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Judo, la passione di una vita – Di Daniela Larentis

«È quella del M° Ben. Dario Tarabelli, un uomo di gran cuore e di inesauribile energia»

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Diventata disciplina olimpica nel 1964, l’arte marziale chiamata «judo», fondata in Giappone da Jigoro Kano attorno al 1882, ha avuto origine dall’antica arte del «Ju-Jitsu», che i Samurai impararono al fine di annientare i nemici, rendendoli inoffensivi senza dover ricorrere all’uso delle armi.
«Judo», è una parola composta da due caratteri giapponesi, che tradotti significano «cedevolezza» e «via», quindi questo metodo di difesa personale insegna proprio a non opporsi al nemico, ma a sfruttare la sua forza, direzionandola a proprio favore.
 
Ecco il pensiero di Jigoro Kano.
«Il judo è la via più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale.
«Allenarsi nella disciplina del judo significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l’addestramento attacco-difesa e l’assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale.
«Il perfezionamento dell’io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l’obiettivo ultimo del judo».
 
Ma non è di questo diffusissimo sport da combattimento che voglio parlare, ritenuto a ragione una straordinaria filosofia di vita, poiché mi avventurerei in sentieri già a lungo percorsi, trasmettendo informazioni del tutto inflazionate (in internet circolano moltissime notizie a riguardo).
Vorrei invece spendere due parole per una persona davvero molto speciale, un uomo che ha fatto di questo sport la sua missione e che continua a farla con immutato entusiasmo e passione, ancora oggi, all’età di quasi 80 anni: il M° Ben. Dario Tarabelli (leggasi «Maestro Benemerito»), consentitemi di dirlo, «il padre» del judo trentino, in quanto fu il primo a fondare nel lontano 1968 la prima palestra della nostra provincia, con sede a Trento, nel cuore della città. 
 


Potrei raccontarvi mille aneddoti relativi alla sua lunga e luminosa carriera, partendo dall’inizio. Per esempio potrei dirvi che da giovane lavorava in fabbrica e amava andare in bicicletta (affrontò numerose gare in ambito regionale, con ottimi piazzamenti) e che si cimentò, anche se per un brevissimo periodo, pure nel pugilato, per poi innamorarsi perdutamente di quello che diventò il suo sport, la sua ragione di vita, dopo essere entrato quasi casualmente nel Dojo (nome giapponese che indica il luogo dove si pratica judo) del M° Salonia, a Bolzano.
 
Correva l’anno 1956 e di lì in poi, cintura dopo cintura, arrivò a ottenere nel 1962 la cintura verde, dopodiché sempre nello stesso anno, dopo essersi recato per ragioni di lavoro in Svizzera, ottenne la cintura nera 1° DAN, a Winterthur.
Nel 1964 fu scelto quale membro della squadra nazionale svizzera per partecipare alle olimpiadi di Tokio (proprio in quell’anno lo sport da lui praticato fu annoverato fra le discipline olimpiche), ma non poté partecipare per motivi personali, inerenti alla famiglia.
 
Successivamente, nel 1966, dopo essere rimpatriato, fondò a Trento il «Jigoro Kano Trento», la prima palestra di judo della provincia (innumerevoli furono successivamente gli atleti che vennero contagiati dalla sua passione e dal suo carisma, tanto che in quarantacinque anni il suo insegnamento ha portato al conseguimento di ben centocinquantadue diplomi in cintura nera, se non addirittura di più).
Un DAN dopo l’altro (i gradi attribuiti dopo la cintura nera), arbitro nazionale e regionale, insignito dall’allora Presidente della Repubblica A. Ciampi dell’onorificenza di Cavaliere Ufficiale (1999), e nel 2008 del titolo di «Maestro Benemerito» dalla F.I.J.K.A.M. (Federazione Italiana Judo Karatè Arti Marziali), oltre che insegnante è stato anche attivissimo agonista fino allo stesso anno (primo classificato nel Campionato Italiano Mondiale Master, 2008, tanto per citare un esempio).
 

 
E chi più ne ha più ne metta (oltre al V DAN di judo ha ottenuto il III DAN di Ju Jitsu e l’abilitazione di II livello di MG.A. (metodo globale di autodifesa) fino ad arrivare al 2012, quando, fra la commozione generale, ha ricevuto dal Presidente della F.I.J.K.A.M., dott. Matteo Pellicone, l’assegnazione della cintura nera 6° DAN «ROSSO/BIANCA», una soddisfazione che vi assicuro conoscono ben pochi (viene assegnata per meriti speciali ai maestri e rappresenta un grandissimo onore il riceverla).
 
Ma la grandezza di quest’uomo non è tanto aver collezionato tutta una serie di successi, che sicuramente sono fonte di grandissima gratificazione (per lui, per tutti i suoi figli, a due dei quali, Angelica e Gianni, ha trasmesso il medesimo trasporto per judo e ju jitsu, e per sua moglie, che con amore e dedizione gli è sempre stata vicina), ma l’aver saputo infondere non solo una passione, quella per uno sport straordinario, ma anche dei valori importantissimi, come l’impegno e la costanza, la tenacia e la pazienza, merce rara a questi tempi, dove tutti vogliono ottenere tutto e nel minor tempo possibile.
Nel 2010 ha fatto inoltre un’esperienza davvero unica, il sogno di ogni maestro, posso supporre, quella di andare in Giappone e di poter entrare nel Dojo del fondatore e creatore del «Judo Moderno Shihan Jigoro Kano».
Si è recato presso il Kodokan di Tokio, come Maestro onorario al seguito del Maestro Sujihama, e ha seguito corsi di Kata ad altissimo livello.
 
Quando vedo il Maestro Dario sul Tatami (il tappeto sul quale ci si esercita a judo), impegnato magari ad annodare a qualche allievo l’Obi (la cintura che può essere di vari colori), oppure con inesauribile energia incitare i suoi allievi, insegnando loro come è meglio effettuare una certa presa anziché un’altra (dette kumi-kata), per esempio, arrabbiarsi (naturalmente bonariamente) per un «Uki Goshi» effettuato non troppo bene o un «O-Soto-Gari» decisamente sbagliato, un po’ sorrido, restandone dapprima incuriosita e poi affascinata, perché a quell’età è davvero atipico essere ancora così vitali, così energici, così appassionati, tanto che non si può che provare un moto di sana ammirazione e rispetto per quello spirito guerriero, quella forza invincibile che induce all’azione, che lo fa alzare al mattino ancora pieno di immutata gioia di vivere.
Ecco, se proprio dovessi per forza trovargli un difetto direi che ha un gran vocione, una voce imperiosa che, a ogni modo, non spaventa chi lo conosce bene, poiché dietro un timbro che non potrei certo definire «femminile» si nasconde un animo generoso e buono, una persona certamente dominante, ma assolutamente priva di meschinità e totalmente incapace di provare risentimento per chicchessia, un uomo leale e combattivo, un sognatore che, tuttavia, non si è limitato a sognare, ma ha costruito e realizzato il proprio sogno con slancio, grande determinazione e spirito di sacrificio, lottando.
Sempre.
 
Inoltre «avere grandi difetti è prerogativa esclusiva dei grandi uomini» affermò lo scrittore e filosofo francese Francoise de La Rochefoucauld, nella sua raccolta intitolata «Riflessioni o sentenze e massime morali» (scritta nel 1665, ampliata successivamente nel 1678).
E se per “grandi difetti” intendiamo appunto «un gran vocione» o un carattere che talvolta può apparire ruvido (ma solo in apparenza, sottolineo), ecco, posso tranquillamente affermare che il Maestro Dario ha l’aria un po’ burbera, ha proprio una gran voce per nulla delicata e che non solo è un grande uomo e un esempio per tutti, ma è anche una delle persone migliori che io abbia mai avuto l’onore di conoscere. 
 
Daniela Larentis
[email protected]
 

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