Home | Rubriche | Parliamone | Ne abbiamo parlato con il prof. Gino Scaccia – Di Nadia Clementi

Ne abbiamo parlato con il prof. Gino Scaccia – Di Nadia Clementi

Approvazione e regolamentazione dell'attività di lobby in italia: uno strumento per la garanzia e lo sviluppo del sistema democratico o per la sua compressione?

image

>
Il termine «lobby» non è comune in Italia, lo sentiamo solitamente in due occasioni: nei film americani, legati a politica e affari, oppure in riferimento a vaghi gruppi di potere che influenzano la società, in modo più o meno lecito.
Ovviamente entrambe queste visioni sono falsate, o meglio contengono solo una parte di verità. Ecco come viene definito dal Vocabolario Treccani: «Termine usato negli Stati Uniti d’America, e poi diffuso anche altrove, per definire quei gruppi di persone che, senza appartenere a un corpo legislativo e senza incarichi di governo, si propongono di esercitare la loro influenza su chi ha facoltà di decisioni politiche, per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in proprio favore o dei loro clienti, riguardo a determinati problemi o interessi: le lobby degli ordini professionali, del petrolio.
Quindi è lecito semplificare il termine lobby in «gruppi di pressione» e già questo chiarisce alcuni punti oscuri, ovvero che si tratta di gruppi organizzati che fanno pressione per ottenere qualcosa.
In Italia il «lobbying» o «lobbismo», con cui genericamente si definiscono le attività di grandi aziende o dei loro rappresentanti volte ad influenzare le decisioni pubbliche, è un fenomeno estremamente diffuso ma al tempo stesso difficile da conoscere e, soprattutto, non regolamentato.
 
La mancanza di trasparenza sul processo decisionale e su chi lo influenza ha portato alla sovrapposizione nell’immaginario collettivo dei concetti di lobbying e di corruzione, quasi fossero sinonimi.
I media non hanno contribuito a promuovere un’immagine più neutra dei lobbisti, associandoli spesso a dei «faccendieri», o trattando il lobbying sempre in relazione a scandali di corruzione.
Ma quindi esattamente cosa fanno i lobbisti?
Come possiamo vedere nel corso dell’intervista che abbiamo rivolto al prof. Gino Scaccia, un esperto del settore, sono molte le situazioni in cui le lobby farebbero comodo al nostro Paese.
Abbiamo capito che la missione principale delle lobby è quella di avvicinare la politica ai bisogni di gruppi di cittadini. Ad esempio categorie professionali, associazioni no profit, commerciali, ma anche realtà sociali e per i diritti umani.
 
Due esempi per comprendere meglio il fenomeno: se un piccolo gruppo di professionisti, prendiamo ad esempio i medici, si trova contrario ad una determinata legge, sarà molto difficile se non impossibile recarsi presso il ministero della sanità, bussare alla porta e far sentire le proprie ragioni in merito.
Al massimo i cittadini possono organizzare delle manifestazioni, ma a meno che i numeri non siano clamorosi, purtroppo, i gruppi in piazza non vengono ascoltati.
L'altro esempio realmente accaduto: recentemente sulla legge delle importazioni si è posta una tolleranza di pochi chili nei container di alto tonnellaggio, al di sopra della quale scatta una multa milionaria.
I professionisti di settore hanno fatto notare che gli stessi container hanno dei sistemi di chiusura che da soli possono superare la tolleranza e che nel trasportare petrolio o inerti il semplice sporco accumulato sul fondo dello stesso supera il limite imposto e infine che nessuna bilancia in grado di pesare tonnellate è così sensibile da vedere la differenza di 5 chilogrammi.
Se i politici consultano le parti interessate, ma soprattutto degli esperti del settore, moltissime norme instabili, dannose o inefficaci non vedrebbero la luce.
E qui intervengono le lobby: gruppi iscritti a degli appositi registri che possono presentare le proprie osservazioni sulla base delle varie corporazioni e categorie rappresentate direttamente ai politici.
 
È di pochi mesi fa la pubblicazione del report «Lobbying e democrazia: la rappresentanza degli interessi in Italia», un documento che mira a esaminare il fenomeno del lobbying italiano per valutare il livello di accesso da parte dei cittadini alle informazioni sui gruppi di pressione (la trasparenza dunque), l’adeguatezza degli standard, i comportamenti etici dei lobbisti e dei decisori pubblici, l’eguaglianza di rappresentanza e la partecipazione nel processo decisionale.
I risultati confermano la debolezza del settore del lobbying in Italia, a partire dalla regolamentazione: in Italia sono stati presentati ben 58 disegni di legge, da quando esiste la Repubblica, ma ancora nessun risultato concreto.
Alcune regioni si sono mosse in autonomia, per prima la Toscana e poi il Veneto, l'Emilia Romagna, il Friuli e le Marche, ma una normativa nazionale ancora non esiste e solo qualche giorno fa il parlamentare M5S e vice presidente della Camera Luigi Di Maio ha ribadito la necessità di una legge in materia.
 
Per approfondire questo tema e per fare chiarezza abbiamo contattato Gino Scaccia, professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico dell’Università di Teramo e docente di Diritto Costituzionale presso l’Università Luiss Guido Carli.

 Chi è il prof. Gino Scaccia 
Laureato cum laude in giurisprudenza alla Luiss di Roma nel 1993 con una tesi sui profili costituzionali del lobbying, nel 1999 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in diritto pubblico nell’Università di Firenze e nel 2001 ha vinto il concorso per la cattedra di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Teramo, dove dal 2008 è professore Ordinario nella Facoltà di Giurisprudenza.
Dal 2002 è docente di diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss. Ha svolto attività di ricerca a Berlino, Francoforte sul Meno, Monaco di Baviera, Vienna, Salisburgo, Aix en Provence, Budapest, Edimburgo, Jena, Varsavia.
Dal 1996 al 2013 ha lavorato presso la Corte costituzionale come consulente del servizio studi e come assistente di studio del Vice Presidente Carlo Mezzanotte (2000-2005) e del Presidente Franco Gallo (2010-2013).
È autore di cinque libri e di oltre 100 saggi, pubblicati sulle più qualificate riviste italiane e straniere.
Ha appena curato per Edizioni Scientifiche Italiane un «Commentario alla riforma costituzionale del 2016».
Avvocato cassazionista e consulente di prestigiosi studi legali italiani e internazionali, è sposato e ha due figli.

Professor Scaccia, innanzitutto da Lei vorremmo una definizione precisa della parola lobby, la chiarezza dei termini in questi casi è d’obbligo.
«Nel mondo anglosassone, e specificamente negli Stati Uniti, il termine designa un gruppo di persone che, non essendo politici di professione (cioè membri del Governo o del Parlamento), si organizzano per rappresentare i loro interessi e per cercare di influenzare le decisioni del legislatore o della pubblica amministrazione.
«Il lobbista è, dunque, un rappresentante di interessi organizzati, un esperto di relazioni istituzionali.»
 
Quali sono i settori maggiormente attivi nel mondo lobbistico?
«Tutti i soggetti che operano sul mercato sono portatori di interessi, e tutti cercano di entrare in contatto con i politici e con la pubblica amministrazione per influenzarne le decisioni. Alcuni lo fanno in modo episodico, occasionale, ricorrendo a persone vicine ai politici (amici, parenti, portaborse); altri in modo sistematico e organizzato, avvalendosi di professionisti.
«La differenza è tutta qui. Si fa lobbying a tutela di interessi a torto o a ragione considerati cattivi (ad esempio quelli dei produttori di armi), così come a favore di organizzazioni benefiche, filantropiche, di gruppi che agiscono per la protezione dei diritti umani.
«Inoltre, al contrario di quanto si crede comunemente, per fare una buona azione di spinta non serve necessariamente molto denaro, ma piuttosto occorrono molte e buone informazioni.
«Il lobbista, dopo aver approfondito il quadro economico e normativo in cui si inscrive una certa scelta pubblica, deve infatti convincere il decisore che la tutela del proprio interesse particolare non è incompatibile, ma anzi concorre a realizzare l’interesse generale.
«E ciò il lobbista riesce a farlo – messi da parte casi patologici di cui si occupa il codice penale – non con la corruzione o il denaro, ma con il potere della conoscenza e con l’arte del negoziato.»
 
Nel presupposto che i nostri lettori non siano esperti di economia, devo chiederle quali ricadute concrete possono avere queste pratiche. In che modo la presenza delle lobby può migliorare la vita pubblica ed economica italiana?
«Sono convinto che la presenza organizzata delle lobby all’interno del procedimento di formazione delle leggi possa migliorarne la qualità e arricchire il processo democratico. Il Parlamento, infatti, non riesce a rappresentare la varietà sterminata di istanze e di interessi presenti nella società pluralista in cui viviamo.
«La rappresentanza garantita dalle lobby può dunque arricchire, senza sostituirla, la rappresentanza parlamentare dando voce a soggetti e interessi che non hanno canali di accesso privati (e occulti) ai politici.
«Non a caso gli Stati Uniti, che sono la più grande democrazia del mondo, hanno regolato le lobby fin dal 1946 (i primi disegni di legge datano addirittura al 1876) considerandole un attore importante ed essenziale per lo sviluppo del sistema economico e la formazione delle scelte pubbliche.
«Quanto alla qualità delle leggi, si ha spesso l’impressione che esse vengano prodotte nel chiuso di qualche ufficio ministeriale, senza una conoscenza approfondita, concreta, reale dei fenomeni regolati.
«Questi elementi di conoscenza potrebbero essere riversati nel procedimento legislativo dai lobbisti, che conoscono le realtà produttive e professionali rappresentate meglio di qualunque burocrate.
«E il Governo e il Parlamento, mettendo tra loro a confronto in modo aperto e trasparente dati e cifre, scenari e visioni, potrebbero compiere scelte più oculate, perché fondate su valutazioni e opinioni riscontrate e verificate attraverso un confronto dialettico. Confronto che sovente manca in Parlamento.»
 
Come mai l’Italia è così indietro rispetto a questa materia? Anche ai «piani alti» sembrano esserci delle difficoltà: 58 proposte di legge in 60 anni di Repubblica sono molte.
«Potremmo dire con una battuta che la lobby più forte è stata quella che si è opposta alla disciplina delle lobby. Del resto, nell’assenza di regolamentazione, prevalgono gli interessi che sono vicini al potere per ragioni personali o i gruppi che agiscono in modo opaco o del tutto occulto.
«I tempi mi sembrano maturi per superare questo storico ritardo. Segnalo, in particolare, che fin dal 2012 è stato istituito presso il Ministero delle politiche agricole un elenco pubblico dei lobbisti del settore agroalimentare (d.m. 9 febbraio 2012, n. 2284), che questo positivo esempio è stato seguito ora dal Ministero dello Sviluppo economico, e soprattutto che la Giunta per il regolamento della Camera dei deputati ha approvato il Codice di condotta dei deputati (12 aprile 2016) e un provvedimento di Regolamentazione dell'attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei deputati (26 aprile 2016).»
 
«I tratti salienti di questo provvedimento sono:
a) l'istituzione, presso l'Ufficio di Presidenza della Camera, di un registro dei soggetti che svolgono professionalmente attività di lobbying nei confronti dei deputati presso le sedi della Camera;
b) l'obbligo per gli iscritti al registro di presentare annualmente una relazione che dia conto dei contatti effettuati e degli obiettivi conseguiti;
c) l'applicazione di sanzioni per l’ipotesi di violazione delle regole di svolgimento dell’attività, che vanno dalla sospensione alla cancellazione dal registro.
 
«A mio avviso questa disciplina dovrebbe essere integrata da una regolazione che, sul modello statunitense, imponga al lobbista e agli editori di indicare i titoli degli articoli firmati da lobbisti professionali su quotidiani o periodici, affinché il lettore possa sapere se quel che compare sui giornali è frutto di un’analisi disinteressata o al contrario di una visione parziale; ponga limiti stringenti alla possibilità per gli amministratori pubblici di ricevere regali o altre utilità dai soggetti che entrano in contatto con i loro uffici; fissi un termine (3-4 anni) nel quale ex amministratori pubblici ed ex politici non possono svolgere azione di lobbying; definisca un codice etico per i funzionari pubblici di livello più elevato, configurando per la violazione di tale codice sanzioni disciplinari severe e, nei casi più gravi, il licenziamento. »
 
In un paese con un indice di corruzione così elevato come il nostro sarebbe possibile operare in trasparenza? Il fantasma di Mani Pulite ha influenzato l’immagine negativa dei lobbisti? Pensare a gruppi di potere che a stretto contatto con i politici concludono affari milionari non sembra un ottimo spot per le lobby italiane?
«Nella nostra cultura politica la lobby è associata ancora a un’immagine negativa. Il lobbista - che come ho detto è un professionista delle relazioni istituzionali - viene spesso confuso, come Lei ha ricordato, con il faccendiere, cioè con colui che - nella definizione che ne offre il vocabolario Treccani - s’affaccenda, di solito per fare intrighi o maneggi più o meno coperti.
«Eppure proprio un Paese con una corruzione elevata come l’Italia dovrebbe portare alla luce gli interessi organizzati, anziché lasciarli nell’ombra. Voglio dire che le lobby non si possono tenere fuori dalla porta, illudendosi che questo valga a ridurre i fenomeni di corruzione e di malaffare.
«Al contrario, l’apertura del processo legislativo agli interessi organizzati e la regolamentazione della loro attività può rendere riconoscibile il lobbista, permettere la verifica della sua serietà professionale (oltre che della fedina penale) ed attivare nei suoi confronti un controllo giuridico, oltre che sociale, da parte dell’opinione pubblica.
«Per questo, conclusivamente, le lobby non vanno demonizzate, ma al contrario, pienamente inserite nel circuito democratico.»
 
Come si evince dalle risposte del prof. Scaccia la missione principale delle lobby è avvicinare la politica a gruppi di cittadini e professionisti e l'esempio riguardante i medici ci ha portato a chiedere al dottor Matteo Bertelli, presidente di MAGI Euregio S.c.s. e consigliere nazionale di Federazione Sanità-Confcooperative, quali potrebbero essere i benefici delle lobby per promuovere gli interessi nelle sedi istituzionali nel settore sanitario.
«Mi occupo da anni del problema dei malati affetti da malattie genetiche e rare – ci spiega il dott. Bertelli – e sono arrivato alla conclusione che per poter ottenere qualche beneficio sia necessario operare dentro il sistema. Per questo mi sono candidato e sono stato eletto come consigliere nazionale di Federazione Sanità-Confcooperative.
«Anche questa rappresentanza di categorie potremmo definirla come una lobby, in quanto cerca di promuovere nelle sedi istituzionali gli interessi dei ricercatori, degli operatori sanitari e soprattutto l’interesse dei malati.
«In questa mia attività ho svolto una faticosissima opera di coordinamento fra le persone coinvolte nei progetti di volta in volta avviati, e ho perso ore preziose anche semplicemente per concordare incontri e colloqui con funzionari ministeriali o sottosegretari.
«IL lavoro sarebbe stato enormemente più spedito se ad occuparsi di questo fosse stata una società di lobbying, lasciandomi la possibilità di dedicarmi esclusivamente ai profili tecnico/scientifici.
«Per questo, avendone avuto esperienza diretta, sono totalmente favorevole all’entrata in vigore al regolamento delle lobby in Italia, perché ritengo che renderà più semplice, trasparente ed efficace tutto il lavoro che si svolge per ottenere il riconoscimento giuridico del lavoro di ricerca (ad esempio per il riconoscimento di un farmaco.»
 
Nadia Clementi - nadia.clementi@ladigetto.it
 
prof. Avv. Gino Scaccia - info: www.ginoscaccia.it

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande