Home | Rubriche | Letteratura di genere | Storie di donne, letteratura di genere/ 497 – Di Luciana Grillo

Storie di donne, letteratura di genere/ 497 – Di Luciana Grillo

Dolores Prato, «Educandato» – Un documento di come le suore si occupavano delle bambine che non avevano famiglia o non erano di buona famiglia

image

Titolo: Educandato
Autrice: Dolores Prato
 
Curatrice: Elena Frontaloni
Editore: Quodlibet, 2023
 
Pagine: 266, illustrato. Brossura
Prezzo di copertina: € 18
 
Dolores Prato è nata nel 1892 a Roma. Figlia di una madre vedova, a tre anni fu affidata agli zii, a tredici entrò in un educandato, dove rimase per sei anni che la segnarono profondamente. Infatti, anni dopo, insegnante e giornalista affermata, afferma: «Il disastro vero lo fece il collegio. Su quello io sparerò».
Ha «sparato», ha scritto con rigore e ironia, ha descritto situazioni e atteggiamenti, ma non ha pubblicato nulla.
 
Dopo la sua morte, furono ritrovate le pagine che solo nel 2023 vedono la luce:
«Educandato» è un libro che si legge volentieri, scorrevole e aspro, straordinaria fotografia di un educandato che, nei primi anni del ’900, vuole educare giovani donne: Dolores descrive gli ambienti, indica le parole indicibili: «Alle Comunali per andare al cesso si alzava il braccio mostrando due dita alla maestra che diceva di sì con la testa. In collegio ci si avvicinava alla Madrina sussurrandole Vado in quel posto che se era in piccolo bastava così, se era in grande lo si specificava per giustificare in anticipo la più lunga sosta» e racconta il passare del tempo misurato dalle clessidre: «c’era la clessidra da 8, da 10, da più minuti; da 5, da 2, da un minuto, anche così piccole filavano l’eternità».
 
Dolores ha nostalgia delle parole «limpide e profumate» che circolavano in paese, «abbonora» per esempio: «Abbonora era alzarsi la mattina prima che la luce tutta si spalancasse, era il fornaio che sotto alle finestre di chi s’era prenotato per la cottura del pane gridava che era l’ora d’impastare. Era partire per Loreto con la carrozza a due cavalli; era l’Angelus della mattina… era il suono della prima Messa; abbonora era la purificazione che diventava giorno. Abbonora era bello perché avveniva tanto di rado».
 
La Madrina era la badessa, la direttrice, insomma «era tutto: amministratrice generale, economa, esaminatrice delle pretendenti, maestra delle novizie; compilava e faceva stampare le farraginose circolari che si dovevano mandare a ogni monastero visitandino; corrispondeva con l’arcivescovo e con la Santa Sede; teneva le pubbliche relazioni col mondo; fittissime quelle con le famiglie delle collegiali…padrona di tutto, sovrana incontrastata di muri e di persone, da alcuni ricercata come si cerca l’aria quando manca, da altri sopportata come nell’impossibilità di liberarsene si sopportano le pulci…».
 
Dolores va avanti, descrive giornate che non passavano mai, preghiere e Messe da ascoltare, lunghi corridoi da percorrere, la suor Chiara di Fabriano «un po’ mummificata…Se le avessi accarezzato le guance forse avrei sentito la stessa ruvidezza d’un tipo della sua carta», suor Vittoria la portinaia che «scura di pelle si aggirava, strascicando i piedi per pigrizia, in quel reparto di ombre bucate dalla portineria» e stigmatizza il concetto assai diffuso fra le suore che «erano convinte di essere tanto impegnate solamente loro, la gente di fuori poteva aspettare, la gente di fuori non aveva niente da fare».
 
Dolores si sente discriminata, attende tanto prima che le sia consegnata la croce d’argento che le altre portavano sul vestito nero con cintura azzurra («significava essere figlia di Maria») e collettino ancien régime e rimpiange la zia, «adoratrice e divulgatrice delle mode per cui i migliori figurini erano i suoi; sempre abbonata alla più chic rivista di moda…» e così via.
Sofferenza, emarginazione, obblighi non condivisi, due amiche romagnole, Olga e Antonietta, e le sorelle Pichi marchigiane, Giannina – segretaria della Madrina – e «io organizzatrice, serva e facchina, ma senza onore», lo zio Zizì «che era scomparso il giorno che io uscii di casa per entrare in collegio», la zia che andava a trovarla di giovedì o domenica, lo zio di cui riconobbe la voce durante una Messa e che rivide finalmente durante una breve vacanza: questa è la vita di Dolores, condannata ad una sorta di solitudine in collegio, «ma in casa la solitudine non mi pesava affatto, l’essere sola era libertà».
 
È interessante la descrizione dei riti natalizi e pasquali, di quelli relativi ad alcuni santi come san Michele, santa Teresa, san Luca e dell’atto educativo conclusivo dedicato alle collegiali più titolate, «l’écran», poi il bulino, il punto fiamma.
E qui si chiude la testimonianza critica di anni vissuti nell’attesa di uscire dalla «gabbia».

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande