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Alieutica, atavica lotta fra l’uomo e il pesce – Di Daniela Larentis

A gennaio il via alla pesca alla trota unicamente a Trento, lungo un tratto dell'Adige

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Anche quest’anno, il primo gennaio è la data che ha decretato l’apertura della pesca alla trota, nelle acque in concessione all’associazione pescatori dilettanti trentini A.P.D.T, esclusivamente lungo un tratto del fiume Adige.
Il mondo della pesca è un mondo estremamente regolamentato da norme complesse: per fare il pescatore occorre conoscerle e avere la volontà di rispettarle.
Infatti la pesca è rispetto, non solo dell’ambiente in cui si è immersi, ma anche delle persone che condividono la medesima passione.
Si possono infatti trattenere solo alcune razze di trote: quella iridea, la fario e la ibrido fario-marmorata, mentre si deve rilasciare la trota marmorata e nel 2014 anche il temolo, le due specie autoctone più importanti a rischio regresso e le più tutelate (vi sono progetti di ripopolamento in corso, seguiti dalla provincia con i concessionari nelle varie zone del Trentino). 
 
Ne ho parlato con un caro amico, Marco Zucchelli, che condividendo la stessa passione con i figli Stefano e Michele (foto seguente), ai quali l’ha trasmessa con grande entusiasmo, mi ha dato qualche informazione interessante su questo variegato mondo.
Inizio col dire, approssimativamente, che la pesca alla trota può essere svolta mediante l’uso di alcune tecniche diverse, come la tecnica con il galleggiante, ma si può pescare anche «al tocco», mediante l’utilizzo di una canna più lunga, di almeno 8-10 metri, usando solo piombino e canna tesa.
Le esche da noi più comunemente utilizzate sono la camola del miele e il lombrico.
Si possono adoperare inoltre delle esche artificiali, cimentandosi in quella che viene definita pesca spinning, usare il cosiddetto cucchiaino o azzardare il lancio/recupero con pesciolini finti e molto altro. 
 

 
Con stupore, apprendo ora che un altro modo per pescare la trota è quella di usare la mosca, una tecnica di lancio che prevede l’utilizzo di un filo più pesante detto «coda di topo» e delle mosche artificiali di vario tipo, come per esempio quelle che rimangono a pelo d’acqua, le secche, le ninfe (lo stadio precedente a quello della mosca), e via di questo passo, in un carosello di tipologie e colori fra i più vari e affascinanti.
Il gusto di costruire la mosca è uno dei divertimenti che più coinvolge il pescatore (foto a pié di pagina), non tanto per il risparmio in termini economici (comprare l’esca fatta o costruirla mi pare di aver capito che costa più o meno uguale), ma per una questione che potrei definire «filosofica».
I materiali con cui può essere confezionata varia: dalle piume a peli di cervo o scoiattolo, poi c’è l’utilizzo del filo, che può essere metallico, di cotone o sintetico, si usano poi gli utensili come le pinzette, la forbice, i supporti e i morsetti.
 
Le ninfe per esempio, possono essere costruite diversamente: con pallini di metallo (per esempio tungsteno), per renderle pesanti, e in altri modi che non starò qui a elencare. A volte i dettagli sono decisivi.
I neofiti di solito usano tecniche che richiedono un approccio più dinamico, tipo spinning, considerata se praticata a livello base un po’ più facile e accessibile, mentre i veterani frequentemente prediligono le tecniche tradizionali con esche naturali (reperite nella zona di pesca perché conosciute dai pesci), dove l’esperienza conta maggiormente.
L’approccio con l’esca a mosca è a ogni modo trasversale e viene usata da tutti coloro che vogliono cimentarsi in una tecnica più impegnativa.
 
Ma che età hanno i pescatori, in media?
Esiste una fascia che possiamo definire di «vecchi pescatori», i più esperti, per i quali questa attività, che praticano con immutato entusiasmo fino a tarda età, è divenuta una sorta di «compagna di vita».
E poi c’è quella dei giovani, la cui età può arrivare approssimativamente fino ai 30 anni, che la praticano con passione, avendola magari ereditata dai padri, a loro volta pescatori.
Il bello di questa passione è anche questo, ossia il rapporto che si instaura fra le varie generazioni, fra padri e figli spesso, un prezioso collante che rende unici momenti che diverranno poi indimenticabili, al ricordo.
È un modo per condividere un interesse sano, stando immersi in un ambiente naturale.
Purtroppo è un po’ sguarnita la fascia «adulta», quella che va su per giù dai 30 ai 50 anni, età in cui molti sono troppo occupati a fare altro.
 
Esiste uno spartiacque che divide varie mentalità di pescatori.
Da una parte esistono coloro che, sempre naturalmente nei limiti della normativa, pescano e uccidono i pesci, e dall’altra vi sono quelli che praticano il cosiddetto «no-kill» e che pescano non tanto per uccidere il pesce, che poi una volta pescato rilasciano, ma per il gusto intrinseco della cattura.
Non sono in molti ad appartenere a questa categoria; per lo più sono veterani, i quali un po’ perché non avvertono più il bisogno di portare a casa un trofeo, forse anche un po’ stufi di mangiare pesce (magari hanno mogli che non ne possono più di cucinarlo e ancor più di pulirlo, il che è del tutto comprensibile), scelgono di non rinunciare a un’attività, che in fondo è una filosofia di vita.
 
La pesca, una passione che va intesa nel suo significato più profondo, coinvolge infatti testa e cuore.
È una lotta, a prescindere che poi la preda venga rilasciata o meno, fra uomo e pesce, fra intelligenza e furbizia, perché il pesce sa anche essere molto furbo, soprattutto dopo essere sfuggito a più catture.
Il fatto di riuscire a portalo a casa, poi, dipende anche molto dal tipo di alimento scelto per attirarlo e indurlo a mangiare: se si propone qualcosa di cui non si ciba solitamente, il pesce non abbocca. 
 


Chi non è paziente non può fare proprio il pescatore.
La pesca è infatti anche il momento in cui viene messa a dura prova la pazienza: l’attesa dell’agognato istante in cui il pesce, finalmente, verrà catturato, può durare anche molto a lungo, da poche ore fino a un’intera giornata e può essere accompagnata anche da imprevisti, problemi tecnici da risolvere di vario tipo, come per esempio dipanare una matassa di filo ingarbugliatosi improvvisamente ecc.
Il momento di massima eccitazione resta quello nel quale un’ambita preda, un pesce di grandi dimensioni, abbocca all’amo!
 
Ma non basta che sia un pesce grosso, occorre che sia anche combattivo, solo così si instaura l’estenuante lotta fra l’uomo e l’animale, un aspetto, questo, che nobilita e rende unica un’occupazione che è anche manifestazione di rispetto (verso il pesce che ha saputo tenere testa fieramente al suo antagonista, prima di essere catturato).
È una lotta dove vince l’astuzia, poiché ben sa il pescatore che dovrà ingannare il pesce, il quale forte della sua scaltrezza dovrà sfuggirgli se gli è cara la pelle!
Chi è più furbo avrà la meglio, il che significa che se lo sarà il pesce come premio avrà salva la vita e se lo sarà il pescatore avrà salvo il pasto o un trofeo da fotografare (oltre che l’onore).
In una società come la nostra, che ammalia e corrompe in mille modi i giovani, cogliere il genuino entusiasmo dei ragazzi che si dedicano alla pesca, francamente solleva gli animi.
I pescatori, inoltre, spesso fungono da sentinelle ambientali: i volontari a volte ripuliscono le sponde dei corsi d’acqua, sforzandosi di salvaguardare l’ambiente che li circonda, a beneficio di tutti. 
 
È ciò che mi spiega Christian Lorenz (foto sopra), un giovane pescatore convinto, che ha iniziato a pescare a soli quattro anni, accompagnando il nonno Giorgio e il papà Marco lungo le rive dell’Adige e poi sul Leno, una passione, quella della pesca, che lui coltiva ancora adesso (ha 20 anni) con l’entusiasmo del primo giorno.
È proprio lui a raccontarmi quanto i pescatori abbiano a cuore la natura e quanto rispettino l’ambiente; a loro non conviene depredare un corso d’acqua, poiché sanno che poi non potranno più pescare nulla, il vero appassionato è infatti colui che cattura il pesce, nel pieno rispetto degli equilibri naturali.
Quella dei pescatori è secondo lui una delle poche categorie che si preoccupano davvero dell’ambiente fluviale; i pescatori osservano i corsi d’acqua con occhio clinico e a loro non sfugge, al di là della trasparenza delle acque, la presenza o meno dei pesci, indicatori inequivocabili della salute del fiume.
 
È importante, per esempio, permettere ai pesci di vivere e non di sopravvivere, quando in presenza di dighe i corsi d’acqua vengono svuotati temporaneamente durante la notte (momento in cui vi è il calo del consumo elettrico), causando non tanto la morte dei pesci, che sopravvivono, ma uno squilibrio del loro ambiente naturale con dinamiche che non sto qui a sviscerare. In questo senso sono state portate avanti proprio dalla categoria dei pescatori feroci battaglie che hanno poi garantito una portata minima dei corsi d’acqua interessati al problema.
Christian insiste molto sulla questione del rispetto ambientale e quando gli chiedo qual è il vero motivo che lo induce ad armarsi di canna e uscire per una battuta di pesca, lui mi risponde dicendo che non è per la cattura in sé (non stiamo parlando della pesca sportiva, sottolinea); andare a pesca per lui non è come entrare in casa d’altri, sentendosi «ospite».
Chi va a pesca entra in un mondo che sente suo, in una dimensione spirituale che gli appartiene, in perfetta comunione con l’ambiente che lo circonda. Il pescatore sa che se non lascerà nulla in acqua, poi non troverà nulla.
Non solo, egli si percepisce alla stregua dello stesso pesce, un elemento inserito in un contesto più ampio. 
 

 
Un’ultima cosa: mai dire «buona pesca» a un pescatore in procinto di uscire per una battuta di pesca, potrebbe pure decidere di rinunciare, per scaramanzia.
Questo mi viene confermato anche da un altro esperto pescatore, Ivan Piffer (foto qui sopra, con un esemplare stupendo), il quale si dedica con entusiasmo a questa straordinaria occupazione da molto tempo, ormai, precisamente dall’età di 5 anni, quando con il padre si recava lungo la sponda dei laghi trentini e poi lungo gli innumerevoli corsi d’acqua.
A 12 anni ha vinto pure i campionati provinciali di pesca e si è portato a casa il titolo italiano , vinto a Roma ai giochi della gioventù.
Meglio usare il celebre detto della balena che evito di ricordare per una questione di eleganza, oppure optare per il tradizionale «in bocca al lupo».
Sarà anche banale, ma almeno non porterà sfortuna. Non troppa, almeno…
 
Daniela Larentis
[email protected]
 

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