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Oggi è Natale – Di Daniela Larentis

«La quiete del presepe si contrappone all’irrequietezza del mondo, ma nell’aria aleggia ancora la speranza»

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La parola «Natale» racchiude in sé uno spirito di fratellanza, un augurio di pace universale, un desiderio di comunione col creato, ispirando storie e leggende conosciute ovunque e tramandate di generazione in generazione.
Una di queste è la conosciutissima storia di H.C. Andersen intitolata «L’Abete». È la storia di un alberello che viveva nella foresta, insieme ai suoi compagni, i cui giovani rami venivano ricoperti di fresca neve in inverno e accarezzati dai raggi caldi del sole in estate, ospitando i nidi degli uccelli che cantavano canzoni ora tristi ora allegre, descrivendo luoghi lontani.
Ma lui non era felice e malediva la propria sorte, perché la sua natura lo costringeva a rimanere ancorato al terreno, mentre gli uccelli, migrando, potevano raggiungere terre lontane, luoghi che lui non avrebbe mai potuto vedere se non con la fantasia.
 
Un giorno però arrivarono dei boscaioli e lui venne abbattuto e portato in città: finalmente avrebbe potuto pure lui vivere chissà quali magiche avventure!
Era al settimo cielo! Condotto nel centro di una grande sala fu addobbato a festa, così i suoi rami si riempirono di palle, candeline e oggetti luccicanti.
Dopo una giornata di festa, in cui i bambini gli gironzolarono intorno facendo una gran confusione, gli furono tolte le luci, tutti gli addobbi e lui rimase solo.
L’indomani fu portato in soffitta fra una miriade di cose inutili.
 
Che nostalgia di ciò che ora poteva solo ricordare, dei cieli tersi, di tutto quell’azzurro e delle stelle, nonché del canto degli uccelli, della neve in inverno e del calore dei raggi del sole nella calda stagione!
Solo allora capì l’importanza di ciò che aveva perduto.
Poi, qualcuno arrivò e lo portò al piano di sotto dove, visto che ormai era diventato tutto secco, fu tagliato a pezzi e gettato nel fuoco.
Provò perfino a crepitare, lamentandosi invano: di lui non restò che un cumulo di calda cenere.
 
Questa storia non racchiude forse una dinamica del tutto umana?
Non è forse vero che spesso non si riesce a capire la bellezza di ciò che ci circonda, il valore di ciò che si possiede, perché è più immediato desiderare ciò che non si ha, ciò che non si è?
Per poi pentirsi, una volta perduto ciò che prima si dava per scontato?
E chi lo sa, se lo chiedessimo all’abete credo che la risposta sarebbe alquanto scontata.
 
Concludo proponendo una poesia che ha come tema il Natale, tratta dal libro intitolato «Salvatore Quasimodo – tutte le poesie» (edito da Oscar Mondadori), nella quale il poeta fa una triste riflessione contrapponendo alla pace del presepe l’irrequietezza dell’uomo, che da troppo ormai è feroce con il suo prossimo per le più svariate motivazioni. 
 
 IL PRESEPE  Di Salvatore Quasimodo
Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure in legno ed ecco i vecchi
del villaggio e la stalla che risplende,
e l'asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?
 
Il poeta termina domandandosi se esiste ancora qualcuno disposto ad ascoltare «il pianto del bambino che morirà poi in croce fra due ladri» e io voglio credere di sì, perché sperare in un mondo migliore è il desiderio di ognuno, in fondo.
Di tutti almeno per oggi, dopotutto oggi è Natale…
 
Daniela Larentis
[email protected] 
 

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