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Arriva l’estate tanto bramata! – Di Daniela Larentis

«È la stagione dell’agognato riposo, ma anche dell’amore, dei buoni propositi, dei sogni e dei progetti a lungo rimandati»

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L’afa di questi giorni riporta alla mente le scene del celebre film, di cui il bellissimo Paul Newman fu protagonista, «Una lunga estate calda» e solo il pensarci fa venire i brividi, perché un conto è desiderare la bella stagione e un altro è viverlo davvero questo caldo, magari in città.
Magari senza condizionatore. Magari con la pressione che ti scende fino ai tacchi delle scarpe trasformandoti improvvisamente in uno «pseudo vegetale».
Parlando dell’estate finalmente arrivata, mi viene in mente una poesia scritta da Giuseppe Ungaretti, poeta e scrittore italiano nato nel 1888 ad Alessandria d’Egitto (suo padre fu operaio allo scavo del Canale di Suez).

 «Di luglio» di Giuseppe Ungaretti 
Quando su ci si butta lei,
si fa d’un triste colore di rosa
il bel fogliame.
Strugge forre, beve fiumi,
macina scogli, splende,
è furia che s’ostina, è l’implacabile,
sparge spazio, acceca mete,
è l’estate e nei secoli
con i suoi occhi calcinanti
va della terra spogliando lo scheletro.
 
Detta poesia, dal ritmo ridondante, ci mostra una stagione che con il suo impeto dirompente devasta la natura, nell’ineluttabile scorrere del tempo (può darsi che avesse voluto rappresentare una stagione della vita, la maturità, o semplicemente avesse avuto l’intenzione di sottolineare che questa stagione, con la sua luce accecante, impedisce di scorgere nitidamente la realtà, disorientando e confondendo l’intera umanità).
Una stagione questa, nella lirica di Ungaretti, in continuo travaglio, ritratta non solo da egli stesso, che scrisse la poesia nel 1931, ma anche da altri poeti, per esempio da Eugenio Montale.
Quest’ultimo, infatti, compose «Meriggiare pallido e assorto» nel 1916, una poesia in cui egli descrisse le ore calde del mezzogiorno, presso il muro di un orto, attraverso i rumori della natura (come per esempio il verso dei merli, il fruscio del serpenti, il frinire delle cicale ecc.) fino ad arrivare al finale, con quei versi «com’è tutta la vita e il suo travaglio/ in questo seguitare una muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia» che sottolineano tutto il suo pessimismo nei confronti della vita.
 
C’è chi, invece, associa all’idea di estate immagini e scene molto diverse, come interminabili pomeriggi in riva al mare, sorseggiando qualche drink dall’aria tropicale e dall’improbabile colore, magari seduti su di una comoda sdraio sotto un ombrellone dalle variopinte frange; lunghe e incantevoli passeggiate in montagna o piacevoli scampagnate con gli amici lungo la riva di qualche pittoresco lago.
 
Hermann Hesse, notissimo scrittore, poeta e pittore tedesco (nato nel 1877 in una cittadina del Baden-Württemberg), dedicò a questa stagione una poesia intitolata «Notte d’estate» (contenuta nello stupefacente libro «Hermann Hesse - Musica e solitudine» – Edizione italiana Reverdito, che raccoglie oltre a meravigliosi componimenti poetici alcuni dei suoi acquerelli più belli).
Gli straordinari versi sono intrisi di nostalgia e decantano lo struggimento per una stagione ormai passata, tuttavia ancora viva nei ricordi del poeta che si interroga con afflizione («Splendide feste delle notti d’estate della mia giovinezza, dove siete finite?») e conclude con una richiesta che è quasi una preghiera: «O notte d’estate fiammeggiante di oscurità,/ per una volta fammi vuotare la coppa colma di sogni/ del piacere fino all’ultima goccia,/ che io mi possa saziare e finalmente mi taccia!»
 
Parlando di artisti, svariati furono i pittori che ritrassero i mille volti dell’estate, fra cui Goya, Monet, Renoir, Potthast (l’impressionista americano famoso per aver ritratto le celebri scene di spiagge di Long Island ) e molti altri.
Era l’estate del 1913 quando Gustav Klimt, celebre pittore austriaco (uno degli esponenti di spicco dell’Art Nouveau, denominata Art Deco in Francia e stile Liberty in Italia, e della Secessione viennese, movimento artistico degli inizi del XX secolo), ospite di un albergo a Tremosine, pittoresco paesino sopra Limone, ritrasse una veduta di Malcesine in una delle sue opere più belle.
 
L’estate è la stagione dell’amore (chi non lo ha ancora trovato desidera più che mai trovarlo ora, chi lo ha già trovato da tempo, invece, farebbe bene a stare attento e a coltivare la vita di coppia, poiché questa è la stagione più malandrina di tutte e chi non lo cerca magari lo incontra, pur non avendolo bramato), del risveglio dei sensi (se non lo hanno già fatto in primavera), è il momento dell’abbandono ai sogni, delle divagazioni, delle speculazioni romantiche, dei viaggi fantastici in posti bellissimi, talvolta lontani e irraggiungibili, dei progetti rimandati a lungo e dei buoni propositi (per esempio le diete alimentari), ma soprattutto, e ci terrei a precisarlo, soprattutto, del tanto agognato riposo.
 
Già, quel concetto un po’ astratto che rimanda più di tutti al benessere più autentico, allo stop del nostro fisico, alla raccolta di energie vitali che ci serviranno, eccome ci serviranno, all’approssimarsi dell’autunno, quando, come in un diabolico ingranaggio, tutto si rimetterà a girare nuovamente in maniera più o meno perfetta.
E noi, lasciandoci alle spalle una stagione un po’ sopravvalutata, riprenderemo ciò che avevamo lasciato, sulla scia della canzone «L’estate sta finendo» dei Righeira, trionfale successo del lontano 1985, che con quelle parole «l’estate sta finendo e un anno se ne va/ sto diventando grande lo sai che non mi va» regalò momenti d’allegria a più generazioni.
 
Daniela Larentis


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