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Storie di donne, letteratura di genere/ 546 – Di Luciana Grillo

Annamaria Guagliardi, «Ricordo canzoni nel sole estivo» – Un romanzo molto denso, costato ricerche e fatiche all’autrice che ha voluto chiudere i conti col passato

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Titolo: Ricordo canzoni nel sole estivo
Autrice: Annamaria Guagliardi
 
Editore: Gruppo Albatros Il Filo, 2024
Genere: Letteratura femminile contemporanea
 
Pagine: 250. Brossura
Prezzo di copertina: € 16.50
 
La collana Nuove Voci delle Edizioni Albatros è introdotta da una colta prefazione di Barbara Alberti che, tra l’altro, scrive: «Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti…» e cade a fagiolo con questo romanzo, opera prima di Annamaria Guagliardo, che racconta la storia della sua famiglia, ci fa conoscere i genitori quando erano giovani sposi, ci presenta nonni, zii e cugini.
Una grande famiglia che vive in Calabria e parla «arberesh», perché appartiene alla comunità albanese dalle antiche tradizioni che si tramandano di generazione in generazione.
La coppia di sposi si allontana dal paese per raggiungere Napoli, è il settembre 1959: la sposina non ha mai lasciato né il paese, né la famiglia, è pronta ad essere una buona moglie, un’attenta padrona di casa, una mamma laboriosa.
 
Nei ricordi della figlia, il papà aveva una passione per le scarpe, fumava anche a letto, qualche vola scherzava con lei.
Non erano genitori che coccolavano la bimba, «sono stati avari di complimenti, ritenevano che studiare fosse un mio dovere, mi hanno insegnato il sacrificio, mai il piacere dopo il sacrificio», l’hanno educata secondo una disciplina rigida, hanno comprato tanti libri per lei, ne hanno fatto una ragazzina studiosa, disciplinata, obbediente, che vedeva gli abiti delle sue compagne di scuola e li confrontava con i suoi, cuciti dalla mamma e lontani da ogni moda. Ma non si lamentava, rimaneva in silenzio.
Il papà era intransigente, col tempo diventato sempre più duro, sia con la moglie che con la figlia e ha iniziato a bere.
Di sera, le intimoriva e le spaventava gridando insulti e minacce contro di loro.
 
La figlia d’estate andava in paese e «a casa dei nonni, senza mio padre, le giornate passavano serene, sempre con qualcosa di bello da fare», c’erano le compere con la nonna, l’asinello su cui montare, gli animali a cui badare.
Gli anni passano, arriva il primo amore, ma «mia madre non fu mia complice; aveva subito informato mio padre della novità, forse per evitare il peso di responsabilità che non sapeva gestire o forse per non subire maltrattamenti (oltre quelli quotidiani…) nel caso lui avesse scoperto la verità che gli era stata tenuta nascosta».
A questa descrizione di fatti e sentimenti, l’autrice aggiunge altri «strati», e il romanzo, come una scatola cinese, diventa la narrazione di quegli anni: c’è la storia di Napoli e dei suoi quartieri, ci sono le strade e il perché dei loro nomi, ci sono le canzoni, le chiese, i monasteri, i vicoli, i palazzi, i musei, le opere di Eduardo e così via; c’è la storia degli albanesi che arrivarono nel sud «in fuga dalla loro patria invasa dai Turchi all’indomani della morte dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Scandenberg», delle architetture veneziane nei paesi dell’Adriatico orientale, dell’emigrazione, della cucina, delle feste religiose.
 
E poi, leggiamo ciò che accadde in Italia, raccontato sempre con puntualità, dall’omicidio di Milena Sutter al colera che si sviluppò nel 1973 a Napoli, dai miniassegni alla crisi petrolifera, dal massacro del Circeo – di cui Guagliardo fa un resoconto preciso seguendo la vita dei tre assassini – ai disastri della funivia di Cavalese, 1976 e 1998, dal terremoto in Friuli e in Campania/Basilicata agli anni di piombo e ai tre Papi del 1978.
E potrei continuare, con i Beatles, Franca Viola e Alfredino Rampi, Chernobyl e piazza Tienanmen, il muro di Berlino e i referendum del 2011, le vicende dei nuovi sbarchi degli albanesi…
 
La ragazzina intanto è cresciuta, ha frequentato – non per sua scelta – il Liceo Classico e l’Università (e descrive ampiamente la «Federico II»), si innamora, trova la forza di ribellarsi e di andare in vacanza con il suo ragazzo, senza un soldo in tasca perché i genitori non le lasciavano la possibilità di amministrare una qualche paghetta.
Si laurea, accede a un Dottorato, frequenta un maneggio, viaggia per lavoro e per studio e infine, nell’estate del 1991 torna al paese, finalmente in pace con sé e con i suoi.

Un romanzo molto denso, dunque, costato ricerche e fatiche all’autrice che ha voluto, probabilmente con questa “summa", chiudere i conti con il passato.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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