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Grande Guerra, cent’anni fa l’Italia dichiarava guerra alla Germania

Le ragioni che fecero ritardare la dichiarazione e quelle che invece la imposero

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Il Kaiser Guglielmo II e Re Vittorio Emanuele III.
 
Cent’anni fa il Regno d’Italia dichiarava guerra all’Impero di Germania.
Molti forse si domanderanno per quale motivo l’entrata in guerra con il Reich non coincise con la dichiarazione di guerra all’impero Austro Ungarico avvenuta il 23 maggio 2015, per cui forse è bene ricostruire le circostanze.
Va precisato che la dichiarazione di guerra all’Impero Ottomano (alleato di Vienna e Berlino) era avvenuta il 21 agosto 2015, cioè quasi tre mesi dopo l’entrata in guerra. L’Italia voleva solo Trento e Trieste, ma i Turchi continuavano a fomentare ribellioni presso le tribù nella colonia italiana di Libia, strappata a loro pochi anni prima. Ai turchi faceva comodo non avere una dichiarazione vera e propria, tanto vero che anche con la Russia - un anno prima - avevano attivato attacchi alle basi della marina dello zar nel Mar Nero godendo della sorpresa dovuta alla mancanza dello stato di guerra. Oggi farebbero tutti così, allora era un atto di pirateria.
L’Italia non aveva la possibilità di inviare truppe in Libia, essendo totalmente impegnata con l’Austria, per cui la colonia non era in grado di sostenere uno stato di guerriglia e aveva ritirato le proprie truppe sulla costa. Una dichiarazione di guerra invece consentiva, ad esempio, di affondare navi e attaccare convogli che portavano aiuti ai ribelli. Le armi e le munizioni, va da sé, erano di produzione tedesca.
Ma con la Germania era diverso. Anzitutto Italia e Germania avevano maturato un’amicizia piuttosto solida, a partire dalla Terza Guerra d’Indipendenza prima e alla Triplice Alleanza poi. Gli scambi commerciali erano di tutto rispetto e già allora erano gli emigranti italiani che andavano a lavorare nel Reich erano numerosi.
Ma, soprattutto, a impedire lo scoppio della guerra c’era una terza motivazione, la più importante. Dopo l’attentato di Sarajevo, le dichiarazioni di guerra erano scattate quasi automaticamente tra gli alleati di entrambe le parti. Le potenze europee erano certe di vincere la guerra in pochi mesi. Ma già nel 1915 era chiaro a tutti che la guerra sarebbe durata ben oltre ogni pessimistica previsione.
Per questo la Germania se ne guardò bene di dichiarare guerra all’Italia l’indomani del 23 maggio 1915, come aveva fatto invece con Russia e Francia. L’Italia non confinava direttamente con il Reich e i tedeschi sapevano che la guerra non sarebbe stata vinta in Val Padana.
È vero che il Kaiser aiutava l’Impero Austro Ungarico come già faceva con la Turchia, ma senza entrare in presa diretta. Ad esempio, quando Conrad attivò la Stafexpedition sugli altipiani del Trentino, Berlino aveva inviato dei battaglioni di stanza in Alto Adige, non fosse mai stato bisogno di dare una mano a Vienna. Ma nessun impegno ufficiale. Già aiutare gli austro ungarici contro i Russi costava ai tedeschi prezzi altissimi.
 

Bersaglieri in Libia.
 
Questo non toglie che i rapporti tra Roma e Berlino fossero tesi e in stato praticamente bellico.
Alla luce della dichiarazione di guerra dell’Italia all’impero Austro Ungarico, i diplomatici tedeschi avevano ritirato le proprie delegazioni da Roma e da Milano. Tutto poteva limitarsi a questo gesto ufficiale, ma purtroppo i rapporti tra nazioni non sono mai così semplici. La rottura diplomatica generò automaticamente mille problematiche e implicazioni di ogni genere che col tempo peggiorarono pesantemente.
A mezzo luglio 2016, il Dipartimento germanico degli Affari Esteri informava il nostro Governo, per mezzo del Governo svizzero, di aver sospeso i pagamenti delle pensioni operaie dovute a cittadini italiani.
Contemporaneamente, per desiderio espresso dallo stesso Dipartimento, le banche tedesche furono invitate a non eseguire pagamenti ai creditori italiani, trattandoli alla tregua dei cittadini di stato nemico.
Inoltre il generale von Bissing, governatore tedesco nel Belgio, proibiva per decreto agli Italiani mobilitati o mobilizzabili di uscire dal territorio belga e li sottoponeva a rigorosa sorveglianza.
In seguito alla sospensione dei pagamenti delle pensioni da parte dalle banche germaniche, il Governo italiano aveva disposto che venisse provveduto senza interruzione ai pagamenti delle pensioni e delle rendite dovute dagli Istituti assicuratori germanici agli operai italiani e alle loro famiglie. E il 13 luglio emanò un decreto con il quale si estendevano ai sudditi degli Stati nemici, o alleati degli Stati nemici, le disposizioni adottate contro l'Austria il 24 giugno 1915.
In conseguenza di queste disposizioni, si vietavano tutti i passaggi di proprietà e di beni mobiliari e immobiliari appartenenti a sudditi germanici, e si proibiva a questi di istituire azioni giudiziarie in Italia. Si concedeva, per rappresaglia, facoltà si sequestrare ì beni dei cittadini tedeschi e si decretava il divieto di pagamento o dell'esecuzione di qualsiasi obbligazione e la sorveglianza delle imprese e aziende commerciali germaniche.
 
 
Paolo Boselli e Walter Runciman.
 
Intanto, da più parti, il Governo era sollecitato affinché dichiarasse la guerra alla Germania. In primis i socialisti, che avevano sofferto l’impiccagione di Cesare Battisti. Qualcuno aveva invitato il ministero della Guerra a preparare un corpo di spedizione da inviare in Francia.
Il 30 luglio, commemorandosi a Genova proprio Battisti, l'on. Bossi, presidente della lega antitedesca, presentava tra gli applausi del pubblico un ordine del giorno da inviarsi al Governo, nel quale si chiedeva l’internamento degli austrotedeschi residenti ancora nel regno, il sequestro dei beni appartenenti agli austro-tedeschi con effetto retroattivo fino al 4 agosto 1914, il sequestro completo dei brevetti tedeschi e anche di quelli di quei cittadini italiani che fungevano da prestanome, rottura di tutte le relazioni commerciali e finanziarie con la Germania e, infime, guerra alla Germania con l’invio, appunto, di soldati italiani sul fronte francese.
Il 7 agosto si tenne al teatro Carcano di Milano un comizio per caldeggiare l'estensione della guerra alla Germania e, fra gli applausi del numeroso uditorio, parlarono i sostenitori dell’intervento.
L'8 agosto, l'Italia denunciava il trattato doganale e di navigazione tedesco-italiano e dava facoltà al Governo italiano di mettere sotto controllo - ed eventualmente sequestrare e liquidare - le aziende i cui capitali appartenevano in totalità o in prevalenza a sudditi di stati nemici o di alleati di stati nemici.
Quel giorno stesso giungevano a Pallanza il ministro inglese del Commercio Walter Runcimann, sir J. Rennel Rod, ambasciatore d'Inghilterra, il ministro Giuseppe De Nava, il generale Dallolio, l'on. Arlotta e alcuni alti funzionari di vari ministeri, per discutere sugli accordi finanziari, economici e commerciali.
Il convegno durò dal 9 all'11, proprio nei giorni in cui Cadorna entrava a Gorizia. E il 12, il Runcimann disse, fra l'altro, a proposito del rifornimento di carbone, che «il popolo britannico avrebbe sofferto serenamente affinché quello italiano potesse essere provvisto del carbone che non arrivava più dalla Germania».
In sostanza però l'accordo rappresentò una delusione per l'Italia, la quale per la imminente rottura con la Germania e per la recentissima vittoria di Gorizia, si aspettava molto di più dall'Inghilterra.
Ci si avviava insomma alla rottura con la Germania, come mostravano chiarissimi indizi fra i quali la confisca del palazzo Venezia (26 agosto), appartenente all'Austria e già sede degli ambasciatori austro-ungarici presso il Vaticano, e il Quirinale, palazzo che per interessamento della Germania, non si era fino allora voluto sottrarre all'Austria.
Due giorni dopo il ministro degli Esteri, a mezzo dell'ambasciatore a Berna, faceva rimettere al Governo Federale Svizzero la seguente comunicazione:
 

 
«Gli atti di ostilità da parte del Governo germanico verso l'Italia si succedono sempre più frequenti. Basti accennare alle numerose persistenti prestazioni di armi e di strumenti bellici di terra e di mare fatte dalla Germania all'Austria-Ungheria; alla partecipazione costante di ufficiali, soldati e marinai germanici nelle varie operazioni di guerra contro l'Italia.
«Solamente grazie all'assistenza prodigata dalla Germania sotto le forme più diverse l'Austria-Ungheria poté recentemente concentrare il suo massimo sforzo contro l'Italia. Si aggiungano: la riconsegna fatta dal Governo germanico al nostro nemico dei prigionieri italiani evasi dai campi di concentramento austro-germanici e rifugiatisi in territorio tedesco; l'invito diramato agli istituti di credito ed ai banchieri tedeschi, per iniziativa del Dipartimento imperiale degli Affari Esteri, di considerare ogni cittadino italiano come uno straniero nemico, sospendendo ogni pagamento dovutogli; la sospensione del pagamento agli operai italiani delle pensioni dovute in seguito a formale disposizione della legge germanica.
«Sono questi altrettanti elementi rivelatori delle reali disposizioni sistematicamente ostili che animano il Governo imperiale verso l'Italia.
«Non è ulteriormente tollerabile da parte del Regio Governo un tale stato di cose che aggrava a tutto danno dell'Italia quel profondo contrasto tra la situazione di fatto e la situazione di diritto già risultante dall'alleanza dell'Italia o della Germania con due gruppi di Stati in guerra fra loro.
«Per le ragioni più sopra enunciate il Governo italiano dichiara, in nome di S. M. il Re, che l'Italia si considera, a partire dal 28 corrente, in stato di guerra con la Germania e prega il Governo Federale Svizzero di voler portare quanto precede, a conoscenza del Governo imperiale Germanico.»
 
L’Italia era entrata in guerra con l’Impero tedesco. Il che non era una cosa da poco, perché da quel momento i mari della Penisola non furono più tranquilli e gli aiuti agli stati nemici belligeranti si fecero sentire.
La Germania continuava a pensare che la guerra non sarebbe stata vinta in Val Padana, finché non dovette aiutare l’Austria Ungheria boccheggiante sul Carso. Senza i tedeschi, la 12ª Battaglia dell’Isonzo non sarebbe passata alla storia come la Disfatta di Caporetto.
 
G. de Mozzi.
(Precedenti)

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