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«BioDiversitArt», la pittura naturalistica di Maurizio Boscheri

Inaugurata venerdì 13 giugno al MUSE Museo delle Scienze di Trento la mostra che resterà aperta fino al 7 settembre 2014

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L’artista Maurizio Boscheri espone una cinquantina di opere, olii su tela, mix-media e retouchés, al MUSE - Museo delle Scienze di Trento, in un percorso che racconta in modo molto efficace la biodiversità del nostro meraviglioso pianeta dal punto di vista estetico e scientifico.
La mostra, a cura di Mario Liberali e Osvaldo Negra (curatore della mostra per la parte naturalistica), è stata inaugurata venerdì 13 giugno e si protrarrà fino al 7 settembre 2014 presso il museo progettato da Renzo Piano, il cui direttore è Michele Lanzinger, supervisore generale dell’evento.
Come ha sottolineato dopo i saluti e i ringraziamenti lo stesso direttore del MUSE, nel suo discorso di apertura, sarebbe interessante cogliere perché il museo, che eminentemente si rivolge alla dimensione naturalistica o addirittura scientifico-tecnologica, decida di ospitare delle forme che dichiaratamente sono d’arte.
Lanzinger a questo proposito ha spiegato che «l’arte (e la percezione artistica) è uno dei migliori modi di guardare al nostro intorno. Se la scienza è fatta per comprendere come funzionano le cose, l’arte è uno dei migliori modi per comprenderne le relazioni più diverse e profonde, quelle che si muovono su orizzonti non formali, a volte psicologici, a volte emozionali.» (il suo pensiero è contenuto nella prefazione del libro edito in occasione della mostra).  
 

 
Ha poi proseguito dicendo che «l’esperienza culturale e artistica è nell’occhio e nella mente dell’osservatore, così come lo è la comprensione scientifica», aggiungendo poi che «non c’è dubbio tuttavia che tra le due forme esista una relazione necessaria che solo un mondo diviso in categorie accademiche, politiche, economiche, può proporre come separate.
«A noi piace quindi riunire queste modalità di guardare le cose, percepire, avere una netta sensazione che quando noi guardiamo ai nostri intorni, ai nostri paesaggi, alla natura, mettiamo in gioco non solo la capacità dello sguardo profondo e dell’interpretazione scientifica – ha infine aggiunto, concludendo, al folto pubblico presente in sala (a nostro parere più di cento persone) – ma senza una interpretazione dedicata all’emozione e all’arte la nostra conoscenza sarebbe assai limitata.»
 
Visitando la mostra e ammirando i quadri di Boscheri, uno spettacolare omaggio alla biodiversità, ci si chiede che cosa ci emozioni esattamente in queste opere: forse i colori cangianti di animali tropicali o qualcosa di irrazionale che ci raggiunge attraverso quei colori e quelle forme, sollevando in noi la curiosità verso aspetti dimenticati del nostro esistere?
Osservando quei quadri infatti si ha la sensazione di ritornare un po’ bambini e in noi si riaccende la meraviglia come per magia, quel senso di stupore che si rischia di perdere facilmente lungo il cammino della vita, semplicemente crescendo.
La visione della fauna tipica delle foreste del Bhutan, dei lemuri del Madagascar, dei giaguari e degli uccelli del Paradiso, dei coloratissimi pappagalli, ma anche di specie che popolano le nostre montagne, come per esempio i galli forcelli, i martin pescatori, i lupi grigi e molti altri, ha incantato i visitatori, i quali sono rimasti affascinati dalla suggestione di quei colori appariscenti e catturati dalle immagini di quegli animali che danno l’impressione di voler quasi uscire dal quadro in cui sono rappresentati. 
 
Ogni dipinto trasmette una precisa sensazione, a chi la sa cogliere. Passando per esempio davanti alle due zebre ritratte nell’opera intitolata semplicemente «Zebras», esse stesse ci hanno dato l’impressione di scrutarci con aria rassicurante, infondendoci una sensazione di profonda quiete. Di serenità.
Boscheri commenta così l’opera: «Le due zebre mi guardano da quando avevo circa 12 anni, sono la copertina di un mio libro sugli animali d’Africa, e le ho idealizzate come presenze reali per tutta la vita: mi hanno accompagnato a scuola, parlato, riso con me, fintanto che non le ho dipinte. Ora siamo tutti felici, io e loro ciascuno nel suo mondo, lo stesso.»
Come restare indifferenti di fronte a tanta spontaneità…


 
Ed è stupore ciò che suscita l’opera che ritrae specie tropicali intitolata «Sinharaja Rainforest», come lo stesso Boscheri dichiara nel suo commento: «Cosa possono donarmi il calore, l’umidità, la fatica? Luce, colore e vita che non mi risparmio di riprodurre ossessionato dal mio stesso stupore».
Lo stesso stato d’animo suscitato dall’osservazione del dipinto intitolato «Pheasants of the world» che raffigura fra i vari uccelli il pavone: colpisce la sua eleganza, i colori sgargianti della sua lunga coda, la sua andatura solenne.
«Al centro è lui, è maestoso, e gli hanno dedicato un regno dalle parti delle Mille e una Notte, – sottolinea l’artista nel suo commento all’opera. – Questo quadro è il giardino di un palazzo reale dove vivere le dolcezze d’Oriente e dove mi rifugio nei miei ozi d’artista.»
 
Agli amanti dei pappagalli non potrà sfuggire il dipinto intitolato «Amazonia Kingdom», un olio su tela che rappresenta il superbo volo di un pappagallo amazzone in contrasto con il leggiadro volo delle variopinte farfalle e il serafico atteggiamento degli altri due esemplari, appollaiati lungo le nodosità di un ramo, oppure il quadro intitolato «Blue magpie» che riporta questa descrizione dell’artista.
«È un concilio d’amore; le gazze, le farfalle, e sullo sfondo la sensualità dello Sri Lanka, che fa perdere il senso di appartenenza, in una fusione di generi e passioni: ci sono stato più volte e mi sono perso.»
 

 
Le opere esposte sono interamente raccolte in un prezioso catalogo di 80 pagine (a cura di Mario Liberali), accompagnate da un commento dell’autore, da un inquadramento scientifico delle specie rappresentate (redatto dal MUSE), nonché da un testo critico di Giorgia Cassini, già direttore artistico del Padiglione Italia della Biennale di Venezia del 2012 e curatrice di altre esposizioni dell’artista.
«La nuova esposizione di Maurizio Boscheri al MUSE di Trento – spiega la critica Giorgia Cassini – riproduce le preziosità, i fenomeni e le infinite curiosità di quel tesoro che è la natura.»
L’esposizione nel suo complesso è vera e propria raccolta di pittura naturalistica e animalier colta con spirito realistico e i soggetti hanno una caratterizzazione fondata sull’effetto cromatico oltre che sulla conoscenza anatomica di animali e piante.
Tra le tele presenti, l’opera «Sengi rainforest» (foto seguente) è un omaggio ai biologi ricercatori del MUSE per la scoperta di una nuova particolare specie di mammifero, avvenuta nel 2008 e raffigura due esemplari di toporagno-elefante dalla testa grigia (Sengi in lingua Swahili) una sorta di fossile vivente nelle foreste pluviali della Tanzania centro meridionale. 


  
Non potevamo terminare la nostra visita senza porgere alcune domande a Maurizio Boscheri. Avevamo la curiosità di sapere, in primo luogo, quando fosse nato in lui il grande amore per gli animali e quando si fosse manifestata in lui l’inclinazione per l’arte.
Ci ha spiegato di essere da sempre interessato al regno animale, affascinato particolarmente dalla fauna tropicale fin da bambino. Già all’asilo possedeva il dono di esprimersi attraverso il disegno e verso i cinque-sei anni è nata in lui la grande passione per gli animali che amava disegnare. 
«Avevo il mito dei tropici già da allora», ci ha raccontato sorridendo. Quanto per lui sia importante dipingere è stato facile dedurlo dalla sua stessa affermazione: «Quando dipingo sono nel mio elemento naturale, come in trance» ha sottolineato con enfasi.
Il suo incessante lavoro, l’attento studio della flora e della fauna iniziato all’età di dieci anni e mai interrotto e l’amore per la pittura, è come lui ha raccontato «la passione di una vita» (inoltre ci ha detto di non praticare sport, di non avere altri interessi, in quanto la sua giornata ruota tutta intorno a questa sua grande passione).
 

 
Un aneddoto che ci ha rivelato e che ci ha colpiti particolarmente è il racconto del suo primo viaggio ai tropici, effettuato quando aveva all’incirca una trentina d’anni. In quell’occasione lui ebbe la sensazione di aver già visitato quei luoghi sconosciuti, una sorta di déja-vu, la percezione di aver già visto quei paesaggi mai osservati prima, tuttavia dall’aria familiare.
«Mi sentivo a casa mia. – ci ha confessato. – Conoscevo ogni pianta, ogni animale. Eravamo amici…»
Quando inizia un lavoro non ha un progetto da seguire, improvvisa in base all’istinto. «I miei lavori non sono frutto di un progetto, – ci ha spiegato. – Io sono un istintivo».
Per quanto riguarda i tempi di esecuzione di ogni singola opera, ci ha riferito che il periodo in media è di circa un mese. Alcuni lavori, tuttavia, possono rimanere incompiuti per periodi anche lunghi, fino a quando non sopraggiunge l’intuizione giusta.
A questo punto, colti dalla curiosità di conoscere in anteprima quali siano i suoi prossimi viaggi per cercare di capire quali animali dipingerà, gli abbiamo chiesto quali luoghi avesse in programma di visitare nel futuro e lui ci ha risposto che gli piacerebbe tornare in Madagascar e alle Hawaii, dopodiché vorrebbe visitare le isole Galapagos.
Raffigurandoci i lemuri che ama particolarmente, le spettacolari isole vulcaniche situate in mezzo all’Oceano Pacifico e gli animali che popolano le isole dell’Equador, ci siamo allontanati dalla mostra con una punta di invidia immaginando le sue prossime mete della sua fantasia figurativa, rincuorati a ogni modo dalla speranza che in futuro un po’ di quella magia la potremo assaporare anche noi, attraverso la visione delle sue coloratissime opere.
 
Daniela Larentis
[email protected]

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