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Le parole che talvolta non servono – Di Daniela Larentis

Più che ascoltare mille discorsi sarebbe utile interpretare il linguaggio corporeo di chi si relaziona con noi

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C’è un tipo di comunicazione che sfugge al nostro controllo: è il linguaggio del corpo, di gran lunga più efficace, talvolta, di mille parole.
Quante volte ne abbiamo fatto esperienza!
La cosiddetta «prossemica» (termine coniato da un illustre antropologo, Edward Hall, ossia lo studio delle relazioni di vicinanza nella comunicazione) la dice lunga sulla personalità di ognuno.
Ogni individuo ha bisogno di un proprio spazio vitale, il quale quando viene violato causa ansia e disagio.
Alcuni, trovandosi su un autobus affollato potrebbero non gradire affatto il contatto troppo stretto con gli altri individui e innervosirsi per questo, anche se c’è da sottolineare che la distanza prossemica è personale e che non tutti reagiscono allo stesso modo.
 
Ci sono dei movimenti (pantomime) che identificano un’azione del corpo. Il corpo parla continuamente attraverso i gesti.
C’è un libro intitolato «I segreti del linguaggio del corpo» di Marco Pacori (edito da Sperling Paperback) che a proposito di questo e di come sfruttare la gestualità per leggere nel pensiero, per esempio, dice quanto segue (pag. 12): «I movimenti anticipano sempre di qualche attimo quello che stiamo per dire, ma a volte succede che riusciamo a esprimerci solo a gesti, mentre la parola non ci viene in mente».
«Le pantomime, come abbiamo accennato, sono elaborate dalle stesse aree del cervello che producono il linguaggio, perciò chi le osserva riesce a tradurle facilmente in parole, intuendo quello che l’altro sta per dire (o non riesce a esprimere) ancora prima che l’interlocutore apra bocca.
«Questa capacità consente quindi di anticipare la battuta di chi ci sta di fronte o di dirla simultaneamente con lui o lei, creando innanzitutto l’impressione di essere molto in sintonia con l’altro (cosa che ci rende ai suoi occhi interlocutori accattivanti).
«Se poi esprimiamo quello che pensa ma non è in grado di mettere in parole, possiamo addirittura sembrare capaci di leggere nel pensiero (il che aumenta il nostro appeal nei suoi confronti)!»
 
Quando si incontra qualcuno che pare leggerci nell’anima e nella mente, comprenderci come nessun altro al mondo, è quindi meglio stare in guardia, potrebbe trattarsi solamente di un furbacchione (o di una furbacchiona) che ha imparato a osservare bene il prossimo, interpretandone la gestualità.
Potrebbe trattarsi di una dote innata o acquisita che il tale (o la tale) potrebbe sfruttare a suo vantaggio, in ogni caso da non sopravvalutare: il mondo pullula di mistificatori, imbonitori e chi più ne ha più ne metta e se una persona pare anticipare un nostro pensiero non è detto che poi lo condivida o addirittura lo capisca.
È proprio questo il punto su cui riflettere.
 
Riuscire a interpretare i segnali del corpo indubbiamente è una capacità che aiuta nelle relazioni interpersonali, ma più di tutto aiuta l’intuito, al quale è sempre bene affidarsi, ossia quella capacità di afferrare qualcosa senza dover ragionare, in modo del tutto spontaneo, solo ascoltando se stessi.
Se per esempio «a pelle» una persona pare non entusiasmarci troppo sarebbe meglio seguire il proprio naturale istinto, assecondare l’impulso di tenerla lontana da noi, evitandola il più possibile.
Le parole spesso confondono.
 
Un capitolo molto interessante contenuto nel libro sopra citato riguarda il modo di camminare.
Ecco cosa si legge a tal proposito a pag. 76: «Innanzitutto, uomo e donna hanno un diverso modo di camminare: gli uomini tendono a mostrare una maggiore oscillazione del corpo in senso laterale e tengono i gomiti orientati verso l’esterno; le donne fanno passi più corti e portano i gomiti verso l’interno».
E poi più avanti: «In ogni caso, la nostra andatura rivela atteggiamenti, attitudini e perfino preferenze sessuali…».
 
Ma il linguaggio corporeo più affascinante resta comunque lo sguardo, attraverso il quale vengono inviati molti messaggi, compresa l’attrazione.
Nel libro è descritto come perfino il colore degli occhi riveli le nostre inclinazioni, ecco cosa si legge a pag. 81:
«…Una vasta serie di ricerche sembra dare atto che esiste una relazione tra colore dell’iride e una particolare disposizione del carattere e del comportamento. In un recente numero della rivista Developmental Psychobiology è stato riportato l’esito sorprendente di una ricerca condotta su bambini in età prescolare.
«Nella prima infanzia uno dei contrassegni più accurati della timidezza è il colore degli occhi: chi è inibito, con buona probabilità ha gli occhi azzurri ...!».
E chi lo sa, certo che risulta molto interessante leggere a pag. 204 cosa si dice a proposito di quale sia l’asso nella manica agli esami universitari: «Perfino gli studenti potrebbero risultare più brillanti e ottenere voti più alti sfruttando il linguaggio del corpo per dare una migliore immagine di sé o cogliere il significato della comunicazione non verbale del professore.
«Per esempio, si è appurato che chi guarda negli occhi l’interlocutore mentre parla dà l’impressione di essere più competente e quindi di saperne di più…».
 
Siamo nel mondo dell’apparenza e non sempre chi ostenta sicurezza ne sa di più degli altri, talvolta è proprio vero il contrario.
Nel mondo c’è spazio per tutti!
Quello che sarebbe davvero auspicabile è poter essere se stessi, nient’altro che questo, e poco importa come si cammina lungo la strada, come si tengono le spalle, come si accavalla la gamba, come si scruta l’orizzonte, c’è sempre il cielo lassù, verso il quale poter volgere lo sguardo, non dimenticando a ogni modo che la cosa più importante è riuscire a guardare dentro se stessi. 
 
Daniela Larentis
[email protected]

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