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Se è gentilezza che gentilezza sia – Di Daniela Larentis

Non c’è nulla di più ridicolo di chi si mostra affabile per interesse

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George Saunders, il famoso scrittore e saggista americano contemporaneo che spesso nelle sue storie evidenzia l’insensatezza del consumismo, ha tenuto un solenne discorso molto bello e profondo agli studenti neolaureati di una rinomata università statunitense (la Syracuse University), invitandoli a praticare nella propria vita la gentilezza verso il prossimo anziché far prevalere l’ambizione personale.
Riflettendo sul discorso riportato nel suo libro intitolato «L’egoismo è inutile – Elogio della gentilezza» edito da Minimum fax, a cura di Christian Raimo e tradotto da Cristiana Mennella (le 73 pagine contengono anche un piccolo saggio, «L’uomo con il megafono», e un’intervista allo stesso autore), non si può che essere d’accordo con lui: l’egoismo è una sorta di malattia che si può curare con la cortesia.
 
Viene da chiedersi a questo punto se la gentilezza sia innata o se, al contrario, la si possa imparare praticandola giorno per giorno, un po’ come si fa quando si impara ad andare in bicicletta: prima si prova, si tentenna un attimo e poi il farlo diviene un automatismo, una capacità acquisita.
A pag. 14 Saunders scrive: «Se vogliamo diventare più gentili, dobbiamo anche prenderci sul serio – come individui che agiscono, realizzano, sognano».
Lui è convinto che ognuno possa riuscire a diventarlo, in quanto questa qualità durante il corso dell’esistenza varia ed è di conseguenza migliorabile.
Sostiene che invecchiando si diventa generalmente più gentili e ciò potrebbe essere anche vero, tuttavia non sempre le cose vanno a questo modo: è sotto gli occhi di tutti.
Ci sono anche quelle persone, infatti, che a mano a mano che scorre il tempo e raggiunta la soglia di una certa pericolosa età (quando arriva il successo ad annebbiare la mente) si spogliano della gentilezza e si trasformano in esseri totalmente egoisti e certamente poco cortesi.
C’è anche chi è completamente incapace di essere gentile sia da giovane che da vecchio e chi invecchiando fa del suo contrario un vanto.
 
Succede anche questo. Quindi, quando il celebre scrittore statunitense afferma che «quasi tutti, invecchiando, diventano meno egoisti e più affettuosi» non ha torto, in quanto c’è quel quasi a ricordare la tipologia degli individui sopra descritti (e non solo), quelli poco garbati appunto (e sono più numerosi di quanto si possa immaginare per una serie di svariate ragioni).
Non tutti sono come il poeta da lui citato, Hayden Carruth, il quale giunto alla fine della propria esistenza percepiva se stesso come un concentrato di amore: «Hayden Carruth, grande poeta di Syracuse, in una poesia scritta quasi al termine della sua vita disse che lui ormai era soprattutto Amore» (pag. 13).
Che dire se non che anche Gesù insegnò la gentilezza quando andava predicando di non fare agli altri ciò che non si voleva fosse fatto a se stessi e anche di amare il prossimo come se stessi?
In fondo, si potrebbe anche interpretare come un’esortazione a essere gentili, premurosi (non solo, naturalmente).
A tutti piace essere trattati con gentilezza! Si tratta di un comportamento, di un codice etico che rappresenta un valore anche morale, un principio comune per molte religioni.
Essere gentili, trattare gli altri individui come si vorrebbe essere trattati è quindi una regola di vita ampliamente condivisa.
 
Essere gentili significa anche non ferire il prossimo, avere premura per gli altri, prendersi a cuore le altrui esigenze con spontaneità e calore umano.
Si potrebbe spiegare in tanti altri modi, quello che è certo è che alle volte basterebbe davvero poco per esserlo, giusto un sorriso.
Se si fosse sull’autobus comodamente seduti, però, e una signora anziana stesse davanti a noi in piedi, certo non basterebbe sorridere! Occorrerebbe proprio alzarsi e lasciarle il posto.
La gentilezza favorisce l’instaurarsi di un clima sereno fra le persone, è un ingrediente davvero importante nelle relazioni umane, ma essere gentili non significa per nulla essere servili.
Sono due cose diverse. Chi è gentile è spontaneo e non solo rispetta gli altri, ma in primo luogo se stesso, è autentico. Chi è servile è sovente opportunista quando non è meschino, oppure semplicemente debole, un individuo che, consapevolmente o meno, rinuncia alla propria dignità per guadagnare il favore degli altri attraverso modi fintamente gentili.
La gentilezza vera, al contrario, non può essere una finzione: deve sgorgare dal proprio animo in maniera del tutto naturale, sincera.
C’è chi non è servile ma è falso. La falsità dà fastidio a tutti, ma quanti la praticano!
 
Il poeta Kahlil Gibran, a proposito degli individui che si fingono gentili nascondendo invece le loro vere emozioni, così scrisse in Sabbia e schiuma: «Come è stupido colui che pensa di rimediare all’odio dei suoi occhi con il sorriso delle labbra».
Come dargli torto? Non c’è nulla di più ridicolo al mondo di chi si mostra affabile per interesse, celando nel cuore ben altri sentimenti…
 
Daniela Larentis
[email protected]

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