Il coraggio di mettersi in cammino – Di Daniela Larentis
C’è chi nel vagabondare fra i verdi boschi individuò la salvezza spirituale
Siamo nati per camminare: lo testimoniano le nostre gambe. Camminare significa non snaturarsi, un tempo l’uomo era sempre in cammino in cerca di cibo, ora le cose sono alquanto cambiate, ma il farlo è ancora importante, se non altro per la nostra salute.
Lo sanno tutti che camminare aiuta a raggiungere il benessere psico-fisico, fa bene al cuore e ai polmoni, contribuisce a prevenire l’osteoporosi, quindi fa bene alle ossa, tonifica i muscoli e migliora la circolazione.
Mettersi in moto aiuta anche a combattere lo stress e la malinconia, come affermava Robert Burton, saggista inglese autore de «L’Anatomia della Malinconia» (pubblicata nel 1621), osservando che «i cieli stessi girano attorno di continuo, il sole sorge e tramonta, stelle e pianeti mantengono costanti i loro moti, l’aria è in perpetuo agitata dai venti, le acque crescono e calano… per insegnarci che dovremmo essere sempre in movimento».
Camminare fa bene soprattutto allo spirito.
È del maestro del pensiero americano dell’Ottocento, il filosofo e scrittore Henry David Thoreau (autore di «Disobbedienza civile»), il saggio intitolato «Camminare», una raccolta di pensieri raccolti in un libro pubblicato nel giugno del 1862, alla fine della sua vita (morì nel luglio dello stesso anno), in cui il filosofo mette in guardia dai pericoli della civiltà industriale, considerando il vagabondare nei boschi un mezzo di elevazione spirituale.
Nell’edizione italiana edita da Mondadori (Thoreau – Camminare – Oscar Mondadori, a cura di Massimo Jevolella, traduzione di Maria Antonietta Prina), ecco come lui stesso parla dell’importanza di mantenersi in salute camminando (pag. 20).
«Penso che non riuscirei a mantenermi in buona salute, sia nel corpo che nello spirito, se non trascorressi almeno quattro ore al giorno – e generalmente sono di più – vagabondando per i boschi, per le colline e per i campi, totalmente libero da ogni preoccupazione terrena.»
Fa molto pensare la sua riflessione riportata poche righe più in là, alla medesima pagina: «Io, che non riesco a rimanere nella mia stanza neppure un giorno senza ricoprirmi di ruggine, quando mi accade di poter predisporre la mia passeggiata soltanto alle undici, o alle quattro del pomeriggio, troppo tardi per riscattare quel giorno, nell’ora in cui le ombre notturne iniziano a fondersi con la luce del giorno, sento di aver commesso un peccato che devo espiare, e confesso che mi stupisce sempre la grande capacità di resistenza, l’insensibilità morale, per meglio dire, dei miei vicini, tutto il giorno reclusi, per settimane, per mesi e per anni, in botteghe e in uffici, come se ne facessero parte…».
Thoreau è dell’idea che la voglia di vagabondare camminando dipenda anche dal temperamento e che invecchiando lo si faccia sempre meno (pag. 21).
«Senza dubbio il temperamento, e soprattutto l’età, hanno la loro importanza. Quando un uomo invecchia, la sua capacità di rimanere seduto quietamente e di svolgere mansioni tra le quattro mura accresce.
«Le sue abitudini si fanno vespertine a mano a mano che egli si approssima al crepuscolo della vita, sino a quando esce di casa solo poco prima del tramonto, e tutto il camminare che gli è necessario si riduce a una passeggiata di mezz’ora.»
E che dire di molti giovani d’oggi, perennemente incollati davanti al computer e alla playstation, i quali non solo non sono abituati a camminare al tramonto né al pomeriggio peraltro, ma trascorrono i loro anni migliori seduti comodamente sul divano, alienandosi dalla realtà quotidiana, dalla vita reale?
Il filosofo non si riferisce però al camminare inteso come semplice esercizio fisico (pag. 21).
«Ma il camminare di cui parlo non ha nulla a che vedere con l’esercizio fisico propriamente detto, simile alle medicine che il malato trangugia a ore fisse, o al far roteare manubri o altri attrezzi; è, il camminare di cui parlo, l’impresa stessa, l’avventura della giornata…»
Camminare liberamente, inoltrarsi nel folto bosco, vagabondare senza meta fra gli alberi che allungano le loro cime verso il cielo, è un’esperienza indescrivibile.
Talvolta si arriva a una radura e poi occorre scegliere da che parte dirigersi.
Non sempre è facile, poiché nel bosco è assai difficile orientarsi e basta un niente per perdersi. Come nella vita.
A proposito della difficoltà di decidere la direzione da prendere, ecco cosa scrive il filosofo Thoreau (pag. 29).
«Cosa rende talvolta così difficile decidere la direzione da scegliere? La natura possiede, io ritengo, un magnetismo sottile in grado di guidarci nella giusta direzione, se a esso ci abbandoniamo.
Non è indifferente scegliere l’una o l’altra strada. Solo una è quella giusta. Ma siamo spesso così stolti e incuranti da scegliere quella sbagliata.
«Vorremmo avanzare lungo quella strada, non ancora percorsa nel mondo reale, che sia il simbolo perfetto del cammino che amiamo intraprendere nel mondo interiore e ideale. Ed è indubbiamente difficile scegliere la direzione, se essa non è ancora distintamente tracciata in noi.»
Quante volte ci si trova nella vita di tutti giorni innanzi a un bivio, di fronte alla decisione di prendere questa anziché quella strada.
Non sempre si intraprende quella giusta però e capita che, una volta intrapresa, poi non si possa più tornare indietro o si creda di non poterlo fare.
Papa Francesco a tal proposito ha affermato, in un’omelia di qualche mese fa, che «il problema non è sbagliare strada, ma non tornare quando ci si accorge di aver sbagliato» e non si può che dargli ragione.
A proposito di sbagliare strada, c’è chi riesce a farlo pure in auto con l’ausilio del navigatore ed è un caso tutt’altro che infrequente, c’è da crederci…
Daniela Larentis
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