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Nel labirinto, cercando la via d’uscita – Di Daniela Larentis

Per non lasciarsi portar via dal vento occorre aggrapparsi alla speranza

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La parola «labirinto» nell'immaginario collettivo rimanda alla mitologia greca e al leggendario labirinto di Cnosso fatto costruire dal re Minosse per imprigionarvi il Minotauro.
In Francia ve ne è uno che si trova raffigurato sulla pavimentazione della cattedrale medievale di Chartres, risalente all'incirca al 1200.
Detto labirinto dalla forma circolare, il cui diametro misura 12,87 metri, è assimilabile a un viaggio verso la Gerusalemme dei cieli (della quale la stessa cattedrale è un simbolo), il suo percorso infatti pare simboleggi il viaggio attraverso la propria esistenza che culmina non con la morte, ma secondo la visione cristiana nella vita eterna (Paradiso).
Quante cose può insegnare un labirinto: innanzitutto a concentrarsi per poter raggiungere il suo centro. Ma non basta, poi occorre saper tornare indietro.

All'inizio tutto sembra facile, tanto che arrivare in prossimità della meta e sfiorarla sembra quasi banale, ma poco dopo l'iniziale esultanza ciò che sembrava conquistato è presto perso e occorre ripartire senza lasciarsi scoraggiare.
Si prova e si riprova, ogni volta manca un soffio e si ha la sensazione di essere quasi arrivati, ma non ci sono scorciatoie e occorre pazientare senza lasciarsi abbattere dai tentativi falliti.
È un po' come vivere il viaggio della propria esistenza, pieni di speranza e ricchi di buoni propositi, a ogni ostacolo si riprende il cammino, augurandosi di aver imboccato finalmente la strada giusta.

Quante buone intenzioni si coltivano per poi abbandonarle miseramente, quanti obiettivi si fissano desiderando di poterli raggiungere (per poi spesso lasciarsi distrarre da altro) e quante solenni promesse si fanno alla leggera, senza rendersi conto che potranno anche non essere rispettate; le persone che onorano gli impegni presi a costo di rinunciare a qualche buona occasione sono davvero poche al mondo, questo almeno è ciò che generalmente pensano tutti osservando alla finestra gli altri dalla loro privilegiata postazione.
Già, perché si osservano sempre gli errori degli altri, un po' come facevano gli spettatori delle affollate gradinate del Colosseo, i quali si godevano il cruente spettacolo dei gladiatori comodamente seduti.
Ma un conto è essere seduti, appunto, e un conto è trovarsi nel bel mezzo dell'arena.

Quello che è certo, è che è facile promettere, molto più difficile è mantenere. L'importante è non perdersi mai d'animo e confidare nella propria buona stella, soprattutto qualora ci si dovesse accorgere di non essere stati in grado di fare quello che ci si era prefissati.
Bisogna sempre sperare nella buona sorte, anche nelle situazioni più difficili, quando tutto diventa molto complicato e ci si rende conto di aver compiuto qualche errore.
È molto facile lasciarsi sviare in certe situazioni, lasciarsi tentare dalle occasioni, dimenticando che le promesse andrebbero sempre mantenute (perché si può perdere tutto, certo, ma è assai doloroso perdere l'onore), anche se il farlo può costare davvero tanta fatica, ma non è mai troppo tardi per ritentare di raddrizzare il tiro.

E a proposito di onore e buona sorte, c'è un racconto autobiografico di Joseph Roth («La leggenda del santo bevitore» Newton Compton Editori), lo scrittore nato in una città della Galizia asburgica (oggi Ucraina) sul finire dell'Ottocento, che parla di Andreas, un clochard che vive sotto i ponti di Parigi (nella vita reale la morte dell'autore non avvenne nella maniera poetica che riservò al suo personaggio, «una morte così lieve e bella» augurabile a tutti i bevitori, infatti pare che lui in preda a una grande sofferenza morì invece in un ospedale di Parigi, in seguito a una crisi di etilismo il 27 maggio 1939).
Egli, dopo aver accettato la somma di duecento franchi da un misterioso passante devoto a santa Thérèse de Lisieux, promette di restituirla la domenica successiva mediante un'offerta in chiesa, a S.te Marie des Batignolles.
Solo che il protagonista del racconto ogni volta che si trova nella condizione di poter saldare il debito (più volte gli viene offerta questa possibilità), decide invece di spendere i soldi in maniera più goliardica, cedendo ai piaceri e ai vizi e rinunciando a onorare la promessa fatta.
La tormentata restituzione di quella modesta somma diventa per lui il pensiero dominante, fino alla fine.

A proposito del destino che offre ripetutamente ad Andreas la possibilità di saldare il debito, c'è una considerazione interessante a pag. 86 relativa alla natura degli uomini:
«... Perché non c'è nulla a cui gli uomini si abituino più facilmente dei miracoli, quando accadono una, due, tre volte. Sì, la natura degli uomini è tale che arrivano addirittura ad arrabbiarsi se non ottengono in continuazione ciò che un destino casuale e passeggero sembra aver loro promesso. Gli uomini sono fatti così...».
Ma i miracoli (o come vogliamo definire quegli eventi meravigliosi che accadono straordinariamente, di tanto in tanto, senza che se ne possa comprendere la ragione) alle volte capitano davvero.

A proposito di questo, pensiamo a un luogo, Lourdes, in Francia, dove la giovane contadina Bernadette verso la metà dell'Ottocento riferì di aver assistito in una grotta a una lunga serie di apparizioni della Madonna (riconosciute autentiche dalla Chiesa cattolica) e alle miracolose guarigioni di ammalati affetti da patologie gravissime recatisi al santuario in pellegrinaggio (sarebbero meno di settanta quelle riconosciute miracolose dalla Chiesa, ma molte di più quelle dichiarate, pare più di settemila).
Una di queste riguardò un uomo trentino nato nel 1940 a Scurelle, affetto da un tumore al bacino che, senza nessun trattamento, improvvisamente guarì, dopo essersi recato alla grotta, durante la visita a Lourdes nel 1963 (la relazione medica fu inviata all'arcidiocesi di Trento e la commissione canonica diede il parere positivo, tanto che nel 1976 l'arcivescovo Alessandro Maria Gottardi dichiarò miracolosa la sua guarigione).

La sofferenza, tuttavia, può essere causata non solo dalle malattie, dal malfunzionamento del corpo, ma celarsi nell'anima di individui sanissimi in maniera del tutto insospettabile, scavando buie gallerie attraversate solo da pensieri angosciosi che ammorbano la vita, togliendole sapore.
E allora tutto sembra perdere colore, appare vuoto, privo di significato, e perfino alzarsi al mattino diventa un peso difficile da sopportare.
Uscire dal labirinto della sofferenza, di qualunque sofferenza si tratti, si può, coltivando la speranza, quell'attesa fiduciosa in un destino benevolo e in un futuro perciò positivo (chi è credente ha il conforto della fede).
Occorre credere davvero a un futuro migliore. Occorre pensare a questo vagando alla ricerca della via d'uscita, perché anche dietro le nubi più nere risplende sempre il sole. 
 
Daniela Larentis
[email protected] 

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