Rovereto ha commemorato le vittime delle Foibe
Nella chiesa di Santa Caterina la messa e la cerimonia di deposizione della corona per le vittime delle Foibe e gli esodi giuliano dalmati
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«Si deve gridare no alla violenza, no all’ingiustizia. Non si deve stare zitti, ma occorre denunciare».
Con queste parole Padre Gianni Landini, durante la messa nella chiesa di Santa Caterina a Rovereto, ha voluto introdurre la lettera di una famiglia di profughi giuliano dalmati, una testimonianza della sofferenza di una comunità che a lungo si è sentita isolata nel silenzio sulla tragedia vissuta. Una cerimonia che ha visto la partecipazione di molte cittadine e cittadini, dei rappresentanti delle forze dell’ordine, dell’Associazione Nazionale Alpini, delle Associazioni Ex Combattentistiche e dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.
Al termine della messa, il Sindaco Francesco Valduga ha posto l’accento sulla necessità di lavorare giorno per giorno per costruire la Pace: «Senza ricordo – ha detto – non c’è libertà, perché ricordare significa conoscere ed è dalla la conoscenza che nasce la consapevolezza che la nostra libertà è rispetto di quella altrui. Il solo racconto della storia è necessario ma non sufficiente. C’è bisogno di insistere di più sulle storie personali, di raccontare il vissuto di quelle donne e di quegli uomini, di quelle famiglie, nelle quali possiamo identificarci. Proprio da queste voci abbiamo capito come le atrocità abbiano radici spesso nella prossimità, laddove esistono intolleranze, dove spesso nel silenzio, altre volte nella delazione, vengono calpestati i diritti dell’individuo.
Occorre recuperare l’etica della reciprocità, la capacità di capire che l’altro non è qualcosa di diverso da noi, ma una opportunità, un bene comune. Non solo non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a noi, ma fare per gli altri ciò che noi vorremmo fosse fatto per noi. Ed è questo il senso di una commemorazione come questa: ricordare la tragedia delle Foibe e l’esodo istriano è un dovere nei confronti di chi l’ha vissuto. E lo è anche nei confronti di chi oggi sta vivendo tragedie analoghe in Europa e nel resto del mondo, un impegno che la città di Rovereto e tutti noi abbiamo preso perché dobbiamo seminare la consapevolezza che tutti siamo fratelli, affinché possa si possa costruire davvero la Pace».
«Celebrare il Giorno del Ricordo è anche l’occasione per rinnovare la vicinanza delle Istituzioni, della Provincia autonoma che qui rappresento oggi, alla comunità giuliana e dalmata che vive qui a Rovereto e nel nostro Trentino» - ha detto l’Assessore provinciale Achille Spinelli - «Una vicinanza che deve tradursi nella comprensione più piena per quello che avete passato, per i lutti, il carico di dolore, la durezza dell’esperienza dell’esodo. Una vicinanza e un sentimento di solidarietà per il fatto che la vostra storia e le vostre memorie per lungo tempo, per troppo tempo, sono rimaste nascoste, ai margini del discorso pubblico, spesso e volentieri strumentalizzate. Un passo avanti è stato l’istituzione nel 2004 di questa giornata dedicata a mettere in luce una pagina così significativa della storia d’Italia e d’Europa.
Parlo proprio di Europa perché la vostra vicenda si inserisce nel dramma complessivo della popolazione civile colpita dalla guerra e dai suoi effetti. Parlo proprio di Europa in questo particolare momento: caratterizzato dal ritorno e dal perdurare, tra poco sarà un anno, di una guerra di aggressione da parte russa contro l’Ucraina. Ebbene io credo che ricordare le vittime della violenza titina contro gli italiani che abitavano legittimamente e da molte generazioni quelle terre non solo significhi risarcire “moralmente” quelle donne e quegli uomini, ma anche trasformare la conoscenza della storia in un antidoto contro la guerra, i soprusi, la violazione dei diritti, la negazione delle libertà. Permettetemi quindi di ringraziare in modo particolare l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e il suo presidente Roberto De Bernardis, per il loro tenace impegno nel dare significato a questo Giorno e nel proseguire nella trasmissione della memoria».
Il Presidente del Comitato Provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Roberto De Bernardis ha ricordato il senso di una Associazione che ha permesso la connessione all’interno di una comunità, quella dei profughi, che per troppo tempo ha vissuto il silenzio di uno Stato che per opportunità politica ha taciuta la tragedia di essere profughi all’interno della propria nazione: «Grazie ai circoli che si costituivano spontaneamente – ha ricordato – i profughi giuliano dalmati hanno potuto mantenere viva la memoria. La memoria di una comunità italiana che viveva in Istria e Dalmazia da secoli e che ha dovuto lasciare le proprie case, le proprie radici».
Ha ricordato le stragi avvenute nel secondo dopoguerra, come quella di Pola, nel 1946, quando vennero fatte esplodere le mine in un giorno di festa per la comunità italiana.
«Fu l’inizio di una tensione che presto sfociò nell’esodo. Già nel febbraio del 1947 Pola si svuotò dei suoi abitanti, cacciati una terra dove vi era una cultura radicata, una capacità di convivenza sedimentata».
«Dopo sessant’anni di silenzio, oggi, che non esiste più la Jugoslavia di Tito e non vi sono motivi per non parlarne, si sono aperte le porte della verità storica. Ma il silenzio è stato lungo e ha offeso i sentimenti di chi aveva vissuto questa tragedia. Ci siamo sentiti persone accolte ma tenute in un limbo. Con la celebrazione del Giorno del Ricordo vi è un risarcimento morale per quanto accaduto nei confronti dei profughi, il riconoscimento che anche gli esuli sono italiani non sono fratelli diversi ma cittadini di questa Repubblica. Ma il Giorno del Ricordo è soprattutto una prospettiva per il futuro, con l’Europa come punto di riferimento. Da quest’anno, per la prima volta non vi saranno più confini nell’Istria, tra la Slovenia e la Croazia, così come non c’è più tra Italia e Slovenia. All’interno dell’Europa non ci sono più quelle barriere che hanno creato tanta sofferenza».
«Oggi è una di quelle occasioni in cui non si devono dire cose nuove, ma i cui si deve dire finalmente la verità» - ha detto il Vicario del Prefetto, Massimo Di Donato - «Una verità per troppo tempo rappresentata da pagine bianche nei libri di storia. Ci sono voluti sessant’anni per restituire la dignità alle vittime. La legge 92/2004 è un atto dovuto nei confronti del silenzio, ma è anche un richiamo a mantenere vive le tradizioni della comunità Giuliano-dalmata in Italia e all’estero. Non è bastato vivere i troppi episodi. Non possiamo e non vogliamo dimenticare, non per risentimento ma perché non accada più».
Al termine della cerimonia in Chiesta, i partecipanti si sono spostati in Largo Vittime delle Foibe, dove è stata deposta la corona presso la targa commemorativa alla presenza delle autorità.
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