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«Era l’anno 1917» – Di Adelina Conotter Menestrina

Quando la Vela era un paesino dimenticato dalla città, un piccolo mondo antico che non tornerà più ma che l'autrice ha fatto rivivere

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Titolo: Era l’anno 1917
Autrice: Adelina Conotter Menestrina
 
Curato da: Fabio Menestrina
Editore: Edizioni del Faro, 2016
 
Pagine: 203, illustrate, brossura
Prezzo di copertina: € 16

Il libro lo avevamo presentato il 3 giugno scorso (vedi), rinviando la recensione ad un secondo momento. Cioè dopo la lettura.
Stavolta però non l’abbiamo affidata alla nostra Luciana Grillo, la collega che si occupa specificatamente di «letteratura di genere», perché c’è un particolare legame tra l’autrice Adelina Conotter e il sottoscritto: entrambi siamo originari della Vela di Trento.
E ho letto con una certa emozione la descrizione di quel piccolo mondo antico versato nel libro «Era l’anno 1917», perché mi ha fatto ripercorrere una parte della mia vita che sembra lontana secoli. E invece è dell’altro ieri.
Devo precisare che la signora Conotter appartiene alla generazione che ha preceduto la mia, quella dei miei genitori. E ha fatto rivivere i ricordi legati alla mia giovinezza.
La descrizione che l’autrice ha fatto della Vela è esattamente come la ricordo io. Oggi, come ho detto, può sembrare appartenente a un’altra era. E comunque un’altra epoca lo era.
Confermo che il rione della Vela è stato sempre dimenticato dall’Amministrazione comunale. Mentre il sindaco Nilo Piccoli lanciava il Bondone per la Trento Bene, la strada che portava alla Vela non era ancora asfaltata. Ma soprattutto non era servita da alcun mezzo pubblico.
 
Nell’immediato dopoguerra, lo ricordo, passava la corriera che andava a Zambana. Poi fu deciso di mandare il torpedone sulla Statale del Brennero e nessuno si ricordò più del migliaio di cittadini che abitava dopo Piedicastello. Mia madre era l’unica ad avere la patente e l’automobile. E si era sempre posta disponibile a usarla ogni volta che si fosse presentata un’emergenza. E alle medie alle scuole superiori ci ha portati per otto anni, insieme ad altri giovani della Vela che potevano studiare. L’alternativa era andare a piedi per più di mezzora all’andata e altrettanto al ritorno.
Alla Vela c’erano solo le scuole elementari, con due aule. Una accoglieva i ragazzi della prima e della seconda classe, l’altra la terza, la quarta e la quinta. E chi voleva accedere alle medie doveva fare l’esame d’ammissione, che presupponeva un corso extra per imparare l’analisi logica. Per questo l’ultimo anno l’ho passato alle scuole Verdi, ora università di Sociologia.
Solo la crisi energetica del 1970 ha obbligato il comune di Trento a collegare il rione con la città con un autobus. La strada venne asfaltata, ma fu allargata solo anni dopo.
 
In compenso era il rione più verde della città. Gli agricoltori non avevano abbastanza terra da poter vivere con ciò che producevano, per cui dovevano fare anche altri lavori, come scrive con dovizia di particolari l'autrice del racconto. Ma la pace e la tranquillità che si respirava la ricordo ancora con rimpianto. Lasciai il polmone verde della Vela per fare il servizio militare e quando tornai vi trovai il quadrifoglio dell’Autostrada del Brennero. Altro che Ragazzo della Via Gluck…!
La televisione arrivò nell’unico bar della Vela negli anni 50. Il segnale arrivava solo a metà paese e quando i miei genitori decisero di acquistare un televisore si dovette fare i salti mortali prima di poterla ricevere.
Tutto questo è raccontato dalla signora Conotter. Un mondo minimale, dove la sopravvivenza era uno degli obbiettivi costanti della vita. Eppure, come per tutti gli abitanti della Vela, la dignità non è mai venuta meno. Si poteva ancora uscire di casa senza chiudere la porta a chiave…
 
Ad un certo punto del suo racconto, la signora cita mio padre e mia zia, Gino e Pia de Mozzi. In casa mia c’era l’abitudine a Natale di fare un presepio. Un grande presepio. Sei o sette metri di assi su quattro cavalletti per tenerlo sollevato da terra. Poi veniva messo il muschio, fatte le strade, erette le montagne e riempito il ruscello con l’acqua, costruito il deserto con tanto di Re Magi sui cammelli, le casupole e la stalla. Sul muro un cielo di carta stellato, dipinto da mia zia Pia che era pittrice, traforato dalle lampadine che fungevano da stelle con tanto di cometa.
Poi, la notte di Natale arrivavano gli angeli, veniva messo il bambino Gesù nella culla e si accendeva la luce che lo illuminava.
Giorno per giorno avvicinavamo i re magi alla stalla, per poi scendere dal cammello il 6 gennaio a omaggiare il Messia, ultimo giorno del presepio. Che poi veniva smontato.
Il presepio restava in casa dal 13 dicembre, Santa Lucia, al 6 gennaio, Epifania. Ricordo che le maestre portavano i bambini a vederlo. Tra questi è stata più volte Adelina Conotter Menestrina, che nel suo libro ricorda quei momenti come rara felicità. Li ricordo anch'io con il cuore in gola.
 

Con il benessere tutto è cambiato, lo testimonia l’autostrada che ha devastato le campagne della Vela.
Ma leggere quelle parole mi ha emozionato, mi ha fatto rivivere un piccolo mondo antico che il piccolo mondo moderno di oggi non è riuscito a cancellare.
Grazie ad Adelina Conotter.
 

G. de Mozzi.

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