La realtà si cambia iniziando da se stessi – Di Daniela Larentis
Vademecum per vivere meglio, anche quando le cose vanno male, quando c’è crisi
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Con ogni probabilità la parola che tutti noi inconsapevolmente abbiamo sentito maggiormente durante il corso della nostra vita è «crisi»: cinque semplici lettere che unite rimandano al nostro modo di vivere, alla nostra quotidianità.
Sono in crisi le famiglie, è in crisi l’economia, è in crisi la religione: la crisi è ovunque, basta accendere la televisione e seguire un telegiornale per capirlo.
Per vivere, oggi come ieri, occorre la speranza, quella fiduciosa attesa di un futuro migliore che pervade l’intero libro di Alberto Fostini intitolato «QUO VADIS HOMO? L’avventuroso viaggio della vita» (Edizioni Reverdito), un saggio in cui l’autore, come è scritto nel libro stesso, «approfondisce le fonti e le basi della propria filosofia di vita, a volte anche in modo estremamente sentito e sofferto, per esortarci a capire, finalmente, i veri valori della nostra esistenza».
Come afferma Claudio Bonvecchio, professore ordinario di Filosofia delle Scienze Sociali presso l’Università dell’Insubria, Varese, nella prefazione del libro, «Non è facile vivere oggi, assaliti come siamo da ogni sorta di problemi: da quelli eminentemente materiali, come la sopravvivenza, sino a quelli spiccatamente spirituali, come il significato dell’esistenza».
Fostini esorta a vivere secondo natura, anche se, sottolinea in una delle prime pagine, oggi come oggi non è affatto facile (pag. 19): «In effetti, vivere naturalmente oggi non è più così semplice perché il mondo moderno non lo prevede più».
Nel IX capitolo l’autore affronta un antico dilemma: è meglio vivere in città o in campagna? Egli definisce la città come «una giungla di ferro e cemento, al tempo stesso affascinante ma, nel contempo, inesorabile e spietata».
Come spiega più avanti si vive in città avvolti da radiazioni, tutti si connettono in rete, ma nonostante la tecnologia e le opportunità che essa offre, le persone si sentono sole, spesso senza ideali, sostanzialmente infelici.
A pag. 72 è scritto «Molte persone rimangono tutto il giorno in locali chiusi con aria condizionata che danneggia l’uso dei polmoni, defraudandoli della capacità innata del respiro ritmico e profondo, facendo sballare il sistema immunitario con ciò che ne consegue».
«Mentre il neonato respira istintivamente in profondità dilatando il ventre e i reni, l’anziano ha perso questa capacità e respira ormai superficialmente dilatando appena il torace…»
Occorre fare più movimento per vivere bene, stare all’aria aperta e camminare il più possibile, specie sul terreno morbido e irregolare che, come dice l’autore, «è il miglior ammortizzatore naturale per mantenere funzionanti le nostre articolazioni, i tendini e la colonna vertebrale e a conservare sano il senso dell’equilibrio…».
Uno dei messaggi che il libro trasmette è quello di credere in se stessi e nella propria capacità di cambiamento. Ognuno di noi compie degli errori, ma ognuno di noi possiede anche la capacità di andare oltre.
La realtà si cambia iniziando da se stessi, solo così si potrà costruire un mondo davvero migliore, altrimenti sarà come combattere contro i mulini a vento.
A pag. 26 a questo proposito Fostini scrive «La realtà non è mai stata un limite e, quindi, lottando contro di essa non cambieremo mai le cose di questo mondo. Siamo solo noi il nostro limite. Per questo ripetiamo gli stessi errori ma, accettando di cambiare noi stessi da dentro, riusciremo a costruire un modello nuovo di vita che renderà quello attuale superato e obsoleto».
Scrive poi: «Le verità che contano, i grandi ideali o i principi fondamentali restano sempre ben pochi. Sono quelli che ti hanno fatto comprendere l’amore disinteressato di tua madre quando eri un bambino, senza dirti una parola…».
E a proposito di madri, è tanto apparentemente banale quanto indiscutibilmente vero affermare che l’amore di una madre è un sentimento profondissimo, disinteressato e umile.
La madre sempre perdona, accoglie, aiuta, consola e attende (fu lo scrittore francese Honoré de Balzac ad affermare che «il cuore di una madre è un abisso in fondo al quale si trova sempre un perdono»).
C’è una poesia di Giuseppe Ungaretti intitolata «La Madre», una lirica scritta nel 1930 tratta dalla raccolta «Sentimento del tempo» in cui l’autore si rivolge idealmente alla madre e descrive il grande amore di lei che lo attende sulle soglie dell’eternità pregando per lui e per la sua redenzione.
La madre
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
(Giuseppe Ungaretti, Vita d’un uomo - Tutte le poesie – Ed. Mondadori)
Sembra di vederla quella madre, preoccuparsi per il figlio anche nell’Aldilà, inginocchiarsi davanti al Signore nell’atto di pregare per la sua salvezza, e la scena non può che commuovere.
Daniela Larentis
[email protected]
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