Home | Rubriche | Pensieri, parole, arte | Mai scoperchiare il Vaso di Pandora – Di Daniela Larentis

Mai scoperchiare il Vaso di Pandora – Di Daniela Larentis

Ora non resta che aprire il vaso e far uscire la speranza. L’ultima a morire, appunto

image

Ci sono delle questioni spinose di cui molti sanno, ma nessuno ne vuole parlare.
Farlo è un po’ come scoperchiare il Vaso di Pandora (il cui coperchio non avrebbe mai dovuto essere sollevato, per nessun motivo, ma che venne aperto da una donna, Pandora appunto, la cui curiosità procurò a tutti un sacco di guai).
Nella mitologia greca lei era la moglie di Epimeteo, il quale la ricevette in dono da Zeus unitamente a un’anfora, una specie di dono di nozze che nessuno avrebbe mai dovuto aprire.
 
Ma un nefasto giorno, ahimè, la curiosità ebbe la meglio e Pandora decise di scoprire il vaso e di esaminarne il contenuto.
Purtroppo ne uscirono tutta una sorta di mali che investirono il mondo: gli spiriti maligni della vecchiaia, della gelosia, del vizio, della pazzia, della malattia, e se fino a quel momento l’umanità non aveva conosciuto alcun male (gli uomini erano immortali come gli dei), ebbe purtroppo modo di conoscerlo ora.
Sul fondo rimase solo la speranza, la quale fu liberata in un secondo momento (non per nulla si dice che la speranza è l’ultima a morire...).
In realtà, Pandora non era colpevole più di quanto lo sia io, poiché fu proprio il dio Ermes a donarle la curiosità (non me ne voglia Esiodo, il quale incolpò le donne di aver reso dolorosa la vita degli uomini a causa di questo dono).
 
Quindi prendetevela con il dio Ermes se stamattina, mentre ero in coda, ascoltando per caso una conversazione, ho sentito parlare di una problematica di cui tutti conoscono l’esistenza, ma della quale ognuno preferisce non parlare, e spinta dalla curiosità ho ascoltato.
Due signore parlottavano commentando un fatto di cronaca avvenuto non molto tempo fa, relativo al ritrovamento di una senzatetto in fin di vita, non ricordo più in quale città.
Erano tutte e due d’accordo sul fatto che la questione dei barboni, termine con cui le persone senza fissa dimora vengono spesso chiamate, dovesse essere risolta una volta per tutte, in quanto non era decoroso incontrarli per strada.
 
A quel punto ho sentito il dovere di esprimere il mio pensiero, intrufolandomi nel discorso in punta di piedi, sottolineando il fatto che chi è in difficoltà, e i senzatetto lo sono, vanno certamente aiutati, ma non certo per una questione di decoro ambientale, bensì per una questione direi di carattere umanitario.
Avrei anche voluto aggiungere molte altre considerazioni, ricordando loro che pure George Orwell, il famoso scrittore britannico che scrisse fra le sue varie opere «La fattoria degli animali» e «1984», per un breve periodo della sua vita visse da barbone (raccontando poi la sua esperienza in un libro intitolato «Senza un soldo a Parigi e a Londra»), come molte altre persone diventate clochard per i più svariati motivi, vuoi per difficoltà economiche sopraggiunte, vuoi per scelta o a seguito di forti delusioni, non solo, ma per altre ragioni che è inutile elencare. 
 
Me ne sono stata zitta, invece, poiché nel frattempo era sopraggiunto il mio turno e poi perché «non c’è peggior cieco di colui che non vuol vedere», come recita un noto proverbio. E quelle due, a mio avviso, sembravano possedere la vista di una talpa. 
A mio avviso, anche se capisco che vedere tutte queste persone affollare le vie cittadine possa anche infastidire, talvolta. E’ stato il tono poco umano e la veemenza condita con un punto di cattiveria con cui hanno affrontato l’argomento a colpirmi in senso negativo, non il tema in sé.
 
Certo è che chi decide di recidere il cordone che lo tiene legato al tipo di vita che noi tutti conosciamo, scegliendo un’esistenza intrisa di privazioni e sofferenza, non lo fa alla leggera, ma ci arriva accompagnato da uno sconfinato dolore, da una solitudine difficilmente augurabile a chiunque.
Come è facile giudicare gli altri dentro al caldo del proprio cappotto!
Non è difficile pontificare, quando si sta parlando della vita degli altri. Più problematico è analizzare la propria, i propri sbagli, i propri limiti.
Cosa assai più difficile, precisamente.
 
Ora non resta che aprire il vaso e far uscire la speranza. L’ultima a morire, appunto. Ricordandoci di non compiere mai l’errore di giudicare affrettatamente chicchessia. 
 
Daniela Larentis
[email protected]

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande