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Il cammino di Assisi/ 2ª puntata – Di Elena Casagrande

Le montagne e le foreste che si attraversano impegnano duramente i pellegrini, ma l’accoglienza e l’esperienza delle genti di queste terre spronano a continuare

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Una bella farfalla lungo il fiume Rabbi.
(Link alla puntata precedente)

 
 Salire ed attraversare queste montagne spezza il fiato  
Sono le 8 quando lasciamo Premilcuore dal caffè-bar La Rosa del Rabbi. Il primo tratto di cammino verso Cà Ridolla è piacevole. Lungo il fiume ci accompagna un carosello di farfalle arancioni che svolazzano tutt’intorno festanti, attirate o dal colore delle nostre camicette o dai ciuffi rosa dell’epilobio. Dopo il ponte in pietra, però, le cose cambiano. Il sentiero inizia ad inerpicarsi bruscamente.
Al primo rudere incontriamo Renzo. E' seduto e tira il fiato. Guarda a terra. Reidun ci saluta in spagnolo. Ci fermiamo un attimo.
«Come va?» – chiediamo.
Renzo mi fa: «Non pensavo fosse così duro!»
«Vero!» –Rispondiamo all’unisono.
La danese, invece, taglia corto. «Preferisco proseguire e non parlare».
E lascia lì, accasciato su un sasso, il povero Renzo. «A posto! Proseguiamo.»
La superiamo quasi subito. Evidentemente deve aver parlato la frustrazione: lei ce la fa, lui no. Chissà come risolveranno!
 

Il raggio di luce davanti a Cà Montemerli.
 
 A Corniolo è ancora vivo il ricordo della brigata partigiana  
Manca l’aria e c’è molta umidità. Nel mezzo di una selva di tronchi marroni, proprio davanti al rudere di Cà Montemerli, un raggio di luce inaspettato trafigge un’oscurità appiccicosa.
Sembra quasi un segno. Poco dopo, infatti, ecco la pista forestale di Monte Fratta, il sole e ancora farfalle… tante farfalle. Teo si ferma un po’ per fotografarle.
C’è una pace meravigliosa. Unico segnale di civiltà è un tetto in lamiera verde che sbuca tra gli alberi: il rifugio (chiuso) della Fratta. Di nuovo bosco e finalmente siamo a Valpisella.

La casa dei partigiani dell’ANPI, ogni anno, ricorda qui l’ultima guerra, con la «pastasciutta antifascista».
La vista si apre su un bel prato verde, che preannuncia la discesa per Corniolo.
Chiamiamo Leonardo, l’hospitalero, per farci aprire l’ostello.
Ci raggiunge sorridente e ci dà valide informazioni per la tappa di domani. Il rifugio, ricavato da una ex stalla in pietra, è ben attrezzato.
Ha anche la cucina, ma non mi metterò ai fornelli: non posso perdermi la gastronomia del luogo.
 

Il prato di Valpisella.
 
 I parrocchiani di Sant’Arcangelo di Romagna ci festeggiano in Chiesa  
Alla Chiesa di San Pietro, che ci meraviglia per la sua maestosità (in un paesino di così poche anime), incontriamo un gruppo parrocchiale di Sant’Arcangelo di Romagna. Il sacerdote che lo accompagna ci chiede di dire due parole sull’esperienza del pellegrinaggio. Veniamo chiamati all’ambone dopo la predica.
Teo chiede una preghiera per noi: è il 28 agosto e ricorre il nostro anniversario di nozze.
«Sapete, ci siamo sposati a Santiago di Compostela, dopo un cammino!»

Tutti applaudono. Bello!
Al ristorante di Gigino, che sforna schiacciatine a volontà dal suo forno a legna, cenano anche Renzo e Reidun.
Salutano a stento e sono tesi. Gigino, porgendoci della fagiolata e della pasta pasticciata con salsiccia, bisbiglia all’orecchio di Teo:
«Sono cotti. Smettono qui… Peccato basterebbe prenderla con calma, senza strafare.»
 

Corniolo e la sua Chiesa di San Pietro.
 
 Clementina racconta la vita in queste foreste nel secolo scorso  
Tornando all’ostello incontriamo una signora anziana su una panchina, vicino all’oratorio della Madonna della Crocetta. Si chiama Clementina: è la mamma di Leonardo.
Ci apre la piccola chiesetta e poi si ferma con noi. Racconta del marito che, a 8 anni, intento a raccogliere legna nei boschi, perse la vista ad un occhio, a causa di una scheggia di legno.
A nulla valse il viaggio, a piedi fino a Stia e in bus fino a Firenze, per cercare di salvarglielo.

La vista all’occhio buono la perse, invece, a 44 anni, in una ditta di bruciatori dove era andato a lavorare, a Cattolica, dopo una vita da boscaiolo e carbonaio.
La cattiva gestione politica delle foreste casentinesi lasciò molti del posto senza lavoro, per cui anche il marito se ne dovette andare.
Clementina si commuove. Con semplicità testimonia la bellezza del matrimonio ed il fatto che lo faccia oggi, che è il nostro anniversario, sembra proprio un regalo del cammino.
 

Davanti all’Hotel Granduca a Campigna.
 
 Da qui, nel 1910, passò il poeta Dino Campana nel suo pellegrinaggio alla Verna  
Il forno-latteria di Corniolo è aperto. Compero piadine dolci e pane all’anice da mettere nello zaino. Meglio essere previdenti.
A Sant’Agostino incontriamo un gruppo di scout. I ragazzi ci mostrano il mulino e la chiesetta. Poi riprendiamo per Campigna.
All’Hotel Granduca gli ospiti sono già sdraiati a bordo piscina. Noi ci beviamo un caffè.
Visitiamo il viale dei Tigli, dedicato a Dino Campana e ai suoi Canti Orfici.
Nel suo pellegrinaggio da Marradi alla Verna scrisse dei poemi dedicati a queste località.

Chiediamo informazioni sulla Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino (Patrimonio Unesco dal 2017).
Lì è tutto lasciato come e dove si trova e l’uomo non può entrare, per non alterare il corso della natura. La costeggeremo senza «sconfinare».
Da una ripida strada lastricata nella foresta arriviamo poco dopo al Passo della Calla. I motociclisti stanno facendo una pausa. Noi la faremo a Poggio Scali. La vista, lassù, lascia a bocca aperta.
Pranziamo al Poggio, con i nostri dolcetti. Ancora 10 km e saremo all’Eremo di Camaldoli, giusto in tempo per l’inizio delle visite del pomeriggio.
 

La salita verso Poggio Scali.
 
 All’Eremo di Camaldoli attendo l’apertura davanti alla Porta Speciosa  
All’ingresso del Sacro Eremo mi sorprende la Porta Speciosa (porta bella). È una recente opera dello scultore Claudio Parmiggiani. C’è un albero scavato, una pietra tombale, un altro albero, un gufo (simbolo dei monaci), un teschio (che un po’ mi inquieta), un uovo ed una campanella. Col suo simbolismo traduce in bronzo, salmi biblici e testi del priore Rodolfo: «Quando avrai posseduto questi alberi della vita solitaria, subito arriverai alla perfezione dell’amore».
Il posto più emozionante, per me, resta la cella di San Romualdo, che fondò l’Eremo nel 1012.
Bella la Chiesa coi simboli dell’ordine camaldolese (il calice, le due colombe e la stella cometa) e serena l’aria di quiete che si respira, nonostante turisti e pellegrini.
Nel negozietto interno acquisto sapone e preparati a base d’erbe, prodotti dai monaci. Da qui manca ancora un’oretta al paese di Camaldoli.
 

Davanti all’ingresso dell’Eremo di Camaldoli.
 
 Nel cuore verde dell’Italia capita anche di ricordare New York City  
In paese, dove arriviamo quasi correndo, entro subito nell’antica farmacia del Monastero, prima che chiuda. Sono da sempre affascinata dai vasi in ceramica degli speziali.
Ma qui c’è molto di più: ricettari, mortai, un torchio, gli alambicchi. Vorrei soffermarmi, ma Teo mi richiama al dovere.
Dopo Camaldoli ci aspettano, al Rifugio Forestale, gli ospitalieri Santina e Nicola da Palermo.
«Ma dov’è questo benedetto rifugio? – Domando a Teo. – È una tortura, sembra di salire in corda doppia!»
Lui mi rassicura: «Aspetta, è lassù. Dai».

Una fila di sassi colorati indica la porta. Sono tutti felici di vederci arrivare. C’è anche Alberto da Susa, che da domani sarà il nuovo volontario.
Santina, per la sua ultima cena qui, ha preparato della pastasciutta e, come secondo, delle fantastiche melanzane alla parmigiana.
Parlando e condividendo esperienze di vita veniamo a sapere che Nicola è uno scultore e che ha collaborato con il mitico Arturo di Modica all’installazione del «Charging Bull» a New York.
«Ma pensa un po’ che incontri si fanno sul cammino!», – esclamo, piena di ammirazione.
 

Accanto al Toro di Wall Street a New York City.
 
 La zona, nel Medioevo, brulicava di abbazie, monasteri e ricoveri per pellegrini  
Si torna sul Cammino seguendo il sentiero per il Rifugio Catozzo.
Da lì si apre un altopiano popolato da felci, ciclamini e qualche fungo. Incontriamo anche qualche escursionista diretto al Sacro Eremo, seguendo i segnali del Cammino Camaldolese di San Benedetto.
A Badia Prataglia (qui nel 1008 sorse un’Abbazia) la Chiesa e la sua cripta del IX secolo sono aperte.
Mi soffermo sui capitelli e sull’incisione di un piccolo uomo con le braccia alzate, a cercare l’aiuto divino.

Dicono sia di epoca longobarda. C’è pure il prete, che ci fa fare la Comunione.
In lontananza stanno facendo le prove per il concerto di Beethoven di stasera. Per pranzo troviamo un tavolo al ristorante La Foresta.
All’aperto, così sentiamo la musica.
Non ci risparmiamo: bruschette miste toscane, agnolotti ai funghi e cinghiale in umido.
Stasera, a Biforco, non ci sarà nulla, tranne il circolo culturale gestito da Fiorella, con un piccolo bar e qualche genere di prima necessità. Meglio approfittarne a Badia.

Elena Casagrande
 
(La 3ª puntata del Cammino di Assisi sarà pubblicata mercoledì 12 aprile 2023)
 
Segnali del Cammino Camaldolese di San Benedetto.

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