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Storie di donne, letteratura di genere/ 479 – Di Luciana Grillo

Annarosa Mattei, «Sogno notturno a Roma (1871 - 2021)» – In questo magnifico libro ci sono la conoscenza profonda del passato e l’amore profondo per la città eterna

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Titolo: Sogno notturno a Roma (1871-2021)
Autrice: Annarosa Mattei
 
Editore: La Lepre Edizioni, 2021
Note: Libro candidato al Premio Strega 2022
 
Pagine: 366, Brossura
Prezzo di copertina: € 20
 
Quando un libro piace molto, è più difficile secondo me scrivere la recensione; mi sembra di non saper comunicare il mio entusiasmo, temo di dimenticare qualcosa, insomma – da recensionista – sono molto coinvolta.
È il caso di questo Sogno notturno a Roma, che ho letto e riletto, prendendo appunti, sottolineando alcuni periodi: non è infatti un romanzo, non c’è una storia da capire e seguire, c’è Roma, con le sue strade, i suoi Papi, le famiglie nobili, le tante chiese, i numerosi interventi edilizi che nei secoli l’hanno più volte modificata, alterandone almeno in parte la struttura.
 
I protagonisti principali sono Gaia, Gregorio e Leopoldo, che attraversano la città dandone una visione onirica… accanto a loro - umani, viventi, o gabbiani… - ci sono i grandi viaggiatori, Goethe «con i suoi piedi sinistri», Keats, Shelley, gli archeologi come Boni e Ricci, l’architetto dei giardini De Vico; ci sono i progetti di «devastazione» dei piemontesi e degli urbanisti del ventennio, tutti desiderosi di esaltare il presente distruggendo il passato, di sovrapporre alla Roma antica e alla Roma papale la terza Roma.
«Come potevano capire, costoro, tanta disordinata bellezza? Le stradine, le piazze, i palazzi principeschi mescolati alle case popolari, alle botteghe, alle magnifiche ville, agli orti e ai giardini che entravano in città…».
 
I piemontesi vollero isolare il Campidoglio, «rivestirlo di marmi e fare in modo che cambiasse aspetto e parlasse un’altra lingua. Il nuovo monumento doveva occupare il colle interamente, cambiarne i connotati, perché diventasse l’emblema dello stato laico e unitario, in segno di discontinuità sia con la Roma dei Papi sia con la sua municipalità conservatrice e cattolica».
Dopo l’Unità d’Italia, antichi palazzi furono venduti, altri e con loro chiese, conventi, chiostri, furono espropriati, «la celebrazione dell’Italia unita nella sua nuova capitale passava attraverso distruzioni e riedificazioni…».
 
E i turisti, che Gaia incontrava ogni giorno, «erano in grado di vedere solo il Vittoriano. Come se intorno non ci fosse nient’altro. Poteva dirsi perfettamente riuscito il progetto piemontese di un monumento imponente che avrebbe concentrato l’attenzione dei visitatori sul simbolo della nuova Roma sminuendo l’immagine della città barocca dei Papi…».
Gaia ripensa a chi aveva combattuto per Roma, a chi aveva sperato in una repubblica, a chi aveva creduto negli italiani che non erano da fare perché «c’erano…almeno dall’epoca di Dante e di Boccaccio, se non addirittura dall’età di Federico II, come fece intendere un fiero intellettuale di Napoli, incaricato di ricoprire il ministero più importante e negletto di ogni tempo, ora come allora. Francesco De Sanctis… accettò di fare il ministro della Pubblica Istruzione del nuovo Regno d’Italia… la sua Storia della letteratura italiana racconta, come fosse un romanzo, di una identità italiana linguistica e letteraria antica e profonda… Gli italiani esistevano da secoli… andavano soprattutto ben governati…».
 
E Roma, «capitale di un giornalismo fondamentalmente di tipo letterario» ospitò intellettuali come Michetti e Scarfoglio, Matilde Serao, D’Annunzio e Pirandello, Luigi Capuana e Giovanni Faldella, per citarne solo alcuni.
Intanto Gregorio cammina e racconta… «Via dei Fori Imperiali oggi… è di fatto una cesura, una discontinuità, un vuoto, come il tracciato di una lama all’interno di un tessuto urbanistico divenuto distante e remoto», ricorda l’inaugurazione della Via dell’Impero voluta da Mussolini a cavallo e in uniforme militare, «concepita e progettata secondo un’idea urbanistica dalla forte impronta politica e celebrativa, del tutto simile a quella che aveva guidato i piemontesi nella costruzione del Vittoriano e nell’ampliamento scenografico di piazza Venezia».
 
Su queste pietre, sulle memorie di un tempo lontano, risuonano i versi di Orazio: «Ibam forte via Sacra, sicut meus est mos, nescio quid meditans nugarum, totus in illis…» mentre sciamano fiumane scomposte di turisti che nulla sanno di Orazio e del disturbatore.
In questo magnifico libro c’è molto di più di quanto io sia riuscita a scrivere, c’è la conoscenza profonda del passato, il rispetto per pietre case chiese e muri, la frequentazione assidua di vie, piazze e colli e soprattutto l’amore profondo per la città eterna.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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