, che sente suo, e al contrario qualcuno che proprio non le piace?
«Ci sono dei colori che sento miei, che caratterizzano le mie opere, sono i colori delle terre, Siena naturale, Siena bruciata, ocra, rosso, brown madder, blu di Prussia, blu cobalto, indaco, rosso scuro, giallo limone ecc.
«Non ci sono colori che non mi piacciono, ci sono colori che non uso, come per esempio il nero che toglie la luminosità all’acquerello (lo uso nell’olio, invece) il verde, o meglio, uso solo il verde Veronese (i verdi li compongo io).»
Alcuni artisti hanno difficoltà a staccarsi dalle proprie opere, che rapporto ha lei con i suoi quadri? Ce n’è qualcuno che non ha voluto assolutamente vendere?
«I ritratti legati agli affetti più cari, come per esempio il ritratto di mia figlia, di mia madre, e poi alcuni paesaggi toscani e dell’Italia centrale, della Franconia, dalle parti di Norimberga.»
Preferisce dipingere paesaggi o ritratti?
«Non ho preferenze. I ritratti mi piace eseguirli ad acquerello.»
Lei sembra possedere tutti gli elementi caratteriali tipici dei grandi artisti: intuizione, genialità, fantasia, creatività, ebbene, se lei ipoteticamente non fosse stato un artista cosa le sarebbe piaciuto diventare?
«Suono la chitarra classica, mi piace molto la musica specie quella classica, quindi potrei rispondere certamente il musicista.»
A proposito: si nasce artisti o si diventa?
«Avendo la predisposizione, si diventa lavorando, impegnandosi. Rispondo pensando al pensiero di Goethe: Tutti vogliono essere, nessuno vuol diventare.
«Al giorno d’oggi si ha l’impressione che tutti vogliano essere artisti, ma si deve diventare artisti, non si nasce tali, la dote innata deve essere coltivata.»
Una curiosità: cosa le piace meno dal punto di vista caratteriale nelle persone, cosa proprio non sopporta?
«Nelle persone non sopporto l’arroganza, l’ignoranza, soprattutto la combinazione di questi due elementi.»
C’è qualcosa che detesta in assoluto, qualcosa che vorrebbe assolutamente cambiare?
«Se avessi la capacità di cambiare qualcosa, se ne fossi capace, creerei una società più umana, più sociale, più giusta.»
Da artista, come immagina il futuro dell’arte?
«Mi piacerebbe immaginare un nuovo Rinascimento di un’arte che possa essere anche piacevole, non più solo provocatoria.»
L’acquerello, questa tecnica in fondo molto contemporanea, in quanto rispecchia proprio con la sua immediatezza l’urgenza dell’uomo di adesso, di una società veloce in cui occorre sempre più possedere competenze professionali, forse potrà avere in quell’ipotetico futuro Rinascimento lo spazio che merita.
Daniela Larentis – [email protected]
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