Il Sait e l’«improbabile» guerra del pane
Il presidente di Sait Roberto Simoni interviene sulla vicenda dei contratti con i panificatori trentini, che ha provocato critiche nella categoria e nel mondo politico
Meraviglia tanta indignazione nei confronti del «progetto pane» del Sait, pensato e voluto ad esclusivo vantaggio dei consumatori trentini.
Meraviglia il fatto che non si consideri che lo stesso si sviluppa su poco più di venti negozi rispetto agli oltre 300 punti vendita su cui nulla cambierà.
Meraviglia che non si comprenda come testare soluzioni diverse in un settore dinamico come il commercio sia una necessità.
Meraviglia il modo sbrigativo con cui è stato affrontato l’argomento, anche in ambito cooperativo, e ridotto l’ennesimo episodio di discontinuità gestionale rispetto al passato a mera occasione di visibilità mediatica.
SAIT, per il legame con il territorio e lo stoico presidio di posizioni che non generano profitto, merita un trattamento più rispettoso.
Ciò che è successo è un normale avvicendamento fra operatori in un mercato di libera (e aspra) concorrenza, un diverso modello organizzativo che ha avuto impatto su una cerchia di fornitori che non avevano un rapporto di esclusiva e a cui non erano mai stati richiesti investimenti specifici per produrre pane per SAIT.
Del resto, echeggiano ancora le critiche contro la cooperazione di consumo, che non avrebbe abbassato i prezzi.
Anche in quel caso, non considerando i conti economici dei piccoli punti vendita nel mirino della critica, le centinaia di migliaia di euro investiti nel blocco prezzi, l’attivazione a titolo gratuito di servizi per le comunità e le categorie più colpite dal COVID (quali le consegne a domicilio entro le 24 ore in tutte le valli e sulla città di Trento); e non considerando il fatto che fossero state incrementate promozioni, soprattutto su prodotti locali, che hanno contribuito a far sì che la metà dei prodotti venduti avesse un prezzo tagliato.
La nostra missione nei confronti dei soci è trasferire le migliori condizioni possibili, garantire in modo impeccabile la sicurezza alimentare, generare risorse alle Famiglie cooperative per sostenerle in momenti di difficoltà e per mantenere il presidio dei territori, reinvestire eventuali utili in iniziative di interesse sociale, difendere e alimentare il patrimonio per le future generazioni.
Non abbiamo altri scopi. Noi non abbiamo azionisti da remunerare.
Questo progetto non ha come obiettivo una semplice sforbiciata di costi, ma ci ha offerto la possibilità di confrontarci con un modello diverso, teso a trasferire qualità e convenienza al consumatore finale; anche in questo caso saranno i risultati a parlare e, senza timore, rappresenteremo, come sempre fatto in questi anni, alle nostre socie Famiglie cooperative, i risultati delle nostre scelte.
L’insegna «Coop - Famiglia Cooperativa» mantiene oltre 200 negozi in luoghi a rischio di desertificazione, poiché la logica del servizio alla comunità è anteposta a quella del bacino d’utenza. Il 60 per cento dei punti vendita riforniti dal Sait origina appena il 20 percento del fatturato complessivo: un magro affare, ma un costante supporto sociale e territoriale, che ha richiesto sacrifici organizzativi.
Oltre il 30 per cento dei prodotti che annualmente Sait acquista per la propria rete commerciale è costituita da prodotti del territorio regionale; nel 2019 quasi 60 milioni di euro di prodotti trentini sono entrati nei nostri negozi, di cui oltre 10 milioni rappresentati proprio dal pane e prodotti affini trentini.
Esiste un modello alternativo che garantisca al Trentino un tale sbocco produttivo?
Molti consumatori, stimolati dalle recenti polemiche, hanno minacciato di abbandonare la cooperazione in favore di grandi superfici commerciali o discount.
Viene da chiedersi se qualche politico abbia esortato questi imprenditori a privilegiare i fornitori locali, magari indicandoli nominativamente, e se quei negozi rappresentino davvero il futuro ideale per il Trentino.
Il CdA di Sait ha dimostrato in questi anni la capacità di assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Questi amministratori sono stati democraticamente eletti dalla base sociale, e nel loro ruolo hanno dimostrato capacità strategica e concretezza di risultati.
Per questo meritano rispetto, soprattutto da chi critica, pur legittimamente, ma senza avere alcuna responsabilità decisionale.
Il mercato ci ha imposto riposizionamento e discontinuità.
Troppo superficiale descriverci come inefficienti e scatenare critiche quando si attivano iniziative risolutive; non è mai stato il momento giusto per farlo.
Non lo è stato quello scelto per la ristrutturazione, quello per il taglio dei costi del magazzino, per la riorganizzazione dei trasporti, per la revisione dell’integrativo aziendale.
E, naturalmente, non lo è nemmeno per i panificatori.
Non è difficile abbinare questo atteggiamento ad una pura difesa dello status quo. Ma da SAIT tutti si aspettano efficienza, servizio e presidio.
Non c’è una guerra del pane in corso. C’è soltanto una nervosa reazione all’esercizio del diritto-dovere di Sait di cercare il meglio sul mercato, per offrire alla comunità trentina innovazione e maggiore qualità.
Commenti (0 inviato)
Invia il tuo commento